Paste up festival celebra l’arte indipendente. Il 17 e 18 settembre la manifestazione si svolgerà a Napoli e verrà ospitata nel quartiere di San Giovanni a Teduccio.
Nata attorno a un piccolo nucleo di artisti napoletani, la rassegna è cresciuta nel tempo, sfidando diffidenze e pandemia. Ne parliamo con l’artista Alex, alias Street art project Naples.
In che cosa consiste il Paste up festival?
È un evento multidisciplinare, che nasce dall’incrocio di alcune forme d’arte di strada, la street art, la poster art, la sticker art. Il Paste up sarà una mostra di arti visive in cui proporremo anche altre attività. Si terrà uno spettacolo teatrale per bambini e dei laboratori. Un artista relizzerà un murale dal vivo e si terranno spettacoli di danza e concerti.
Come nasce l’idea di questo evento?
Nel 2019, ho avuto l’idea di voler realizzare una galleria per la poster art. Dopo aver avviato la ricerca di un luogo, si è presentata l’occasione di ottenere uno spazio al Giardino liberato di Materdei. Abbiamo dovuto ripulire il posto e allestire la mostra. A dire il vero, inizialmente non si pensava a un evento. L’idea era di creare una galleria in via di sviluppo, ospitando opere di artisti internazionali che avrebbero inviato per posta i loro lavori.

In copertina: Uno scatto della seconda edizione del Paste Up Festival. Sopra: la locandina di quest’anno

Come mai hai scelto di proporre proprio la poster art?
Mentre in tutto il mondo quest’arte è abbastanza popolare e richiesta, qui a Napoli questa forma d’espressione era abbastanza marginale e frammentaria. C’erano pochi artisti che, per giunta, proponevano un po’ le solite cose. Io, invece, volevo sfruttare le bellissime mura di una città antica come questa e riproporre quanto accade a Berlino, Londra e nelle principali capitali culturali europee. Volevo portare un po’ di mondo a Napoli.
Qual è stata la risposta che hai ricevuto?
L’organizzazione della prima edizione è stata abbastanza burrascosa, perché è scoppiato il Covid. Poi, insieme ad altri che hanno supportato il progetto, ci siamo detti che avremmo organizzato un evento appena possibile. Superati i primi mesi di lockdown, man mano la cosa ha preso forma, soprattutto grazie alla disponibilità delle persone di buona volontà che hanno creduto nel Paste Up. Quando abbiamo fatto la call [in gergo, la chiamata – N.d.R.], non ci auspicavamo un grande riscontro, invece hanno risposto 170 artisti! Ognuno di essi ha inviato più di un’opera. Abbiamo immediatamente ricevuto riscontri di entusiasmo in città e all’estero, anche grazie alla divulgazione tramite Instagram del progetto.
A chi si rivolge il Paste up?
A tutte le fasce d’età. Dalla prima edizione, abbiamo potuto constatare che il nostro pubblico è molto vario. Vengono dagli adolescenti agli anziani, passando per le famiglie con bambini e cani al seguito. Tengo a sottolineare che l’evento è completamente gratuito.
Come si è evoluta poi, l’idea?
Dopo la prima edizione al Giardino liberato, ho tratto un bilancio. L’idea aveva un gran potenziale, ma la messa in opera in quello spazio aveva presentato alcune problematiche di agibilità, dato che la struttura è un po’ fatiscente e con altri volontari abbiamo dovuto faticare non poco per allestirne gli spazi. Nonostante questo, il riscontro al progetto è stato assolutamente fantastico.L’anno successivo, ho ricevuto una proposta di collaborazione da Aldam, un altro artista di strada. In due, si è creata da subito più condivisione ed energia. Ciò che ci accomuna più di tutto è il voler creare reti e connessioni. Abbiamo avuto la possibilità di svolgere la seconda edizione del Paste up alla Casa del popolo di Villa Medusa, dove c’hanno accolto col tappeto rosso. Alla call stavolta hanno risposto quasi 300 artisti, ossia quasi il doppio del primo appuntamento.

Una parete allestita nella Casa del Popolo di Villa Medusa, anno 2021

In cosa differisce la rassegna di quest’anno dalle precedenti edizioni?
Oltre a me e Aldam si è aggiunta un’associazione, Q-Est Napoli, che si occupa di progetti europei ed iniziative culturali. Loro ottengono dei fondi che destinano alla promozione di cultura in un territorio che, ricordiamolo, viene considerato marginale, degradato, periferico. Grazie a Q-Est, ad esempio, quest’anno potremo dare un piccolo rimborso ai musicisti che si esibiranno dal vivo. Negli anni passati, chi ha suonato l’ha fatto a titolo puramente gratuito come forma di sostegno al progetto. Ma è giusto che si riconosca anche a chi offre il proprio talento un minimo di supporto.
Come ha risposto la scena artistica napoletana a questo appello? Prendo atto che delle volte, anche qui, non c’è la volontà di uscire e di confrontarsi con la scena internazionale. Alcuni preferiscono rimanere ristretti nella loro visione intimistica. Di mio, ho sempre avuto la necessità di confrontarmi, connettere, unire, creare legami. Anche Aldam ha la mia stessa visione.
E’ un giudizio negativo della scena artistica locale?
Al contrario, è riferito per fortuna a poche persone. Apprezzo enormemente il contributo degli artisti napoletani che hanno avuto apertura mentale e contribuito alla riuscita del Paste Up. D’altronde, questa occasione per loro garantisce divertimento e visibilità. È molto bello anche il clima che si crea in questa circostanza, perché ciascuno mette a disposizione degli altri le sue capacità nell’interesse comune. Ad esempio, c’è Fabio Calvetti che dalla prima edizione ha dedicato gratuitamente il suo tempo per fare dei video che si sono poi rivelati fondamentali per la comunicazione del progetto.
Prima dicevi che vuoi portare un po’ di mondo a Napoli. La traccia attorno a cui si sviluppa l’edizione di quest’anno è “no borders”, senza confini…
Nelle prime due edizioni, fra i vari problemi, abbiamo dovuto contingentare gli ingressi a causa del Covid. Quest’anno, invece, agiamo in uno scenario dove sembra scemare la pandemia. Dovrebbero essere cadute le paure, di conseguenza non dovremo più limitare la partecipazione. La vera novità, però, è che sullo sfondo di questa edizione del Paste up c’è l’ombra del conflitto fra Russia e Ucraina. In questo, prendo atto di un segnale assolutamente positivo: registriamo un’alta partecipazione di artisti russi. Dall’Ucraina non sono giunte delle opere, probabilmente perché quel popolo ora si sta misurando con ben altre difficoltà. I russi, invece, hanno inviato i loro contributi per dire che vogliono essere nostri amici e che si dichiarano apertamente contro la guerra, non condividendo l’operato del loro governo. Ci sono persone che non c’entrano nulla con la guerra anche lì e che non sarebbe giusto censurare, com’è stato fatto pressoché ovunque. È un messaggio molto potente: l’arte e la cultura uniscono ciò che le guerre dividono.

Opera allestita nel Giardino liberato di Materdei, anno 2020.

Come ricordavi, state creando un movimento che valorizza l’arte indipendente. Questa cosa non entra in conflitto con quel tipo d’arte individuale, elitaria ed egocentrica tanto in voga in Occidente?
In questo mondo c’è posto per tutti. C’è quello chiuso e ci sono quelli cui piace valicare i confini. Lo scopo del nostro progetto è di valorizzare la poster art alla quale qui a Napoli nessuno ha mai dato credito.
In cosa differisce questa espressione da altre forme d’arte di strada?
La street art risulta più figa, attira attenzione. Possiamo dirci fuori dai denti che ci sono artisti che si fanno i soldi coi murales. In ballo poi, ci sono fondi europei e diverse associazioni campano di questo. La poster art è gratuita, realizza un’opera e la mette a disposizione della città. Il primo scopo, dunque, è valorizzare quest’arte nella città di Napoli, che è presente in tutti i contenuti esposti. Indirettamente, contribuiamo anche allo sviluppo di un turismo culturale internazionale, perché la gente che ci segue sui canali social da altri paesi si è appassionata al nostro progetto e viene qui a visitare la nostra città, carpendone la bellezza.
Insomma, si unisce l’utile e il dilettevole…
Più che altro, stiamo provando a dare un po’ di visibilità agli artisti napoletani indipendenti. Se avessi dei fondi, mi piacerebbe aiutare gli artisti locali ad emergere, magari prendendo in gestione uno spazio da offrire loro per esporre opere e promuovere il loro talento. Questo è un grande problema della nostra città. Se non entri nel circuito delle gallerie d’arte, integralmente gestite da privati, non esisti come artista. Il che è semplicemente assurdo.
La mancanza di spazi gratuiti e la gestione privatistica costringe gli artisti napoletani a emigrare o a subordinarsi alle mode vigenti?
Certo o, quantomeno, li condiziona pesantemente. Ciò che non si comprende, è che l’arte è importantissima in ogni società. Pensiamo agli artisti delle epoche precedenti. Come fa uno storico a ricostruire gli usi e i costumi di periodi in cui non esistevano la fotografia, la televisione, gli smartphone? Attraverso lo studio dei quadri o delle sculture. Quello che facciamo ha un valore più profondo dell’immagine in sé, lascia una traccia a chi verrà dopo di noi. Certo, i poster sono un’arte effimera, perché sono delicati. Ma è chiaro che qui parliamo di arte in generale.
In che senso è un’arte effimera?
Paste up deriva dall’espressione inglese attaccare. Quello che facciamo è produrre manifesti che vengono applicati con la colla sul muro. Naturalmente, ci sono delle variabili: gli agenti atmosferici, la qualità della colla, gli interventi di chi vandalizza le opere, ecc. Tuttavia, se un poster viene messo su un muro con la colla buona e in un posto non troppo esposto ad agenti atmosferici, l’opera può durare anche anni. La gente di Napoli apprezza moltissimo questa forma d’arte e lo dimostra dando grande rispetto agli artisti che vengono da fuori a proporre le loro opere. Cosa che, ad esempio, non avviene in altre grandi città. Ecco perché qui c’è un potenziale enorme. In linea di massima, a Napoli le persone riconoscono il valore dell’arte di strada, perché valorizza un vicolo o un muro sgarrupato, donandogli nuova bellezza e dignità.
Produrre arte è un po’ come il sognare. Credi che l’essere un’artista di strada oggi sia un atto sovversivo?
Una volta realizzai un progetto artistico sui sogni. L’idea era di descrivere ciò che si era sognato su un rotolino da scontrini. Quando creammo un evento per esporre queste opere, si generò un momento magico, perché con mia grandissima sorpresa vidi che questi sogni erano stati scritti su rotolini in tutte le lingue del mondo, in quanto le persone li avevano inviati anche dall’estero. Per rispondere alla tua domanda: sognare non è un atto sovversivo. È una cosa normale. Come il produrre arte. Semmai, entrambe le cose ci appartengono e dovremmo sentirle più nostre per non trasformarle ancora in delle eccezioni.

Allestimento di un sala multimediale, anno 2021 [Photo credit: Street art project Naples, che si ringrazia per l’amichevole partecipazione]

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