Oggi ci prendiamo “Un caffè con … Rosario Marra”, che saluto e ringrazio, con il quale continuiamo il ciclo di incontri per parlare di autonomia differenziata e dei rapporti socio-economici tra Nord e Sud del paese. Rosario Marra è segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista (Napoli).
Caro Rosario, il ministro per il Sud e la coesione territoriale – Giuseppe Provenzano – nello scorso mese di maggio si è affannato a più riprese a dichiarare che il Mezzogiorno, dopo il Coronavirus, non avrebbe perso un solo euro. Poi, alla prima decisione istituzionale, ovvero nel DEF 2020, di fatto, “scippa” i fondi al Sud. Loquace a parole, sferzante nei fatti. Secondo te, il prezzo della crisi toccherà pagarlo da queste parti?
Per ovvi motivi, non è in discussione la buona fede del ministro per il Sud, tuttavia, come ricordavi ci sono delle oggettive discrepanze tra le dichiarazioni e gli atti formali. – Ad esempio, nel DEF 2020 non soltanto manca, nella sezione II, l’indicazione dei programmi delle spese in conto capitale su cui applicare la riserva del 34% degli investimenti nel Mezzogiorno – che si vuole superata, secondo il ministro, per un cambiamento di normativa che ora la imporrebbe ex-ante – ma anche la specifica relazione da allegare al DEF su quanto fatto nel 2019 in merito all’applicazione della suddetta riserva. – Ciò che appare più grave è il contenuto di alcune disposizioni del d-l rilancio, dove si assiste ad un uso strumentale dell’emergenza covid-19 richiamando integralmente i recenti regolamenti europei che permettono l’uso della flessibilità anche a livello territoriale dei fondi strutturali europei per le politiche di coesione. – Questo tipo di flessibilità prevede la possibilità di spostare fondi dalle Regioni deboli a quelle forti, nel nostro caso dal Sud al Nord del Paese e il fatto che nell’art. 242 del d-l n. 34/2020 sia richiamato il rispetto della destinazione territoriale delle risorse, non elimina le forti preoccupazioni sullo scippo in atto poiché non è la destinazione territoriale in quanto tale che è in discussione ma il rispetto dell’attuale ripartizione percentuale delle risorse del Fondo Coesione e Sviluppo (80% alle Regioni meridionali e 20% alle altre Regioni). – Per eliminare sospetti sullo scippo in atto, occorrerebbe che nel testo attuale del decreto-legge rilancio in corso di conversione venisse esplicitamente chiarito che si applica soltanto la flessibilità tematica e quella tra i diversi fondi, con esclusione di quella territoriale invece mantenere, com’è attualmente, il richiamo integrale ai recenti regolamenti europei che permettono i vari tipi di flessibilità e un generico rispetto della destinazione territoriale fa permanere forti dubbi.
In realtà, l’attuale emergenza non ha fatto che accelerare degli orientamenti che a livello europeo erano già ben presenti in quanto la richiesta di uso flessibile dei fondi strutturali proveniva da numerosi Stati membri prima dello scoppio dell’attuale pandemia, come risulta anche dal capitolo sulle politiche di coesione inviata dal Ministro per gli affari europei alla Camera nello scorso gennaio. – Ciò la dice lunga sulla reale volontà della UE di portare avanti politiche di riequilibrio territoriale. – Per lo specifico del nostro Paese, c’è da augurarsi che si trovino parlamentari disponibili a presentare emendamenti miranti a trovare fondi aggiuntivi per le conseguenze della crisi sanitaria in alcune Regioni del Nord, perché una sottrazione di fondi al Meridione nel momento peggiore dell’emergenza danneggerebbe il sistema-Paese nel suo complesso.- Infatti è in questo momento che si ha bisogno di tutte le risorse disponibili e non dopo che verranno spese e rendicontate con i tempi delle riprogrammazioni, certificazioni, ecc.- Non si può togliere l’ossigeno a un malato grave con la promessa che dopo gliene verrà restituita la medesima quantità, nel frattempo se ne causerebbe la morte. – Su tutto questo ci sembra assurdo il silenzio dei Presidenti delle Regioni meridionali, a iniziare da De Luca, per non parlare della scarsa trasparenza con cui si stanno attuando queste riprogrammazioni di fondi in funzione anti-covid su cui filtrano notizie a babbo morto.
E’ possibile, a tuo avviso, immaginare una mobilitazione delle forze politiche e sociali, tralasciando il germe della primogenitura (antico problema della sinistra), per contrapporsi a questo Governo che parla molto e concretizza poco in tema di Mezzogiorno? Insomma, un’alleanza possibile può esserci per rimettere al centro del dibattito una moderna questione meridionale? E con chi?
Oggi immaginare una mobilitazione politica e sociale per come la intendiamo noi a sinistra è molto difficile, sia per la nuova ondata di fluidità sociale determinata dall’attuale crisi, sia perché non abbiamo mai avuto da anni un Governo così zeppo di pugliesi, campani e siciliani come quello attuale. – Quest’ultimo aspetto richiede un lavoro di demistificazione di enorme portata perchè sembra che il Mezzogiorno abbia ritrovato una sorta di centralità e, invece, la fase 2 dell’ emergenza è cominciata con la riproposizione di un modello di sviluppo in crisi già prima dell’attuale emergenza. – Ci si riferisce alla teoria della locomotiva secondo cui alcune Regioni del Nord debbono trainare i vagoni del Sud. – Questa impostazione ha ridotto anche la parte forte del Paese a essere una sorta di “Baviera del Sud”, con un integrazione subalterna nel sistema produttivo della locomotiva europea (la Germania). – Insomma, ancora una volta il progetto di riscatto si salda col blocco sociale che deve sostenerlo e viceversa, ovviamente è solo questa saldatura che può permettere di rimettere al centro una moderna questione meridionale. – Operare per accelerare questo processo è compito precipuo della sinistra di classe e, in particolare, dei comunisti.
Brexit, sovranisti, nazionalisti, populisti, rappresentano un armamentario culturale che si agita per l’Europa, sbandierando lo spettro dell’uomo solo al comando, dell’Io ipertrofico. Di recente a Roma si è svolto il meeting dei sovranisti (National conservatism conference) che si è aperto con questi propositi: “Continuare ancora l´integrazione europea, imporre la società multiculturale, difendere le lobbies gay anziché la famiglia, sono soprusi illegali degli ex sessantottini che hanno ucciso la cultura europea”. Se dovesse avanzare tutto questo, i rapporti tra Nord e Sud del nostro paese potrebbero ulteriormente peggiorare o sono cose lontane da noi?
Purtroppo la regressione culturale e valoriale cui fai riferimento può avanzare anche con la retorica europeista o con un europeismo di sinistra non sufficientemente critico. – Il problema, quindi, è doppio: da un lato i sovranisti/nazionalisti, dall’altro gli europeisti/liberisti e il nostro compito non è certo quello di collocarci al centro tra queste due opzioni soltanto apparentemente contrapposte (tanto per fare degli esempi, la Lega ha votato a favore sia del Trattato di Maastricht che di quello di Lisbona, così come Orban è comodamente inserito nel PPE e nessuno ha seriamente intenzione di espellerlo, né lui di andarsene).- In realtà, i rapporti tra il Nord e il Sud del nostro Paese possono peggiorare anche se, simmetricamente, peggiorano i rapporti tra il Nord e il Sud Europa; in altri termini, per togliere veramente spazio ai sovranisti occorre un radicale cambio di indirizzo delle politiche europee, abbandonare il modello competitivo tra macro-aree, Stati e Regioni, a favore di politiche espansive e cooperative ben più decise di quelle che si stanno appena abbozzando in seguito all’attuale crisi, non ridurre più la questione mediterranea a un fatto di controllo dell’immigrazione o a un problema di approvvigionamento energetico, dissociarsi attivamente dalle politiche di destabilizzazione statunitense di Paesi mediorientali che facilita anche l’espansionismo di Paesi che vogliono comportarsi da potenze regionali.
Nei prossimi mesi è facile prevedere un aggravamento delle conseguenze economiche e sociali della crisi, oltre al pericolo di una seconda ondata della pandemia, a quel punto emergerà con maggiore evidenza la lentezza e l’insufficienza della risposta europea, il sentimento anti-UE può avere un’impennata e noi della sinistra di classe non possiamo farci trovare impreparati, non basterà fare il panegirico del Recovery fund o esultare per il controllo dello spread da parte della Banca europea, dovremo rilanciare con serietà e senza demagogia il dibattito sul piano B facendo attenzione anche alle conseguenze geo-politiche che sta causando e causerà l’attuale pandemia.- Se non faremo ciò anche noi, oggettivamente, corriamo il rischio di dare spazio ai sovranisti e potremo trovarci di fronte a qualche riedizione dei Forconi, di cui oggi si intravede qualche riedizione caricaturale (i gilet arancioni).
Dal contratto di Governo M5S-Lega alla proposta Boccia sull’autonomia differenziata (M5S-PD). Il primo introduceva la logica della “geometria variabile”, ovvero tener conto delle peculiarità territoriali, concedendo autonomia alle Regioni richiedenti, in un quadro di (falsa) solidarietà nazionale. Mentre la seconda tenta di recuperare una “ingiustizia istituzionale” prevedendo la determinazione dei fabbisogni standard, dei livelli essenziali delle prestazioni o degli obiettivi di servizio. Ma non è più semplice (e rivoluzionario) scrivere da qualche parte che “la garanzia dell’unità della Repubblica e la parità dei diritti sono imprescindibili”.
E’ chiaro che ti riferisci alla riforma del titolo V della Costituzione su cui noi comunisti in Parlamento votammo contro, perchè non era difficile comprendere che si trattava di portare a livello di costituzione formale ciò che esisteva già a livello di costituzione materiale. – Infatti, non è tanto l’art. 116, co.3, della Costituzione che genera la corsa al regionalismo differenziato – su cui da tempo si è gettato anche De Luca – ma il modello di sviluppo su cui progressivamente è cresciuto il nostro Paese. – Ognuno di noi infinite volte, riferendosi al divario Nord-Sud, ha affermato che già esiste una scuola di serie A e una di serie B, dei trasporti di serie A e di serie B, ecc.; queste affermazioni sono la conferma di ciò che si diceva rispetto all’esistenza di fatto di due Italie.
Nel titolo V non esiste una parte “cattiva” da rifiutare e una “buona” da applicare anche se tatticamente si possono appoggiare battaglie come quelle sull’individuazione e applicazione dei LEP che, tra l’altro, in alcuni settori-chiave, come quello sanitario, ci sono da tempo seppur sotto il nome di livelli essenziali di assistenza (LEA).
Tu suggerisci di scrivere da qualche parte che “la garanzia dell’unità della Repubblica e la parità dei diritti sono imprescindibili”, in realtà, come sicuramente saprai, il concetto dell’unità della Repubblica è già presente nell’art. 5 della Costituzione (“La Repubblica una e indivisibile”) ma la previsione formale dell’unità, per quanto possa avere una sua importanza è, ovviamente, insufficiente se si attacca la coesione sociale e territoriale e ciò si verifica con le politiche economiche liberiste e con la costituzionalizzazione del livello di disuguaglianza possibile, come avviene coi LEP che rappresentano il fatto che la parità di diritti può esistere non come principio ma soltanto ad un livello minimo oltre il quale si autorizza la sperequazione. – Ciò, ad esempio, ha facilitato il “turismo sanitario” di tanti ammalati verso la sanità delle Regioni settentrionali clamorosamente crollata, ad iniziare dal modello lombardo, di fronte all’emergenza covid.
La sinistra molto spesso individua il nemico ma difficilmente, almeno negli ultimi anni, è in grado di tracciare il “suo” campo. Chi credibilmente potrebbe far parte di uno schieramento contro questo ennesimo tentativo di spaccatura del paese, oltre Rifondazione Comunista, e con quale proposta programmatica alternativa al disegno “criminale” di questi benpensanti?
Di solito l’individuazione del nemico dovrebbe facilitare quella degli amici anche in omaggio a quanto affermava Marx sul rapporto simbiotico tra proletariato e borghesia, invece a sinistra alcuni pensano che il “nemico” sia quello che ci sta più vicino e ciò scatena la concorrenza tra sigle, la cura ossessiva del proprio orticello e aberrazioni varie.
Pure Rifondazione nell’arco trentennale della sua vita ha fatto errori con la degenerazione correntizia, causa non secondaria delle numerose scissioni.La proposta programmatica non costituisce un grosso problema, per quanto vada approfondita, perchè sotto questo aspetto il terreno antiliberista è quello che ci accomuna in molti. Oggi assistiamo a processi di scomposizione/ricomposizione non ancora terminati che, a volte, generano prodotti politici ibridi in cui si mescolano confusamente vecchio e nuovo, volontà di innovazione e deleteria logica dello scambio politico, voglia di unità sacrificata alla logica dell’intergruppi, movimentismo apparente e gruppismo di fatto, evocazione di un popolo che ci ha abbandonato. E si potrebbe continuare.
Qui a Napoli la situazione ha anche una sua specificità con la sostanziale fine del ciclo De Magistris che già sta provocando ricollocazioni dentro e fuori il nostro campo. Noi, ad esempio, come Rifondazione, insieme ad altre forze della sinistra d’alternativa e del sindacalismo conflittuale, dell’ambientalismo di Movimento, stiamo lavorando per le imminenti regionali a una proposta inclusiva contro De Luca e, soprattutto, contro le sue politiche ma già sappiamo che c’è chi vuole correre da solo….
In questa situazione, sia per il quadro generale che quello locale, permettimi di dare una risposta apparentemente paradossale: dobbiamo concentrare la nostra attenzione non tanto sul poco che c’è ma sul tanto che manca, in altri termini come a livello politico-elettorale il primo “Partito” del Paese è da anni quello dell’astensione, così la prima formazione, il primo “gruppo”, la sigla coi maggiori aderenti è quella delle tante compagne e dei tanti compagni che si sono ritirati o che sono presenti ma fortemente demotivati.
La gravità del momento può aiutarci a riconquistare fiducia e credibilità e qualche limitato segnale positivo forse si comincia a stagliare all’orizzonte anche a livello nazionale (sinistre di opposizione, proposte di fronte unico anticapitalista, campagne politiche unitarie, timida ripresa di Movimenti) con la speranza, però, che l’elettoralismo da prefisso telefonico non provochi altre ed inutili divisioni. Risposte diverse e apparentemente più soddisfacenti non me le sento di dare perchè sarebbero inevitabilmente viziate da politicismo di cui, converrai, che possiamo benissimo farne a meno.
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