Il Mezzogiorno può essere raccontato a partire dal riscatto delle sue periferie. È il progetto alla base dell’innovativo docufilm su Bagnoli che un gruppo di giovani sta portando avanti attraverso una campagna di crowdfunding.
L’antico quartiere operaio di Napoli verrà raccontato attraverso una narrazione dinamica e attualizzante dei luoghi e degli abitanti, senza cadere in narrazioni nostalgiche e provando a lanciare un’attenzione internazionale su questioni irrisolte. L’idea-chiave del progetto ruoterà attorno alla denuncia del degrado ambientale e della conseguente crisi socio-economica.
A Bagnoli, dove sorgeva lo stabilimento dell’ex Italsider, si concentrano problematiche presenti in tutto il Sud: dall’abbandono istituzionale all’emigrazione giovanile. Ma l’opera parlerà anche degli esperimenti di attivismo sociale e partecipazione dal basso. Abbiamo rivolto alcune domande a Stefano Romano (regista), Salvatore Cosentino (tecnico audio e attivista), Raffaele Vaccaro (fondatore della startup Nisida Environment) principali artefici del docufilm: “Un futuro per Bagnoli”.
Come nasce il progetto?
Salvatore: «L’embrione dell’idea nacque fra il 2016 e il 2017 dall’incontro fra me e Raffaele, che in quel periodo stava svolgendo uno stage presso Città della Scienza[1]. Con Stefano, invece, ci siamo conosciuti nell’ambito di una collaborazione presso lo Scugnizzo liberato[2]. Dal confronto, iniziammo a raccogliere materiali, foto, spunti, interviste. Poi, il progetto entrò in una fase di incubazione, che subì uno stallo a causa di ragioni lavorative e spostamenti individuali. Nel maggio 2020, dopo il lockdown, abbiamo recuperato l’idea, riattivando i contatti e riorganizzando le attività. Ha preso così avvio una fase di confronto sul progetto, che ha vissuto alcuni step. In seguito a un riscontro positivo, abbiamo incominciato a lavorare sul come produrre il docufilm, che vuole essere un tentativo di internazionalizzare le criticità del nostro territorio per riaccendere i riflettori sul quartiere».
La vostra idea nasce dal basso. In che modo intendete svilupparla?
Raffaele: «In seguito al contatto con Salvatore, abbiamo iniziato a mettere a punto il progetto. Ci siamo attivati per individuare delle linee di finanziamento, al fine di garantire una sostenibilità economica alla sua realizzazione. Vogliamo assicurare un equo compenso alle persone che collaborano al docufilm e, al contempo, garantirne un‘ampia divulgazione. In questo, ho messo a disposizione l‘esperienza della Nisida Environment, che si muove su tre assi: l’innovazione tecnologica, la progettazione europea, la produzione di materiale audio-visivo che documenti le ingiustizie ambientali nel Sud Italia. Con questo docufilm intendiamo parlare del legame che intercorre fra degrado ambientale e crisi socio-economica, concentrandoci sulle conseguenze che comporta per le classi sociali più svantaggiate. Vogliamo divulgare e internazionalizzare la Bagnoli odierna, relegata a un ruolo di periferia marginalizzata, facendo conoscere a tutti cos’è accaduto e cosa ancora può accadere».
A chi volete rivolgervi?
Stefano: «Vogliamo realizzare un docufilm a partire dalla realtà odierna, parlando delle ferite aperte che ha comportato la dismissione dell’ex Italsider, raccontando il quartiere a chi non c’ha mai messo piede. Il nostro intento è di arrivare a un pubblico ampio, concentrandoci su un punto di vista narrativo. Non vogliamo avere uno sguardo rivolto al passato, che ruotava attorno alla centralità della fabbrica. Piuttosto, cercheremo di proporre una lettura più giovane e innocente, parlando delle mille contraddizioni ereditate dalla dismissione e dall’inquinamento ambientale. Il nostro non sarà un lavoro d’inchiesta, ma più che altro il tentativo di sollevare delle domande, senza alcun pregiudizio».
Quindi, intendete marcare una distanza col passato e la centralità che occupava l’ex Italsider?
Salvatore: «Inevitabilmente, c’è una differenza con la generazione che viveva la fabbrica. Nel docufilm, per evitare un gap tra il progetto e chi ha vissuto l’ex Italsider abbiamo deciso di avviare in parallelo una parte documentaristica, curata da Dario Oropallo, che si esprime in un binario di inchiesta sul rapporto fra fabbrica e territorio. Ma la nostra vuole essere una lettura più dinamica e attualizzante in cui, al rapporto vis-à-vis con la generazione operaia, si parli delle battaglie per la bonifica del territorio e i conseguenti sviluppi sociali. Il docufilm parlerà della catastrofe e del modello di sviluppo sin qui seguito. Per non creare alcuna distanza con chi ci ha preceduto, ci stiamo dotando di uno strumento di ricerca adeguato, portando avanti il metodo dell’intervista che costituirà il necessario approfondimento teorico/documentaristico. Ci avvarremo della conoscenza del quartiere e utilizzeremo linguaggi multimediali, audio, fotografie. Per farla breve, non intendiamo produrre qualcosa che sia rivolto al passato, ma qualcosa che parli al presente».
Avete lanciato in rete una campagna di auto-finanziamento per sostenere i costi del docufilm. Per quale ragione?
Raffaele: «La campagna di crowfunding nasce essenzialmente per due ragioni: il tentativo di assicurare il lancio del progetto, che vorremmo avviare nella primavera del 2021; la volontà di mantenere un’indipendenza nella produzione senza subire alcun condizionamento dal circuito mainstream, rifuggendo da influenze politiche, istituzionali e giudiziarie. Questo tentativo serve ad imprimere un’accelerata al progetto. Anche perchè sono trascorsi trent’anni e più dalla chiusura della fabbrica e c’è la necessità di aprire un dibattito pubblico su molte tematiche: l’impatto socio-economico seguito alla dismissione, la bonifica, la destinazione d’uso degli ettari di terreno. Perchè, tanto per fare un esempio, se ci si affaccia dal Parco Virgiliano guardando Bagnoli, balzano in mente tante domande. Questo è il senso del nostro docufilm: dare voce ai senza voce e far parlare chi abita quel territorio».
Negli ultimi tempi è tornata di moda la narrazione delle periferie. Cosa ne pensate e come vi misurate con le altre esperienze che stanno provando a rappresentare le zone marginalizzate della città?
Stefano: «In questi anni, i docufilm stanno tornando di moda. L’impostazione prevalente è quella di raccontare questi luoghi come una sorta di presenza/assenza in città. Chiaramente, guardiamo con rispetto alle opere di Rosi, Ferrente, Pannone, giusto per citarne alcuni, ma l’impressione che si evince è che al fianco delle opere di questi autori ve ne siano molte altre caratterizzate da una narrazione cinematografica arida. Vorremo realizzare un’opera in cui al racconto delle storie e del vissuto personale, si accompagni il fare inchiesta. Anche perchè, in genere, il binomio che si vuole rappresentare della realtà napoletana è quello di periferia uguale gomorra. Col nostro docufilm, contiamo, invece, di raccontare la periferia a chi non è di periferia con una produzione semplice e pulita, che incida sul qui ed ora. Vogliamo farlo in un modo inusitato, che non sia né autoriale, né mainstream. Vorremmo realizzare un’opera in cui al racconto delle storie e del vissuto personale, si accompagni alla necessità di una indagine sociale».
Il vostro lavoro intende parlare anche a realtà periferiche che vivono una condizione simile?
Raffaele: «Questa produzione è un primo progetto, ma è chiaro che guarda al Sud, dove abbondano situazioni analoghe. Guardiamo, ad esempio, al caso di Taranto che rischia di divenire un potenziale gemello di Bagnoli. Ma ci sarebbe moltissimo da dire anche sull’inquinamento del fiume Sarno – su cui ho presentato alcuni studi in Belgio – passando per il petrolchimico di Gela in Sicilia, la devastazione di interi territori in Calabria, la Tap in Puglia. Queste realtà sembrano essere state condannate a morte. Ci sono molti punti da approfondire, perchè rimangono irrisolti. Tuttavia, sentivamo di partire da Bagnoli, perchè esprime un grande rimosso collettivo. È un territorio invisibile su cui proveremo a dare voce alle criticità ambientali. La marginalizzazione di questo quartiere porta al suo spopolamento, all’emigrazione giovanile, al fatto che i neolaureati cerchino altrove migliori condizioni di vita. Ma il nostro docufilm vuole parlare anche di chi sceglie di rimanere e resistere, della nascita dell’Osservatorio popolare sulla bonifica, di chi attraverso l’attivismo riesce a costruire un nuovo legame col quartiere. Realtà in cui, è bene ricordarlo, c’è Nisida con il suo carcere minorile, che rappresenta una storia a parte di cui parlare».
Quando potremo vedere “Un futuro per Bagnoli“?
Salvatore: «Il Covid ha rallentato i lavori. La chiusura della campagna di crowfunding avverrà nel febbraio 2021. Poi, prenderà avvio la fase di documentazione. Entro la primavera/estate, inizieranno le riprese. Infine, avrà luogo il lavoro di post-produzione. Contiamo per il gennaio del 2022 di presentare al pubblico il nostro docufilm, che sarà per noi un modo di raccontare al mondo il nostro quartiere».
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PER APPROFONDIRE E SOSTENERE IL PROGETTO:
https://www.facebook.com/unfuturoperbagnoli/
https://www.produzionidalbasso.com/project/un-futuro-per-bagnoli-docufilm/
[1] Area di promozione e divulgazione della scienza gestita dalla Fondazione IDIS-Città della scienza, sita nel quartiere di Bagnoli
[2] Laboratorio di mutuo soccorso del centro storico di Napoli, sorto nel 2015 da una campagna di riappropriazione dal basso dell’ex carcere minorile “Filangieri”, sito nel popolare quartiere di Montesanto. Dal 27/5/2016, con Deliberazione della Giunta, il Comune di Napoli lo ha riconosciuto fra i “beni comuni” della città assieme ad altre sei strutture occupate.
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