Nella vita moderna siamo circondati da elementi visivi: le telefonate sono spesso sostituite da videochiamate, le riunioni in presenza da incontri on-line e con l’invio di prodotti delle nuove tecnologie digitali, come gli strumenti di cattura delle schermate, è possibile condividere informazioni in modo asincrono, sfruttando l’efficienza della comunicazione visiva. Nella trasmissione di un messaggio, la comunicazione visiva include idee, istruzioni, dati o altri tipi di informazioni, attraverso elementi grafici anziché testuali o sonori.
Fanno ormai parte del nostro linguaggio comune le faccine o Emoji[1],che descrivono uno status e ci aiutano a comunicare, le gif animate, che ci permettono di esprimere sentimenti e stati d’animo e gli stickers che ci consentono di dire dove ci troviamo, poter comunicare l’ora, il tempo… scattare un selfie e piazzare sul volto originalissimi occhiali da sole. Gli elementi visivi hanno una forte influenza sulla nostra vita quotidiana.
Alcuni studi riportano che il 50% delle persone ha una memoria visiva e preferisce affidarsi a contenuti visivi per acquisire le informazioni in modo più efficace. Sui social i post di solo testo sono ormai ampiamente superati e le campagne di marketing si affidano sempre di più a immagini, video e illustrazioni per attirare l’attenzione del pubblico o trasmettere idee e informazioni.
Gli specialisti della comunicazione visiva si riuniscono ogni anno in una città per gli European Design Awards, il più importante premio europeo dedicato al design. Dalla sua fondazione, nel 2007, questo incontro non è mai stato organizzato in una città del nostro Paese. L’AIAP, l’Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva, che ha organizzato l’edizione 2024, ha scelto Napoli[2], perché rappresenta vividamente quell’incrocio di culture, storia e miti che è il Mediterraneo.
Fondata nell’VIII secolo a.C. con il nome di Partenope dai coloni greci di Cuma, viene rifondata dagli stessi come Neapolis nell’ultimo trentennio del VI secolo a.C.
Nel IV secolo viene conquistata da Roma che lascia alla città ampie autonomie e permette che i suoi costumi, la sua lingua e le sue tradizioni di origine greca possano sopravvivere. Diventa provincia dell’Impero bizantino dal 536 al 1139: malgrado il rocambolesco rapporto iniziale i destini di Napoli sono fortemente legati a quelli di Bisanzio e restano saldi per sei secoli.
In questi anni la città conosce un importante periodo di autogoverno che negli anni trenta del IX secolo, quando il controllo imperiale diretto si rivela più debole, porta alla costituzione del Ducato di Napoli e per tre secoli, pur essendo formalmente dipendente da Bisanzio, è governata da un duca locale investito di poteri assoluti e sostenuto dalle famiglie cittadine[3].
La città ha conosciuto dal 1137 al 1197 il dominio della dinastia normanna con capitale Palermo e a seguire quello della dinastia sveva con l’avvento al trono degli Hohenstaufen di Federico II. È stato quest’ultimo, tramite l’editto generalis lictera del 5 giugno 1224, a designare Napoli come sede dello Studio generale, la seconda università della penisola, e la prima statale[4].
La città ridiventa capitale durante la dinastia angioina durata quasi due secoli dal 1268 al 1442 e quella aragonese che si protrae fino al viceregno spagnolo che copre un arco di tempo che va dal 1503 al 1713. Segue la riconquista dell’indipendenza con i Borboni e il periodo dell’unità d’Italia prima con la monarchia dei Savoia e poi la Repubblica. Con le tracce del suo illustre passato ancora visibili ad ogni angolo, Napoli è allo stesso tempo una città contemporanea, con una comunità di artisti e designer che trasforma la vita del centro storico in una vera e propria galleria a cielo aperto.
Il 4 febbraio 2024 la direzione del museo di Palazzo Reale di Napoli, impegnata in una valorizzazione della propria proposta culturale, per le attività di promozione e comunicazione che sono rivolte anche a rinnovare l’immagine della struttura, bandisce un concorso per l’elaborazione di un marchio o logotipo con elementi capaci di caratterizzare un’identità visiva.
È il direttore del Palazzo Reale, Mario Epifani, a definire i motivi di tale percorso: Il progetto di ricostruzione dell’identità del Palazzo Reale di Napoli è stato il nostro primo obiettivo fin dall’avvio del museo autonomo nel 2020. Con la nuova identità visiva lavoriamo al recupero dell’immagine di una grande residenza reale che è non solo un museo, ma una sede complessa, collegata alla Biblioteca nazionale e al Teatro di San Carlo. Vogliamo dare la massima evidenza ai tesori che il Palazzo accoglie, ma anche favorire la connessione con altre residenze reali, italiane ed europee.
Alla prima fase, che prevede la presentazione delle domande entro il 29 febbraio, partecipano 218 candidature tra cui sono stati selezionati a marzo i cinque finalisti che hanno avuto 60 giorni per presentare le proprie proposte progettuali, con scadenza al 30 aprile 2024. La commissione tecnica, costituita dal direttore Mario Epifani, dall’architetto di Palazzo Reale Almerinda Padricelli e da tre componenti dell’AIAP, l’associazione che ha coordinato l’attività[5], ha decretato il vincitore al quale è stato corrisposto un premio di 15mila euro, mentre agli altri 4 progetti è stato riconosciuto un rimborso spese di mille euro ciascuno.
Giovedì 30 maggio 2024 al Teatro di Corte, nel corso della serata inaugurale del primo European Design Festival tenuto in Italia, è stato presentato ufficialmente il logo scelto e con esso la nuova identità visiva che Palazzo Reale di Napoli intende proporre alla città. È stato il direttore nonché presidente della commissione tecnica Mario Epifani a svelare il nuovo logo e ad accogliere i vincitori sul palco, un team napoletano che ha un rapporto di lavoro consolidato da oltre 6 anni, capitanato da Francesca Pavese, romana e composto da Vito Della Speranza, Francesca Cuomo e Ciro Esposito. Gli altri progetti della graduatoria finale, che vede al secondo posto lo Studio FM (Milano), al terzo Miguel Palmeiro Designer (Porto-Portogallo), al quarto Giuditta Valentina Gentile (Firenze) e al quinto Stefano Tonti (Rimini), sono stati esposti in mostra all’interno di Palazzo Reale, su pannelli realizzati in occasione del festival.
Per Francesca Pavese: Dietro questo simbolo emblematico, si celano un’idea audace e un legame intramontabile. Ci siamo ispirati alla sinuosa geometria della Piazza del Plebiscito e alla maestosa struttura squadrata del palazzo. È proprio lì, nell’unione di questi elementi, che nasce il segno distintivo. Le linee si estendono, si intrecciano, in un abbraccio che evoca non solo la storia, ma anche il futuro.
Per spiegare l’idea principale che sta alla base di questo progetto di comunicazione, il cosiddetto concept creativo, gli ideatori chiariscono che la simmetria delle due parti del marchio, sfalsate sull’asse orizzontale, dona profondità e dinamismo. Il pittogramma richiama la “R” di Reale, la “N” di Napoli, ma anche il trono regale che un tempo dominava. Riflettendosi su sé stesso, il marchio sottolinea l’unicità della struttura che si staglia sul mare, come un faro di cultura e arte. Trovo interessante l’ultima parte della comunicazione quando si parla di Palazzo Reale, come epicentro della vita culturale e artistica di Napoli e quando vede il nuovo marchio come una promessa di rinascita, un invito a scoprire e a celebrare l’abbraccio eterno tra la città e la sua regale dimora.
Palazzo Reale negli ultimi anni, con una progettazione articolata, ha valorizzato i suoi spazi, dedicandoli a mostre temporanee[6] o a mostre permanenti[7], come il Museo Caruso e la Galleria del tempo, proponendosi come un nuovo polo culturale della città. Per il direttore oltre al recupero dell’immagine di una grande residenza reale ci si propone di favorire la connessione con altre residenze reali, italiane ed europee. Ripercorrere la storia di una sede del potere vuol dire indagare sulle trasformazioni che sono intervenute nel contesto sociale ed economico ed arricchirsi dell’esperienza umana nei vari campi del sapere e delle arti che da sempre accompagna la vita degli uomini nelle varie epoche.
Le residenze reali di Napoli hanno avuto una storia lunga e complicata.
La prima quella di Castel dell’Ovo, che non è stata realizzata a tale scopo: viene costruita sull’isolotto di Megaride ed è legata alla leggenda della sirena Partenope che ha dato inizio con l’antica Palepolis alla storia della città. Domus del console romano Lucio Licinio Lucullo alla fine dell’impero romano, nel 476 è il re goto Odoacre a deporvi l’ultimo Imperatore, Romolo Augusto, risparmiandogli la vita per la sua giovane età.
La costruzione di un vero e proprio castello avviene nel 1128. Il primo ad abitarlo, da sovrano napoletano, è stato Ruggiero il Normanno, che, conquistata Napoli nel 1140, stabilisce la sua residenza sull’isolotto e dà inizio alla costruzione di Castel dell’Ovo così come lo conosciamo oggi. Il suo nome nasce da una leggenda secondo la quale il poeta Virgilio ha nascosto nei sotterranei dell’edificio un uovo magico con il potere di mantenere intatto l’intero castello. La rottura dell’uovo avrebbe causato non solo la caduta del castello, ma una serie di sciagure che avrebbero coinvolto l’intera città.
È stato il figlio di Ruggiero, Guglielmo I detto il Malo, re di Sicilia, a dar vita alla costruzione di Castel Capuano, avviata verso il 1150 e portata a termine nel 1160, su un preesistente fortilizio di età bizantina, in posizione strategica, a cavallo della cinta muraria, a difesa di Porta Capuana (da cui deriva il nome). Edificato come fortezza fu poi ristrutturato da Federico II di Svevia nel 1231, e adattato a dimora regia per i periodi in cui il Sovrano da Palermo viene a Napoli. Con l’avvento della dinastia angioina, nel 1266, Napoli diventa capitale del regno e città europea e Carlo I avvia la costruzione di Castel Nuovo, che diventa dimora reale preferita a Castel Capuano, che resta residenza saltuaria di principi e reggimenti reali.
Per avere una residenza reale in prossimità del mare e nei pressi di una zona della città in espansione re Carlo inizia nel 1279 i lavori per la costruzione del Castrum Novum che terminano dopo soli 3 anni. Per la rivolta dei Vespri siciliani, che gli costa la corona di Sicilia conquistata da Pietro III d’Aragona, non arriva mai ad abitarvi e la nuova reggia rimane inutilizzata fino all’anno della sua morte nel 1285.
È il nuovo re Carlo II d’Angiò, detto lo zoppo, a trasferirsi con la famiglia e la corte presso la nuova residenza, che fu da lui ampliata e abbellita. Durante il suo regno, il 13 dicembre del 1294 nella sala maggiore di Castel Nuovo avviene l’abdicazione di papa Celestino V e il 24 dicembre successivo, nella stessa sala l’elezione di Bonifacio VIII.
Con l’ascesa di Roberto d’Angiò detto il saggio nel 1309, grazie alla sua passione per le arti e lettere, diviene centro di cultura ospitando letterati come Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio o pittori come Giotto, chiamato a dipingere la Cappella Palatina. Dal 1343 è stata la dimora di Giovanna I e, dopo tormentate vicende che sottoposero la fortezza ad attacchi e saccheggi, residenza reale di Ladislao I dal 1399 al 1414. Alfonso d’Aragona, che conquista il trono di Napoli nel 1443, ricostruisce la fortezza nelle forme attuali, sceglie il castello come centro del potere regale e vi insedia una corte di magnificenza capace di competere con quella fiorentina di Lorenzo il Magnifico.
Fino al 1503, Castel Nuovo fu residenza di altri sovrani, poi il regno di Napoli viene annesso alla corona di Spagna e la città perde la funzione di Residenza reale diventando sede di vicereame spagnolo (fino al 1707) cui seguì quello austriaco (terminato nel 1734).
Nel 1543 Pedro Álvarez de Toledo decide la costruzione di un palazzo vicereale edificato in quel largo ora conosciuto come piazza Trieste e Trento e, poco dopo mezzo secolo circa, un altro viceré, Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos, e la moglie viceregina Catalina de Zúñiga, in previsione di una visita, a Napoli, del sovrano spagnolo Filippo III d’Asburgo, decidono di far costruire un nuovo palazzo reale che ospitasse, dignitosamente, il sovrano in visita.
Palazzo Reale di Napoli, con il suo nuovo percorso, può essere considerato un prototipo per la valorizzazione delle altre sedi napoletane che sono state sedi del potere e potrebbe diventare il capofila di una rete capace di indagare sulla relazione tra la storia e l’uomo e su quella domanda per la quale non c’è una risposta univoca così importante nei nostri tempi segnati da conflitti e morte: È l’uomo che fa la storia o è la storia che fa l’uomo?[8]
Un ultimo aspetto che questa scelta del logo per Palazzo Reale sottopone alla nostra riflessione è quello legato a questa nuova disciplina, il Graphic Design, espressione inglese che si potrebbe tradurre con Progettazione Grafica, che per comunicare crea materiali visivi attraverso l’utilizzo di testi, immagini e colori.
Il protagonista, il Graphic Designer o semplicemente Grafico, è stato definito da Dean Vipond sulla rivista Medium come colui che usa colori, lettere ed immagini per aiutare le persone a capire meglio le cose[9]. È lui che progetta soluzioni visive, efficaci e coerenti, lavora sul significato dei messaggi, usa segni e forme grafiche, che elabora e tratta per sviluppare contenuti applicabili a diversi tipi di media, costruisce un’identità visiva riconoscibile.
Nel presentare il nuovo logo di Palazzo Reale è stato scritto che questa nuova identità visiva intende accogliere i visitatori da ogni angolo del globo, invitandoli a scoprire la grandezza e la bellezza di questa storica dimora. In effetti la nuova identità visiva può non solo accogliere ma arrivare ai potenziali visitatori di ogni angolo del globo.
La Napoli del Seicento è stata famosa per i dipinti, la forma di comunicazione di quei tempi, oggi occorre puntare su quella del futuro: il design che utilizza sempre più tecnologia e natura e con un segno riesce a semplificare e talvolta a sintetizzare la complessità del reale. Si tratta di mettere insieme le esperienze che già ci sono nel settore, aiutarle a crescere, farle diventare sistema.
Il genius loci o spirito del luogo che caratterizza la città non manca di quella creatività indispensabile per tale attività lo dimostra il fatto che a trionfare nel concorso su Palazzo Reale sia un gruppo guidato dalla romana Francesca Pavese ma con un team tutto campano, composto dagli ischitani Vito Della Speranza e Francesca Cuomo e dal napoletano Ciro Esposito[10].
Il Palazzo Reale di Napoli sembra diventare un luogo di incontro dove il passato, rappresentato dalle storie delle dimore reali, incontra l’immagine e l’immaginario del futuro restando fermamente radicato nel presente.
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NOTE
[1] La prima “:-)” venne inviata tramite email nel Settembre 1982. Scott Fahlman scrisse ai suoi colleghi che avrebbero potuto usare “:-)” per segnalare battute e scherzi. A distanza di 34 anni usiamo ancora le emoticon allo stesso modo.
[2] Dal 30 maggio al 2 giugno 2024 a Napoli la prima edizione italiana dell’European Design Festival 2024 . Il programma del Festival è stato pensato per consentire a designer e creativi provenienti da tutta Europa di vivere intimamente alcuni dei luoghi simbolo della città come il Complesso Museale Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, la Fondazione FOQUS, la Biblioteca Fra Landolfo Caracciolo, l’Accademia di Belle Arti, il Teatro Mercadante, Made in Cloister, il Chiostro di S. Lorenzo, Palazzo Reale, l’Istituto Istruzione Superiore Statale “Giovanni Caselli”
[3] https://www.vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/La-Rassegna-dIschia-Gennaio-Febbraio-2023.pdf
[4] Il motto dell’Università Ad scientiarum haustum et seminarium doctrinarum, è tratto dalla lettera di Federico II.
[5] I tre componenti dell’AIAP presenti nella commissione tecnica sono stati: la presidente Cinzia Ferrara, docente dell’Università di Palermo, l’Ambasciatore della Campania Biagio Di Stefano e la consigliera Nazionale Ilaria Montanari.
[6] Le mostre temporanee sono ospitate nella Galleria del Belvedere
[7] Il Museo Caruso è ospitato nella Sala Dorica mentre la Galleria del tempo nelle Scuderie Borboniche.
[8]Secondo Giambattista Vico la storia è fatta dall’uomo, ma Hegel e Goethe non sono dello stesso avviso, per loro è la storia che fa l’uomo. Per il tema È l’uomo che fa la storia o è la storia che fa l’uomo? non c’è una risposta univoca. Ciò suona paradossale, perché senza dubbio la storia registra quello che fanno gli uomini. Ma bisogna vedere se quello che fanno gli uomini non obbedisce a un inconsapevole comando, cioè a impellenti istanze storiche, che hanno determinato la loro formazione e determinano il loro destino. Di sicuro il genio, che io intendo come uomo di ingegno a tutti i livelli dall’artigiano all’intellettuale, non rispecchia, ma integra il processo storico, da cui per vie interne è suscitato. Il genio è infatti l’estrema risorsa nelle crisi dell’umanità, il genio è la capacità di adattamento dell’uomo al mutare delle circostanze storiche, cioè alle crisi che esse stesse suscitano. Da Carmine Negro La Lunardiera e la Napoli capitale Rassegna d’Ischia n 1 / 2022 pag. 60
[9] https://deanvipond.medium.com/explaining-graphic-design-to-four-year-olds-fe9257ffaf3d
[10] Interessante quanto riferisce sulla creatività Beatrice Leanza direttrice del Museum of design and applied arts di Losanna (Mudac): “La creatività, da sempre pensata come a un esercizio individuale, oggi emerge con una nuova prospettiva”.