Non è riuscita a vincere il Nobel per la Letteratura. Ma ha lasciato in eredità una scrittura indelebile, che non smette di stupire: moderna, incisiva, diretta. Matilde Serao, come giornalista e scrittrice ,oggi è più protagonista che mai, fonte d’ispirazione per autrici/ori, oltre i confini regionali in cui la si voleva rinchiudere.


Immaginiamo che avrebbe dato una brillante lezione di giornalismo ieri a proposito di una comunicazione lenta nel percepire che la vera rivoluzione paritaria passa attraverso le parole. L’occasione le sarebbe stata offerta dalla commissione cultura dell’Ordine dei giornalisti della Campania (grazie al coordinamento di Paola Cacace) presieduto da Ottavio Lucarelli che in collaborazione con L’Università L’Orientale di Napoli, nella sede di Palazzo Corigliano in piazza San Domenico Maggiore, ha organizzato un incontro a più voci sul tema “Discriminazione di genere nel linguaggio dei media: non sono solo parole”, (inserito come corso di formazione professionale).
Tanti gli spunti di dibattito ma giusta anche la scelta del luogo dove discuterne: L’Orientale ha il primato, tra l’altro, di avere avuto dal 2008 al 2020, due studiose di eccellenza ai vertici, Lida Viganoni e Elda Morlicchio, determinate a autodefinirsi e farsi chiamare rettrici, affermando l’orgoglio di declinare il loro incarico al femminile.
Eh, già. Perché anche di questo si tratta: spesso sentiamo le donne stesse rifiutare il femminile preferendo il maschile per esprimere il loro profilo professionale: per esempio, scegliendo di essere avvocato, senza cedere alla a finale.
E pure di questo si è parlato: soprattutto della necessità di creare negli enti locali regionali (lo ha sottolineato, in partecipare, la consigliera di parità della Regione Campania Domenica Lomazzo) una norma di rango primario per un linguaggio paritario. Oltre gli steccati maschili di cui sono infarciti le pagine costituzionali che andrebbero riviste. Una prospettiva da poter vagliare in un prossimo futuro.
Ruota intorno a un’evidenza, il dibattito: la lingua è una pratica che rispecchia il volto della società. Così il linguaggio diventa riflesso di posizioni ideologiche anche quando appare neutrale. Ci troviamo di fronte a meccanismi difficili da disinnescare. Chi gestisce il potere, ne domina anche il linguaggio. Da qui deve partire la metamorfosi.
E soprattutto la stampa, in questo processo, ha un ruolo fondamentale. Considerando che i giornali inglesi ma anche quelli italiani continuano a dimostrare lentezza nell’evolversi malgrado siano stati costruiti paletti per arginare scorrettezza e metodo discriminanti.
Partiamo dalla situazione italiana, messa fuoco da Rosa Piro. Nel novembre 2017 a Venezia giornaliste e giornalisti hanno firmato un manifesto per il rispetto della parità di genere attraverso immagini e parole. Tra questi principi, quello di illuminare tutti i casi di violenza, ugualmente quelli più trascurati nei confronti di prostitute e transessuali con un linguaggio appropriato. Eppure, spesso, si insinua il filtro dell’indulgenza nei confronti dell’assassino con l’utilizzo di termini come raptus di gelosia, eventuale attenuante.
Non va meglio in quella di origine anglosassone, come dimostra lo studio della ricercatrice Giuseppina Scotto di Carlo che, analizzando l’articolo di un delitto su il Mailonline, ha indicato l’utilizzo immediato del vocabolo escort per raccontare il fatto (senza specificare nome e cognome) e l’inserimento di una foto in cui la vittima è ritratta in costume da bagno.
Tornando alla realtà di tutti i giorni e in particolare a quella della nostra penisola, la tendenza dei media è quella di diminuire l’incisività di una donna nella realtà chiamandola per nome: è il caso dell’astronauta Cristoforetti che svetta nei titoli come Samantha mentre il capo di stato maggiore del comando delle forze operative terrestri, neoeletto al Parlamento europeo nelle liste della Lega, viene indicato come Vannacci o il Generale, ma non è mai Roberto.
Nella spirale di un linguaggio ideologico e ideologizzato si fa risucchiare persino la magistratura nel mirino della Corte europea che più volte ha bacchettato l’Italia sollecitandola a una riforma organica e seria  che affronti la  violenza contro le donne.
Più che un corso di formazione, quello all’Orientale, è stato un’essenziale opportunità di aggiornamento cui potrebbero seguire (ci auguriamo) approfondimenti su altre emarginazioni di genere, radicate nell’educazione familiare, nella formazione, nella vita di tutti i giorni.
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Nella foto in copertina, il saluto del presidente dell’ordine dei giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli



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