La conoscenza può essere leggera. Come un venticello che soffia sulle guance e accarezza il cuore, addolcisce gli inconvenienti quotidiani e lo stress di una giornata di lavoro. Quella brezza si è levata ieri nella settecentesca chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato (chiusa dal terremoto del 1980, ma aperta per pochi giorni, in occasione degli eventi collegati alla festa del Carmine) che ha ospitato la chiacchierata organizzata dal periodico stracittadino questanapoli, curata da Gianna Caiazzo e Umberto Franzese, coordinata da Laura Bufano.
Da “Torna a Surriento” a “Funicul funicula”, il gruppo di Mastro Masiello mandolino, nato nel 2004 per una passeggiata sotto il segno delle note, in ogni angolo della vie della citt , affiancato dalla giovane e potente voce di Cristina Patturelli, ha offerto suggestive pause musicali ben collegate al tema dell’incontro. Il titolo, “Trillante, trocola e ‘uosso ‘e presutto”, a molti ignoto, è stato spiegato a inizio percorso, svelando cos, il filo conduttore della discussione stiamo parlando del trittico strumentale, mandolino, chitarra, violino, tipico della posteggia napoletana, ovvero di quei gruppi musicali che giravano e girano per Napoli e che avevano un loro modo di comunicare, una specie di “codice” chiamato parlesia. Di questa e dei posteggiatori più famosi ha parlato Giulio Mendozza che alla materia si è dedicato da tempo, con la passione della ricerca.
Come non ricordare il più celebre di tutti, Enrico Caruso? Che, prima di diventare tenore osannato dal mondo, appena diciassettenne, si esibiva con l’amico Adolfo Narciso, nel 1891 ai Bagni Risorgimento. E fu la sua fortuna. Lo ascoltò, per caso, il baritono Eduardo Missiano che lo indirizzò dal maestro di Canto Guglielmo Vergine, tracciandone il solco del successo. E poi ‘o zingariello, all’anagrafe Giuseppe Di Francesco, immortalato nei versi di Libero Bovio, musicati da Pasquale Frustaci.
Ancora, Eugenio cu’ ‘e lente, chiamato cos perch si presentava al pubblico con bombetta e montatura di occhiali senza vetri, abbracciato all’inseparabile fisarmonica. Impossibile, non citare i fratelli Vezza, detti ‘e gemelle, per la loro impressionante somiglianza, pur non essendo gemelli; si facevano vedere nei ristoranti più rinomati parodiando “Malafemmena” di Totò che diventò un loro ammiratore.
Proprio quel principe De Curtis annoverato dall’architetto Franco Lista come uno dei quattro filosofi napoletani per eccellenza (dopo Giordano Bruno, Giambattista Vico e Benedetto Croce, “adottato” dalla citt ), maestro di filosofia spicciola che trasuda dalla lingua cittadina, ricca di modi di dire come mazze e panella fanno e figli belle…. panella senza mazza fanne e figli pazze…, citata dall’ex magistrato Pietro Lignola tra le frasi adesso improponibili, perch sarebbe additata come istigazione alla violenza, ora che è gi  reato sfiorare i figli senza gentilezza…

Saggezza popolare e “vongole napoletane” camminano di pari passo
l’ironia dell’attrice Anna Donato ne ha interpretato un breve campionario, tratto dal sito di Gianna Caiazzo che ha la pazienza di raccogliere gli strafalcioni dalla vita di tutti i giorni ( www.vongolenapulitane.it/). Un esempio ‘O lavoro è sempe ‘o solito tram tram, strafalcione elencato sotto il titoletto "Lavorare con trasporto". Che mostra anche come un’interessante indagine linguistica possa essere realizzata con il sorriso sulle labbra. NapulitanaMente.

Nelle foto di Pino Capuozzo, tre momenti del pomeriggio organizzato alla Chiesa di Santa Croce al Mercato. Sul tavolo del dibattito, due sculture del giovane Domenico Sepe, ispirate alle opere Gemito un Gesù bambino dagli occhi trasparenti e un Gesù morente dallo sguardo spento, che simboleggiano la vita senza futuro delle nuove generazioni

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