«Il chiarore dei fulmini illumina l’orizzonte, i tuoni lo seguono come cani fedeli. La bufera è in arrivo. Sui nostri volti spira un vento freddo e umido. Scariche violacee si perdono con sempre maggiore frequenza in mare, simili a luminescenti rami spogli. Nessuno riesce a distogliere lo sguardo dallo spettacolo di questa danza di lampi».*
Che Giancarlo Piacci fosse uno scrittore talentuoso lo aveva già dimostrato col suo romanzo d’esordio, I Santi d’argento (Salani, 2022). Al secondo episodio della sua saga, pur mantenendo un registro narrativo quotidiano, l’autore prorompe con il suo stile fluido e avvincente, spingendo a una lettura che crea dipendenza.
Classe 1981, Piacci nella vita è un libraio del centro storico di Napoli con una grande passione per il noir mediterraneo. Si commetterebbe però un errore nello sviscerare troppi accostamenti fra la Marsiglia descritta da Jean-Claude Izzo, compianto maestro del genere letterario, e l’originale realtà partenopea descritta da Piacci.
Il suo, infatti, più che un noir classico, sembra avere le caratteristiche di quello che il collettivo Wu Ming definirebbe un ‘oggetto narrativo non identificato’, con proprietà intrinseche e crossover, che avrebbero potuto tranquillamente ispirare un film di Claudio Caligari.
Nostra signora dei fulmini (Salani, 2024) è una storia vissuta fra Bacoli e Napoli, in cui il vero protagonista della storia è il mare. O, meglio ancora, i lavoratori del mare, riuniti in una cooperativa portata alla crisi dall’ingresso in campo di una potente multinazionale, la Dinamic Sea, intenzionata a installare vasche di allevamento intensive fra i flutti flegrei. I padroni sono furbi: promettono ai pescatori un posto di lavoro fisso, ma solo per la metà dei lavoratori iscritti alla cooperativa. Questa politica, porterà alla divisione del gruppo e allo scoppio di conflitti intestini, che sfoceranno in un paio di misteriosi omicidi.
Tra vicende rocambolesche, vissute col cuore palpitante, si dipana la storia di Vincenzo Cocchiara, ‘o forestiero, amico dei lavoratori del molo. Ritroviamo dunque il protagonista del primo libro di Piacci, approdato dopo diversi tumulti individuali e svariate fughe sentimentali, sulle sponde della costa flegrea.
Cocchiara il soprannome se l’è guadagnato vivendo la quotidianità e le traversie dei lavoratori del mare. È uno di loro senza essere un uomo di mare. Eppure riesce ad attraversare le intercapedini umane di una comunità dilaniata dalle inquietudini di una crisi economica, che rischia di tradursi in un dramma sociale.
Suo malgrado, Cocchiara si ritrova ancora una volta risucchiato in un vortice fatto di naufraganti sbronze, folgoranti delitti, tempeste sentimentali, violenti uragani generati dai suoi ambigui legami con esponenti della criminalità organizzata in lotta con clan rivali. Il peso di questa terribile situazione viene stordito dall’alcool e da un ritorno occasionale nel mondo delle droghe, da cui si era convinto di essersi ripulito. O, per meglio dire, da cui si era preso una tregua. Nonostante il curriculum vitae, il personaggio portante del romanzo emerge sempre più come un volto umano ricco di cicatrici, terribilmente volitivo.
Piacci rende protagonista del suo romanzo un anti-eroe, un diseredato di fatto, un personaggio che verrebbe relegato da altri ai margini non solo della società, ma anche nelle teche delle librerie, stigmatizzato dalle proprie tormentate esperienze di vita. Il grande pregio dell’autore è di non scegliere come figura centrale un detective privato -magari ammaliato da un diluito senso di ribellione sociale- o un poliziotto frustrato in cerca di giustizia individuale. Sarà, invece, proprio un ex tossicodipendente, un alcolizzato, uno spiantato a trovare la chiave per risolvere tutti gli enigmi della trama di Nostra signora dei fulmini.
Pur non essendo un romanzo sulla città, Piacci fa emergere la descrizione di una Napoli non folklorica, abusata dal turismo, ma ancora coriacemente ancorata a una scala valoriale fatta da amicizie sincere, legami familiari resistenti alle distanze geografiche e di vita, culti ancestrali ed esoterici tramandati sapientemente nei vicoli e nelle viscere della città.
L’ambientazione di Nostra signora dei fulmini stride con la gentrificazione, è un atto d’accusa – involontario o, forse, no- con le guerre sui social fra pizzaioli che si contendono la ricetta della pizza verace, con l’impazzimento del mercato immobiliare, con il dilagare del puzzo di fritto della moltitudine di rosticcerie, oramai aperte ad ogni metro del centro antico, che ha sostituito il vento del mare o l’ossigeno dei parchi cittadini, quasi tutti chiusi per lavori di manutenzione da amministratori evanescenti.
Cocchiara è un anti-eroe che non vuole rimanere e combattere, divenendo il Masaniello di turno. Piuttosto è uno che fugge, ma senza dare le spalle a un nemico fatto di affarismo, cemento, camorra, repressione poliziesca, globalizzazione, omologazione culturale. Lui non intende essere il protagonista, lo diviene perché agisce nel quotidiano, combattendo da cane sciolto le storture, i soprusi o vendicando gli amici uccisi.
Già ne “I Santi d’argento”, Piacci descriveva una Napoli Sottosopra, una realtà rovesciata come nella serie Netflix Stranger Things, lontana dai riflettori del turismo. Una Napoli all’ombra delle narrazioni del va-tutto-bene, che nella sua quotidianità vive le contraddizioni del boom turistico, tra speculazioni immobiliari ed espulsione della popolazione indigena dai quartieri popolari. In altri termini, questa ‘Napoli da mangiare’ ha attratto ben altri appetiti di turisti dediti a un food & beverage mordi-e-fuggi.
Questo scenario, nel secondo romanzo dell’autore napoletano, fa da collante ai ritratti psicologici e alle storie violente di alcuni personaggi come Giovanni, Bart, Canè. La nonna, figura archetipica di un sapere esoterico matriarcale, probabilmente metafora sapiente della Napoli antica, è colei che – in un lungo flashback– disvela tramite la lettura dei tarocchi il cammino a un giovane Vincenzo Cocchiara in partenza per Milano, dove incontrerà il precariato lavorativo, l’abuso di droghe, il desiderio proibito verso un amore tossico e ossessivo. Fino al ritorno al presente, un presente in cui il futuro è una carta da bruciare o un precario abbraccio alla sua Irene.
Giancarlo Piacci ha già ricevuto una pioggia di elogi per il suo secondo romanzo. La sua fiction letteraria coglie meravigliosamente l’anima di una città abusata, che custodisce nel proprio ventre un mai sopito desiderio di riscatto sociale attraverso i mille volti della propria quotidianità.
In attesa di un nuovo episodio della saga di Cocchiara, sarebbe bello veder trarre dai suoi libri uno spettacolo teatrale o anche un film, di quelli che tengono incollati alla poltrona e mancano al cinema o in televisione da troppo tempo. Perchè è necessario tornare a sognare coi piedi per terra.
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*Nostra Signora dei fulmini, Pg. 318