Dimmi tre numeri e rivelerò i tuoi sogni, tocca la punta di un corno e racconterò il tuo destino. Sembra lo slogan di una trasmissione di astrologia o quanto meno la frase pronunciata da una maga haitiana. Invece no. Si tratta di una ferrea abitudine, di un rito atavico che affonda le sue radici nelle trame storiche della cultura partenopea. Che i napoletani fossero un popolo superstizioso, non è certo una novit , ma se provassimo a indagare sui perch di queste contraddittorie e caricaturali abitudini, avremmo certamente delle belle sorprese ci addentreremmo in un viaggio millenario che inerpica le sue edere nell’antropologia e nella storia. La cabala, il corno, il gobbo e il monaciello sono solamente la punta dell’iceberg di una cultura pagana che regge le fondamenta di una grande e dinamica metropoli.
Camminando per le strade del paese più grande del mondo, non possiamo fare a meno di notare che l’impalcatura magico-esoterica di Napoli è diventata un business proficuo, ma tutt’altro che arido. Carovane di turisti affamati di tradizione esotica, incuranti dei cumuli di immondizia, si lasciano rapire dai negozi di presepi e comprano qua e l  una tombola, un corno, un pulcinella o quant’altro si possa acquistare prima di andare a mangiare la pizza. Tuttavia questo genere di articolo non è una prerogativa turistica; non è stato certo progettato per loro. Se ci si trova nel posto giusto, al centro della citt -ragnatela scavata nel tufo giallo, si osserva facilmente che la tradizione pagana abbandona il suo abito caricaturale, per ritrovare gradualmente la sua nuda funzione propiziatoria. Più ci si allontana dalle grandi arterie stradali e più questa tendenza aumenta di intensit . Il popolo che vive come asseriva Matilde Serao “dietro al paravento”, lontano dai grandi boulevard turistici, conserva le tradizioni e crede ciecamente al significato della cabala. Qui termina la metropoli ed inizia un paese in cui l’urbanistica ha giocato senza dubbio un ruolo fondamentale nel processo di isolamento e quindi nella conservazione della etnicit  i flussi economici, sociali e culturali sono completamente diversi da quelli di duecento metri prima, sono molto più lenti. Similmente lo è la religiosit , e il filo che la separa dalla superstizione si va mano a mano assottigliando.
Ma cosa distingue la religione dalla superstizione?
Sicuramente l’utilizzo del simbolo, l’idolatria ed un folto pantheon di personaggi santi-magici, la fanno da padrone. Ancora adesso, un gruppo di signore anziane assiste in prima fila al miracolo di San Gennaro. Sono le “parenti di San Gennaro”, donne che nella tradizione popolare si ritenevano le discendenti della nutrice del santo, Eusebia. La loro funzione era quella di pregare affinch il miracolo dello scioglimento del sangue avvenisse in fretta. Quando però il miracolo non capitava in tempi accettabili (cosa che viene anche ora percepita come presagio di sciagura), allora le donne iniziavano ad inveire contro il loro “antenato”, rischiando di essere messe alla porta dal parroco. Tutt’intorno, oggi, i credenti toccano spesso le statue del Duomo qualcuno poi manda un bacio al simulacro, qualcun altro lecca la mano con ritmo compulsivo.
Agli angoli delle strade frequentemente ci si imbatte in piccole nicchie scavate nell’architettura dei palazzi. Sono sempre ben illuminate e adornate di fiori; all’interno, una statua del santo protettore oppure una madonnina, vegliano sugli ex voto d’argento e sulle fotografie di chi invece la grazia non l’ha ricevuta in tempo. Tale usanza di certo è presente in gran parte dell’area mediterranea ed è una tradizione che proviene dall’antichit  romana (testimoniata anche dalla più vicina Pompei) dei compita vicinalia, una sorta di cappelletta, gestita totalmente dai condomini residenti nelle vicinanze, dove venivano poste offerte ai piedi di piccole statuine raffiguranti dei o antenati. Spesso attorno si poteva trovare un fallo di calcare che proteggeva dal malocchio e diffondeva prosperit .
A differenza delle nicchie votive del resto dell’Italia, in quelle di Napoli esiste, perseverante, la presenza di un fallo. Si tratta di un prototipo di alto design, appositamente realizzato per potersi integrare nel culto sessuofobo cristiano il corno. Rosso, rilucente e appuntito, questo oggetto magico, risalente alle religioni pagane romane, se non addirittura greche, emana la sua aurea benefica a chi lo possiede, risultando una potente arma contro il temuto “jettatore” (colui che porta jella). Superfluo notare che la sua potenza magica è proporzionale alle sue dimensioni!
Ma ancora in quelle nicchie, le fotografie dei defunti rimandano al culto degli antenati. Lo spettro di un defunto vive dentro le case antiche è il monaciello. Uno spirito dispettoso a causa del quale “certe cose” vanno dette a bassa voce tra le mura di casa, per non farlo adirare. Ma se il monaciello prova simpatia per un inquilino, allora egli trover  denaro nelle tasche ad ogni alba (a quanto pare la divina provvidenza non è un brevetto della chiesa!).
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senza dubbio il suo apice, con il celeberrimo personaggio di Pulcinella (pur se originario di Acerra). Sembra uno sciocco, invece è un furbo. Sembra un uomo, ma ha una voce femminea. Sembra buono, mentre la tradizione lo vede nascere da un uovo (da cui Pulcinella = pollo), a opera di due fattucchiere, che nelle viscere del Vesuvio hanno impastato una miscela di oggetti immondi e bestemmie scellerate, creando questa specie di demone dal naso aquilino che riveste un ruolo di tramite fra donna e uomo, bene e male, religione e superstizione…miseria e nobilt .
Nella citt  che si erge da fondamenta greche, poi romane, poi gotiche, poi barocche e infine si ricopre di un tetto americano, sembra serpeggiare l’immortalit  di un enorme totem, una sorta di catalizzatore delle speranze, di chi si ritrova inerme di fronte all’avanzata della modernit . La cosa certa è che se prima la maschera napoletana, in qualit  di guerriero demistificatore, rappresentava un arma popolare contro le ingiustizie e le angherie degli spagnoli, oggi sembra sia diventato un articolo di eccellente riuscita commerciale. come se Pulcinella, assieme ai suoi corni e alle superstizioni dei napoletani, si sia nuovamente rimboccato le maniche per salvare la citt , ma questa volta non con l’arma della caricatura, bens con dei souvenir, venduti lungo le strade di vera affluenza, a debita distanza dalla vera Napoli.

In alto, l’orologio dell’arco di Sant’Eligio

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