Era il 1969 quando la Rai trasmetteva, in bianco e nero, lo sceneggiato “I fratelli Karamazov” per la regia di Stefano Bolchi. Più di venti milioni di spettatori che consacrarono il protagonista, un 35enne Umberto Orsini – nel ruolo di Ivan- al massimo successo. L’attore novarese, fra i maggiori maestri del teatro italiano, ritorna all’amato Dostoevskij con lo spettacolo “La leggenda del grande inquisitore”, liberamente ispirato al nucleo centrale e più rappresentativo del romanzo. La tourne ha fatto tappa al teatro Troisi di Fuorigrotta, in una tre giorni al cardiopalma. Non solo per la conclamata bravura degli attori- in scena con Orsini , che interpreta un Ivan vecchio, c’è Leonardo Capuano nei panni di Mefisto- ma anche per la scenografia che, con il battito cardiaco come colonna sonora, allude a una sala operatoria allestita per esplorare una coscienza avviluppata in dubbio lacerante.
Si può credere in Dio di fronte alle metastasi del male che, in gioco al massacro, si fa beffa dei più indifesi, finanche dell’innocenza dei bambini? Assurdit che la ragione non può spiegare. Ecco il silenzio, rotto solo dalle sequenze plastiche della lotta tra Ivan e il figlio demone da lui generato, una sorta di alter ego, incarnazione di una colpa collettiva. Al buio si avvicenda la luce, ma è quella al neon di una scritta “FEDE” che campeggia in alto. Di tanto in tanto il guizzo giovanile fa capolino con il velleitario progetto di un romanzo mai scritto, “La leggenda del grande inquisitore”, i cui diritti d’autore sono ormai nelle mani di Mefisto che ha preso le sembianze di un cardinale.
La corruzione non è circoscritta alla Chiesa, ma dilaga nell’intero sistema perch l’uomo è troppo debole e mediocre per gestire il libero arbitrio. Cos Cristo torna sulla Terra, durante l’epoca della Santa Inquisizione, ma della sua Verit è rimasto ben poco. Di qui l’arringa dell’Inquisitore – un magistrale Orsini- che lo accusa di voler mandare in frantumi le certezze di una religione che, seppur lontana dal messaggio evangelico, ha garantito degli equilibri. Giustizia, amore, solidariet sono concetti sublimi, fuori portata. “In medio stat virtus” dicevano i Latini, e forse tra cadute e risalite qualche sfida si può tentare.
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