Palazzo Venezia/”Il vento nero non vede dove va”: Jean-Noël Schifano presenta la cronaca satirica di un paese bugiardo. Dove spunta la dama con l’ermellino e maschera antigas (DDTART)

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Il rosso e il nero. Come nel romanzo di Stendhal. Il primo, il colore della passione. Il secondo, metafora di assenza, vuoto, morte. Si alternano nelle pubblicazioni dedicate dalle edizioni napoletane Colonnese o allo scrittore francosiciliano Jean-Noël Schifano che, in realtà, si sente solo partenopeo, ormai da decenni.
Ed è rossa la copertina del nuovo nato, Il vento nero non vede dove va, cronaca satirica di quello che succede in Italia, paese delle menzogne su cui l’autore getta la luce della satira.
Inizia come un romanzo. Tutto parte da una missiva che Malaparte invia all’amico Schifano, scrittore (assolutamente e politicamente) scorretto, suo contemporaneo, il 14 febbraio 1948.
A riceverla, 61 anni dopo, è il figlio giornalista, con le scuse del Sottosegretario di Stato alle Comunicazioni e la preghiera che non si faccia pubblicità su questo imperdonabile ritardo dovuto a un disguido. La lettera si è persa tra gli scaffali, caduta, dimenticata e, alla fine, ritrovata.
Da qui la scrittura scorre come un torrente impetuoso in pagine dove emerge il romanzo criminale di un’Italia dalla storia “scontraffatta”, frutto di un’annessione violenta, non di una reale unificazione.
Un Paese che poi è finito nelle mani di un premier Escort-Cavalier Caesar di Cascabello (Silvio Berlusconi), “valletto cattolico” e donnaiolo, in una realtà peggiore di quella fascista. Un Paese dove un Escort- scrittore Pirimpipi-Pirimpipone (Roberto Saviano) è stato incoronato simulacro intoccabile (con il robusto aiuto dei media e dell’editoria internazionali), vate indiscusso contro la criminalità organizzata.
Accade di tutto nel Paese del bluff, sulla pelle di immigrati, clandestini, dannati. Popolo errante, in cerca di sopravvivenza, sfruttato da una schiera di spietati “caporali » di una “Little Africa” che si barcamena tra Capua e Castelvolturno. Dove, subito dopo il suo concerto anticamorra, si spegne per una crisi cardiaca “Mama Africa”, la settantaseienne leggendaria Miriam Makeba, voce simbolo contro il razzismo.
L’Italia cui si riferisce Schifano è quella di undici anni fa, quando questo libro è uscito in Francia per le edizioni Fayard, ma i velenosi meccanismi d’inganno sono sempre gli stessi.
Tuttavia, una verità si è fatta strada in questa lunga emergenza dettata dal Covid: che l’Italia non può fare a meno di Napoli, unica e possibile apripista del sud e che la città, pur strapazzata e lacerata dai luoghi comuni che la vogliono capro espiatorio delle malefatte italiane, possa diventare laboratorio politico da cui aspettarsi un cambiamento sorprendente come lo è quello della dama (tatuata) con l’ermellino e maschera antigas che ci guarda dalla copertina del libro in versione italiana.
La signora dall’aspetto inquietante e enigmatico è il risultato della geniale rilettura del capolavoro di Leonardo da Vinci compiuta da DDTArt, ovvero Giuseppe Lucio Labriola, autore napoletano che firma le proprie opere con questa sigla.
Il nickname DDTART allude alla potenza dell’arte come antidoto contro il tossico saccheggio umano dell’ambiente, alla sua capacità di denunciare con ironia e forza rappresentativa lo sfregio del pianeta che consegnerà alle generazioni future reperti postumani in cerca di una vita da inventare.
Schifano ha voluto che fosse questa la prima immagine da trasmettere a lettrici e lettori per annunciare l’incandescenza della sua narrazione di cui parlerà domani, martedì 12 ottobre a Napoli, a Palazzo Venezia con la giornalista del quotidiano “la Repubblica”, Conchita Sannino e il traduttore Gabriele Anaclerio. Dopo l’introduzione dell’editrice Francesca Mazzei e il saluto del “padrone di casa” Gianmarco Sannino, artefice della rinascita culturale dello splendido edificio nel cuore antico di Partenope.
Saranno le musiche di Marco Zurzolo e l’aperitivo con lo scrittore ad addolcire un dibattito che potrebbe diventare rovente come il rosso di Stendhal.
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