Il pittore fu protagonista della Napoli del Seicento. Il patriarca bronzeo dei Caravaggeschi: Battistello Caracciolo (1578-1635) è la mostra a lui dedicata fino al 2 ottobre 2022 in un itinerario espositivo che si sviluppa tra Capodimonte, Palazzo Reale e San Martino. Dopo la prima parte, Carmine Negro ci conduce nella seconda e ultima tappa del suo viaggio artistico.
SECONDA E ULTIMA PARTE
L’approccio multimediale, costituito dalla proiezione di immagini associate a voci e suoni ed un articolato allestimento, che crea un tragitto capace di stimolare la ricerca di punti di osservazione differenti, coinvolgono lo spettatore e lo rendono co-protagonista del percorso espositivo.
Nel surreale filmato di ingresso la scena, come in una opera teatrale, comincia lentamente ad animarsi: il sipario costituito solamente da un piccolo drappo rosso, si dissolve in alto mentre al centro, come una quinta scenica che s’illumina, appare prima S. Gennaro seguito poi da una serie di elementi figurativi ed architettonici; l’insieme richiama l’affresco Gloria di San Gennaro tra i santi patroni di Napoli nella cappella del Rosario della chiesa della Certosa di San Martino.
Nella parte bassa, ad attrarre l’attenzione, sono le fiammelle di sei candele votive che, in maniera indipendente l’una dall’altra, alternano momenti in cui si presentano alte e brillanti a momenti in cui danzano, si spengono e fanno fatica a riaccendersi salendo e scendendo ripetutamente. Le fiammelle, in genere, e queste in particolare, rievocano l’incontro con la divinità a cui ci si affida e in cui si confida; sono lo strumento attraverso il quale si assiste ad una conversazione privata tra due esseri di luce dove passato e futuro sembrano dissolversi in una dimensione senza tempo. Nella parte alta, da un finestrone, un’apertura che si trova al di sopra della piattabanda, si ripete il costante passaggio di una figura umana di cui si intravedono solo i piedi scalzi e le gambe nude. Un canto popolare accompagna la scena resa viva dallo svolazzare di un drappo che pende proprio da quell’apertura in alto. Il tutto crea una forte interazione emotiva, tocca le corde più primitive fatti di vibrazioni profonde e figurazioni recondite.
Il percorso della mostra nella Sala Causa del Museo di Capodimonte, ripercorre la produzione artistica di Battistello Caracciolo dagli inizi sino alla maturità e si sviluppa, in ogni sala, attraverso un confronto tematico e stilistico con i grandi maestri dell’epoca: da Francesco Curia a Jusepe Ribera sino a Pietro Bernini.
All’inizio del percorso, dietro l’austera finestra, che rimanda alla facciata della Cappella del Monte di Pietà a Napoli, avevamo incontrato la scultura di Fabrizio Pignatelli, realizzata per il suo monumento funebre proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Mater Domini di Napoli. Il defunto, inginocchiato, con il braccio destro al fianco e con la mano sinistra nell’atto di toccarsi il petto in un gesto di umile sottomissione, incarna il profilo di buon cristiano secondo le regole della controriforma. Fabrizio Pignatelli era un personaggio di grande rilievo dell’aristocrazia napoletana e Naccherino, nella sua rappresentazione, sembra mirare più all’aspetto devozionale che a quello celebrativo.
La prima Sala, che ha come tema Il Battista e altri ragazzi di vita, fa riferimento a quella sensualità esplicita e torbida che evoca i ‘ragazzi di vita’ delle opere di Caravaggio. La vicinanza ai modelli del Caravaggio è testimoniata da alcuni dipinti che vanno dal 1610 al 1622, come il San Giovannino giovinetto, proveniente dal Museo Filangieri e il San Giovanni Battista fanciullo della fondazione De Vito. Anche l’Amorino dormiente del 1622 di Palazzo Abatellis a Palermo è riconducibile, per la plasticità del nudo e le linee di contorno, allo stesso soggetto di Caravaggio di Palazzo Pitti a Firenze.
La sezione successiva, denominata L’ombra di Caravaggio ricorda lo sviluppo della stagione del naturalismo nel Vicereame, con l’arrivo nel settembre del 1606, del Caravaggio a Napoli. La tela l’Immacolata Concezione, con i santi Francesco di Paola e Domenico, proveniente dalla chiesa napoletana di Santa Maria della Stella, realizzata tra il 1607 ed i 1608 rappresenta il primo sforzo coerentemente caravaggesco di Battistello.
Scenograficamente il dipinto si sviluppa su tre registri: in alto a sinistra si vedono l’Eterno e due angeli con accanto la figura dell’Immacolata che schiaccia con il piede il drago. Nel registro centrale, oltre al drago, è rappresentato un gruppo di cinque giovani angeli che reggono fiori ed uno specchio, mentre defilato sul lato destro della scena è ritratto uno scheletro. Il registro inferiore del dipinto porta raffigurati a sinistra san Francesco di Paola e san Domenico, entrambi con lo sguardo rivolto allo spettatore, mentre sul lato destro c’è la figura di Adamo con in mano la mela del peccato originale. La composizione scenografica sembra richiamare la versione della Madonna del Rosario di Vienna, mentre l’Eterno con i due angeli ricordano quelli “della voltatella” delle Sette opere di misericordia del Pio Monte a Napoli[1].
La figura di Adamo, ritenuta l’autoritratto di Caracciolo[2], che sembra richiamare la posizione del san Matteo che il Caravaggio eseguì nella scena del Martirio del santo per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma, indica la firma per esteso dell’artista allora quasi trentenne. Il carattere realistico dei volti dei santi, nella parte inferiore del dipinto, assegna a Battistello un posto di rilievo nell’evoluzione del ritratto storico nel Vicereame.
Se a Napoli, negli stessi anni, il pittore Carlo Sellitto (1581-1614) si mostra in grado di dipingere ritratti di straordinario realismo, i confronti più incisivi si pongono con l’ambiente degli scultori. Per questo i curatori hanno deciso di avvicinare tale pala al Ritratto di Fabrizio Pignatelli di Monteleone ed al busto di Girolamo Flerio di Cosimo Fanzago della chiesa napoletana di Santa Maria di Costantinopoli, realizzato tra il tra il 1620 e il ’23. In questa sala sono presenti altre due opere di forte impronta caravaggesca: l’Ecce Homo del 1607-1610 del Museo di Capodimonte e il Fortitudine Pares o Cupido e la Morte del 1608-1610, raro soggetto allegorico del Museo della Cattedrale di Mdina (Malta).
Rientra nel tema Battistello e Curia a confronto, la tela Battesimo di Cristo dei Gerolamini che ha una struttura compositiva affine a quella del Martirio di Sant’Orsola del Caravaggio delle Gallerie d’Italia: le due figure del quadro emergono prepotentemente da un fondo scuro, e sono illuminate da una luce laterale che ne evidenzia alcuni particolari anatomici. Solo qualche anno prima Francesco Curia, aveva affrontato lo stesso tema in una tela della Cappella Brancaccio del Duomo di Napoli con le figure riprese in un paesaggio e con altri battezzati.
Visibile su uno degli altari della chiesa del Pio Monte di Misericordia è la Liberazione di San Pietro dal carcere, uno dei dipinti più celebri del Caracciolo e di tutto il ‘6oo caravaggesco. Nel 1615 Battistello, per eseguire quest’opera, oltre a rivisitare l’affresco di eguale soggetto realizzato da Raffaello, tra il 1513 e il ’14 per la Stanza di Eliodoro in Vaticano risente, nelle stesure dell’abito dell’angelo, del contatto con il Gentileschi, conosciuto a Roma un anno prima (1614). Così a cinque anni dalla morte del Caravaggio (1610), la tensione e il rigore del primo naturalismo vengono ammorbiditi e stemperati. (Distensione e ingentilimento del Caravaggismo).
La sala successiva ha come tema Una questione di stile. Ribera e Battistello alla fine del primo ventennio. Dopo un breve soggiorno a Roma Jusepe de Ribera, nel 1616, si trasferisce a Napoli. Attraverso i virtuosismi tecnici e gli effetti pittorici di superficie, in pochi mesi riesce a mutare definitivamente le sorti della pittura locale e Battistello partecipa con le sue opere alle novità del pittore spagnolo. Lo si vede nella monumentale tela Madonna d’Ognissanti, realizzata per la chiesa matrice di Stilo[3] tra il 1618 e il 1619 su commissione del medico Tiberio Carnevale, in cui raffigura una complessa rappresentazione del Paradiso con i protagonisti disposti su due registri secondo i precetti sanciti dalla Controriforma: i Santi, insieme con la Vergine Maria, ascoltano le preghiere dei fedeli e presentano le supplici istanze a Cristo.
In alto è raffigurata la Chiesa Trionfante, con al centro Maria col Figlio incoronata da angeli; nel gruppo a sinistra si possono riconoscere sant’Anna, san Francesco di Paola, san Francesco d’Assisi e san Giovanni Battista, a destra invece, san Giuseppe e i santi diaconi Stefano e Lorenzo.
La Chiesa Militante si colloca nel registro inferiore, con i santi Pietro e Paolo ai piedi della Vergine, tra il gruppo degli Evangelisti, a sinistra, e quello dei Quattro Dottori della Chiesa, a destra; alle loro spalle si intravedono altre figure che fuoriescono dal buio del fondo: fra esse Maria Maddalena e santa Marta.
La composizione creata da Battistello genera uno spazio denso di figure pervase dal chiarore di una luce radente o immerse nella fitta penombra che amplifica il tono rosato dei raffigurati e l’intensità del rosso e dell’ocra delle vesti e rende più indefinito e cupo lo sfondo della scena[4]. Complessa ed articolata la relazione tra le figure, fatta di gesti e di sguardi; il dipinto costituisce un autentico punto di svolta nella carriera di Battistello conquistato dagli effetti pittorici di superficie dello spagnolo Ribera giunto a Napoli nel 1616.
Poco lontano da questa monumentale rappresentazione si vede un’opera tra le più impegnative della maturità del maestro: il Miracolo di Sant’Antonio da Padova . La pala raffigura uno dei miracoli più noti compiuti da Sant’Antonio da Padova: la resurrezione di un morto che scagiona suo padre, ingiustamente accusato dell’omicidio. Nella tela del 1620 circa, siglata col monogramma BCA, l’angelo in volo ricorda quello delle Sette opere di Misericordia dipinto da Caravaggio per l’altare maggiore della Chiesa napoletana del Pio Monte della misericordia nel 1607.
Nella sala che ha come tema Figure seminude in una stanza. Genesi e variazione di un tema caravaggesco l’opera del Caracciolo La Crocifissione con i dolenti si può confrontare con la Crocifissione di Sant’Andrea di Caravaggio attualmente al Museo di Cleveland, ma Battistello adotta uno scarto patetico e un cambiamento della luce che ammorbidiscono la composizione. Nelle tele come Davide con la testa di Golia prima del 1612 della Galleria Borghese di Roma e il Sant’Onofrio del 1617 della Galleria fino a giungere al Compianto su Cristo morto del 1620 di Baranello in Molise, è visibile un avvicinamento al pittore spagnolo.
Restauri rivelatori. Dopo il 1625 la scena artistica a Napoli è dominata dallo spagnolo Ribera. Anche Battistello è affascinato dalle composizioni stilistiche e soluzioni cromatiche del maestro spagnolo ma spesso ne dà una rilettura molto personale.
La Gloria di San Luigi Gonzaga, della Chiesa del Gesù Vecchio, restaurato in occasione di questa mostra, ne ha svelato la ricchezza di colori ed una grande resa illusionistica. L’invenzione potente di una figura che, scortata da angeli, ascende dal nostro spazio reale viene replicata anche nell’Immacolata Concezione di Roccadaspide del 1627. In quest’ultimo caso l’elaborato panneggio avvolge la figura come quella di una statua processionale. Questa relazione giustifica l’esposizione del busto devozionale di Santa Patrizia, una delle compatrone di Napoli, datato 1625 e raro esempio dell’arte argentaria della prima metà del secolo.
Nella sala che ha come tema L’attivazione dinamica dei nodi narrativi sono presenti due tele da stanza del maestro il Noli me tangere del 1618 di Prato e il Cristo e la Samaritana del 1622 della Pinacoteca di Brera. In queste opere accanto al modulo caravaggesco di due o più personaggi a mezzo busto o a tre quarti in uno stanzone scuro, i punti di vista ribassati contribuiscono ad animare i dialoghi tra le figure. La conoscenza delle opere romane di Giovanni Lanfranco ha contribuito a realizzare questi incrementi di stile e cultura dell’opera di Battistello. La presenza nella sala del gruppo in marmo San Martino e il povero, più antico di un ventennio, del fiorentino Pietro Bernini rivela come Battistello abbia saputo trarre frutto dalla lezione degli scultori a Napoli.
Lo spettatore come complice. In questa sala figura l’opera Cristo e Simone da Cirene o “Qui vult venire post me” (dal Vangelo di Luca) dell’Università di Torino, attestato nella collezione di Marcantonio Doria a Genova nel 1614. Il titolo richiama la celebre esortazione riportata nei vangeli: «Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
L’adozione di un taglio ravvicinato serve a coinvolgere chi guarda; si tratta di una strategia di coinvolgimento che Battistello sperimenta anche in altri dipinti da stanza. Lo affiancano una Salomè con la testa del Battista, di una collezione privata e, infine, la celebre tela di eguale tema proveniente dalla Galleria degli Uffizi, eseguita tra il 1615 e il ’20 e attestata già nel 1638, negli appartamenti del giovane principe Leopoldo dei Medici.
Accoppiamenti traumatici e giudiziosi La Leda e il cigno del 1630 appartiene a una collezione privata. Il soggetto tratta degli amori di Zeus, che trasforma il proprio aspetto per sedurre inconsapevoli fanciulle: invaghitosi della bella Leda, il re degli dei si trasforma in un cigno. Riferita alla fase di estrema maturità dell’artista, la tela presenta brani di notevole virtuosismo, soprattutto nella resa del piumaggio del cigno. Desunto dalle Metamorfosi di Ovidio Venere e Adone ritrae il commiato di Adone, che lascia Venere per una battuta di caccia.
La tela, proveniente dalla chiesa napoletana dei SS. Marcellino e Festo, per potere essere inserita in un contesto ecclesiastico fu ridipinta. La figura femminile fu coperta e Adone mutato in un Santo non facilmente identificabile, forse un San Rocco o un San Vito o San Giuliano l’uccellatore. Nel 1983, grazie ad un restauro, è emersa la figura di Venere. L’opera è ascrivibile alla maturità dell’artista per il modellato morbido supportato da un attento uso del disegno. Le due opere rivelano l’influenza su Battistello dei maestri bolognesi in particolare del Domenichino e del Lanfranco, entrambi attivi a Napoli nella Cappella del Tesoro di San Gennaro dagli inizi degli anni 30.
Battistello e Lanfranco. Giunto a Napoli per lavorare, Lanfranco si tratterrà nella città dal 1634 al ’46 dove diventerà il più decisivo pittore non napoletano del secondo trentennio del secolo. Battistello risente della sua influenza e nelle sue opere prodotte tra il 1620 e nella prima metà del ‘30 stabilisce il riadattamento, in chiave ormai moderatamente caravaggesca, di invenzioni spaziali e compositive di Lanfranco. Tra le opere in mostra di Giovanni Lanfranco Vergine con il bambino e le sante Maria Egiziaca e Margherita, (1620-1621) e di Battistello Caracciolo Madonna col bambino e Sant’Anna, (1620-1625) e la splendida tela Lot e le figlie della Galleria Nazionale delle Marche.
Battistello disegnatore – Corridoio Battistello. I disegni di Caracciolo sono nitidi e veloci e strettamente correlati all’esecuzione di un dipinto, mentre dalle fonti si sa che Michelangelo Merisi, trascurava l’esercizio grafico preliminare alla realizzazione pittorica. I disegni conservati presso il National Museum di Stoccolma, furono portati in Svezia alla fine del Seicento dall’architetto Nicodemus Tessin il Giovane di ritorno dai suoi viaggi in Italia, nel corso dei quali nel 1676 si spinse fino a Napoli. Fa parte del gruppo lo splendido studio per la figura di Gonzalo Fernández de Córdoba, primo viceré di Napoli dal 1504 al 1507, nella scena della Consegna delle chiavi della città dipinta da Battistello sulla volta della Sala del Gran Capitano nel Palazzo Reale di Napoli.
A chiudere l’itinerario espositivo un vero capolavoro degli anni napoletani di Mattia Preti: Scena di carità con tre fanciulli mendicanti. In uno sfondo urbano, dove tre fanciulli dolci e insolenti chiedono l’elemosina rivolgendosi direttamente a chi osserva l’opera. Il taglio della composizione è insolito anche per un pittore come Preti amante degli scorci ravvicinati, mentre l’impostazione della luce è invertita attraverso la sua concentrazione sullo sfondo dell’opera. In questo modo Mattia Preti fornisce una interpretazione del tutto originale dell’interazione fra chiaroscuro caravaggesco e tradizione luministica veneta che Briganti nel 1951 definisce come: un controluce caravaggesco immerso in plein-air di tono veneziano[5], sottolineandone l’esito particolarmente riuscito. Mentre coinvolgono lo spettatore come mai avvenuto prima e raramente in seguito, questi scugnizzi seicenteschi si riallacciano, in stile e concetto, al Battista del Museo Filangieri con cui si apre l’esposizione.
Altri siti completano il percorso di questa mostra: la reggia di Piazza Plebiscito e la Certosa e il Museo di San Martino.
A Palazzo Reale è possibile visitare la Sala del Gran Capitano, affrescata da Battistello Caracciolo e che prende il nome dagli affreschi della volta in cui sono riportati gli episodi salienti della conquista della città di Napoli da parte di Consalvo de Cordova, detto il Gran Capitano. Al centro dell’affresco viene riportato il Gran Capitano che si impossessa della Calabria, ad ovest la scena di quando duella contro il capitano francese La Palice a Ruvo, sulla parete sud una porzione d’affresco racconta quando riceve gli ambasciatori napoletani e le chiavi della città ed infine sulla parete est la scena del Gran Capitano che entra trionfante a Napoli mentre passa la porta tra due torri merlate che hanno da sempre caratterizzato la zona di Porta Capuana. Il ciclo è ispirato alle Historie delle guerre fatte da Consalvo di Cordova, pubblicate a Napoli nel 1607. Battistello Caracciolo, uno dei pochi pittori caravaggeschi che sperimentarono le innovazioni del Merisi nella tecnica ad affresco, risolve il linguaggio naturalista in chiave monumentale e, con spirito di adesione alla storia, inserisce ritratti veri nelle scene dipinte. In particolare sono riconoscibili i tratti di Michelangelo Merisi da Caravaggio nel volto dell’uomo con baffi e pizzetto neri, che sporge tra due figure al centro della scena dell’Incontro, con gli ambasciatori di Napoli: un omaggio al genio, all’artista e all’uomo.
A San Martino gli interventi che il pittore eseguì per la committenza certosina, al tempo della sua piena maturità, furono: la grande tela per il coro del 1622, i dipinti per la sala del capitolo del 1626, e gli affreschi per le cappelle dell’Assunta e di San Gennaro, per le quali aveva realizzato anche le pale d’altare poi spostate in altri ambienti ed eseguite poco prima della morte avvenuta nel 1635.
Per poter apprezzare le opere di Battistello e degli altri artisti chiamati a decorare la Certosa negli anni di Cosimo Fanzago, la Direzione regionale Musei Campania ha realizzato un nuovo impianto di illuminazione nelle cappelle e negli spazi annessi alla Chiesa, un progetto che riguarderà successivamente l’intero complesso. Nella Sala dedicata al pittore all’interno della galleria del Quarto del Priore, sono esposti, i dipinti, i bozzetti per gli affreschi e, per la prima volta, i disegni di Battistello conservati nelle raccolte del museo. Sono le bozze riflessive delle sue opere: dimostrano maestria e duttilità, raccontano che dietro un naturalismo ben compreso e praticato c’era uno studio meticoloso ed una grande capacità inventiva. Battistello, inizialmente affascinato dalla pittura di Caravaggio, seppe nel corso della sua carriera, interpretare la lezione del maestro lombardo stemperando gli effetti di luce ed i contrasti chiaroscurali, servendosene non come mezzo per svelare il reale aspetto delle cose ma per esaltare i tratti delle sue figure statuarie e delle sue composizioni, derivanti da una precisa conoscenza del classicismo accademico.
Quando Battistello morì, nel 1635, chiese di essere sepolto nella chiesa di S. Tommaso d’Aquino, cosi come si evince dalla lettura del suo ultimo testamento redatto il 19 dicembre dello stesso anno e reso pubblico solo cinque giorni dopo. Ad oggi della chiesa non vi è traccia; faceva allora parte del complesso di San Tommaso d’Aquino, situato tra l’attuale via Toledo e via Medina nell’antico rione Carità, abbattuto poi a seguito dei lavori eseguiti nell’ambito del piano di risanamento per la città di Napoli del 1932.
(2.fine)
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NOTE
[1] N. Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli – da Caravaggio a Massimo Stanzione, Arte’m, Napoli 2008 pag. 173.
[2] AA. VV., Caravaggio Napoli, Catalogo della mostra a Napoli a cura di Sylvain Bellenger e Maria Cristina Terzaghi, Electa, Milano 2019 pag. 186
[3] La chiesa matrice o anche chiesa di Santa Maria d’Ognissanti, meglio conosciuta come Duomo.
[4] G. Sante, G. Mantella La Madonna di Ognissanti di Battistello Caracciolo. Una riscoperta per il restauro Edizioni Kogoi 2015
[5] Roberto Longhi in Paragone Mensile di arte figurativa e letteratura Sansoni Editore Firenze 1951 N.15 pag. 48
Nella foto di copertina, Sculture in dialogo con i dipinti. Le foto sono di Carmine Negro