Mike Bongiorno è un personaggio iconico del Novecento, ha incarnato un modello di fare televisione che ha costruito l’identità della RAI – prima – e delle reti Mediaset poi. Uomo dai tanti primati e dalla vita intensa si racconta in un’autobiografia “La versione di Mike”, curata dal figlio Nicolò, da pochi giorni andata in ristampa per Oscar Mondadori da cui è stata tratta una mini serie trasmessa dalla RAI il mese scorso.
Il conduttore di tante trasmissioni incentrate sui quiz, di diversi festival di Sanremo e delle tante serate in giro per l’Italia è la versione pubblica, il volto famoso, nelle pagine troviamo anche l’uomo, la versione privata.
Il bambino nato in America da una madre dell’alta borghesia piemontese e un avvocato italoamericano che torna in Italia dopo la separazione dei genitori cresce a cavallo tra due culture, due modi di essere e di pensare diversi tra loro che, non sempre, è facile tenere insieme: «Mi sembrava di non appartenere più a nessun luogo in particolare. Il mio essere diviso tra due Paesi, la discendenza ancora fresca da parte di mio padre con gli emigrati di sangue siciliano, il mio essere cresciuto ed essermi formato con le tradizioni piemontesi, l’aver passato anni di solitudine con una mamma e poi con un papà che non si parlavano ed erano su due sponde diverse dell’Atlantico, erano tutte cose che avevano contribuito a farmi crescere senza un preciso senso di appartenenza a un luogo. Mi resi conto che non avevo delle vere e proprie radici, appartenevo a tutti e nessuno di questi luoghi». Questa sensazione lo accompagnerà per tutta la vita spingendolo a fare del giornalismo uno strumento di dialogo tra chi aveva lasciato la propria terra per andare in America e chi, rimasto, non ne aveva notizie ma solo avvolgente nostalgia. Timido, riservato e acuto osservatore cresce a Torino con la famiglia della madre senza, per lunghi anni, avere notizie del padre iniziando a collaborare giovanissimo con il quotidiano La Stampa e coltivando la passione per lo sport in un momento storico che lo conduce a fare una scelta di campo diventando una staffetta partigiana.
Viene arrestato e – scoperta la sua cittadinanza statunitense – inizia la terribile esperienza prima nel carcere di San Vittore e poi nei diversi campi di internamento europei. Dopo la liberazione va a New York dove rincontra il padre, nel frattempo risposatosi, e inizia un nuovo capitolo della propria vita.
Lavora per un’agenzia pubblicitaria che promuove i prodotti agroalimentari italiani cari alla comunità italo americana e avvia una collaborazione con le radio La Voce dell’America e Whom. Si sposa, dopo poco capisce che il matrimonio è destinato a breve vita e accetta l’incarico di viaggiare nel Sud Italia per portare la voce, incisa su disco, degli italiani emigrati ai familiari rimasti dall’altra parte dell’oceano.
Solo chi ha riascoltato, dopo anni, la voce di una persona amata può capire lo struggimento, la gioia e il rimpianto che un semplice frammento sonoro può suscitare e quel ragazzo dagli occhi chiari che cambiò nome – Michael, Mickey e poi Mike – non cambiò mai la sensibilità per comprenderlo e la gentilezza per entrare nelle case rimaste orfane di sorelle, fratelli e figli.
Quel suo girovagare nei paesini meridionali doveva durare soltanto un anno ma l’incontro con Vittorio Veltroni, che lavorava alla costruzione delle prime trasmissioni della nascente RAI, segnò la svolta e il suo definitivo ritorno in Italia.
Di lui e del suo modo di fare televisione molto si è scritto e detto, le sue trasmissioni sono materia di studi sociali e dei mass media, nelle pagine in cui si racconta ha modo di spiegare e argomentare: il suo intento era informare, divulgare e trasmettere conoscenze che non tutti potevano apprendere, la televisione era il potente canale per arrivare a milioni di italiani, erano gli anni in cui il maestro Alberto Manzi con la trasmissione “Non è mai troppo tardi” combatteva l’analfabetismo.
Come sempre quando diamo forma a un’idea partiamo dalla nostra esperienza e Mike metteva insieme la sua sete di sapere, le sue curiosità intellettuali con la difficoltà incontrata nell’avviare un percorso universitario. Il quiz era un modo per imparare divertendosi e anche in questo, come in altri casi, fu un precursore e un pioniere inventando programmi che oggi definiremmo basati sulla gamification.
Fu un uomo dal carattere complesso, difese strenuamente la sua vita privata e mantenne un rigore professionale di cui fece una cifra distintiva e identitaria, il fatto che si occupasse di spettacolo non significava improvvisare, essere superficiale.
Leggere il modo in cui si racconta aiuta a comprenderne la personalità, il suo obiettivo era la chiarezza espositiva, nella forma e nei contenuti, la linearità di condotta e l’attenzione non sono mai state distolte dal proporre una forma di intrattenimento che fosse, anche, capace di lasciare qualcosa che arricchisse le persone. Tra le righe ritroviamo la stessa chiarezza, linearità e scelta di stile comunicativo in grado di arrivare a tutti, colti e meno colti, oggi lo si definirebbe inclusivo.
Sì, sceglieva di esprimersi in un modo comprensibile perché il suo messaggio raggiungesse tutti gli ascoltatori, anche quelli meno istruiti, ma tenendosi lontano da un piglio pedagogico e paternalistico. Nel suo racconto si percepisce la passione per la vita attraverso lo sport, l’interesse per i viaggi e l’amore arrivato con il terzo matrimonio con Daniela Zuccoli da cui sono nati i tre figli a cui non ha mai voluto far avvertire la lacerazione culturale da lui vissuta, le lunghe estati in giro per gli Stati Uniti con la famiglia sono state il modo in cui ha tessuto per loro, lentamente e con costanza, una parte della loro identità.
Chi pensa di trovare dietro la copertina un uomo che mette a nudo la propria anima si inganna. Non era, per educazione familiare e per carattere, la persona, chi voglia invece andare oltre le fotografie dei rotocalchi che per anni lo hanno ritratto scoprendo l’uomo oltre il presentatore di successo sarà contento di aver trascorso del tempo per leggere un libro che è, insieme, la storia di un uomo e anche del nostro Paese.
I più giovani faranno fatica a credere che in occasione delle sue prime trasmissioni intere famiglie si riunivano nei cinema, nei bar e nelle case di chi aveva un televisore in un‘epoca in cui le telecomunicazioni erano agli albori e si viaggiava molto poco, programmi come “Campanile sera” facevano conoscere l’Italia agli italiani raccontando la storia e la vocazione produttiva di un paese del Nord e uno del Sud che si confrontavano attraverso un gioco.
Non sempre il successo delle trasmissioni di Mike è stato legato alle vincite in danaro che consentivano di realizzare sogni o di acquistare un agognata casa, a volte hanno rappresentato il modo per scoprire luoghi dell’Italia e avvicinarli e – sempre- hanno mostrato persone comuni dotate di carattere, determinazione e un bagaglio culturale da condividere. Pioniere curioso, mosso dalla passione e la serietà, Mike Bongiorno ha avuto una vita ricca di svolte che lui credeva dovute alla presenza di un angelo custode in un periodo storico in cui, usciti dalla guerra, c’era tutto da ricostruire e tante opportunità per farlo. Tra le righe si percepisce il bisogno di dare, giunto in un’età in cui ci si può permettere di dire quel che si pensa, la propria versione dei fatti togliendosi quei sassolini dalle scarpe che hanno infastidito il cammino, sfatare falsi miti e raccontantare un po’ di sé, quel tanto che basta a far capire chi era veramente senza mai contravvenire alla sua naturale riservatezza.
Non fu uomo che amava il conflitto, ne rifuggiva cercando la mediazione, la composizione, solo una personalità come quella di Vittorio Sgarbi poteva farlo uscire fuori dai gangheri…
Quest’anno ricorre il centenario della sua nascita e la fondazione che porta il suo nome, in collaborazione con il Comune di Milano, ha organizzato una mostra in cui ricorda come una vita e una carriera si sono intrecciate con la storia italiana, una mostra per celebrare molto di Mike Bongiorno e un po’ di ognuno di noi: chi siamo e da dove veniamo.
A lui mi accomunano una madre, sua coetanea, newyorkese figlia di italiani di cui ho ascoltato, dopo la morte, la voce incisa su un disco recuperato da una prozia a cui mia nonna, non potendo venire in Europa, lo aveva inviato subito dopo la guerra, i racconti di chi cresciuto al di qua e al di là dell’oceano ha costantemente rielaborato la propria identità e un’indicazione ricevuta fin da bambina: in caso di pericolo cerca l’aquila!
Con il suo percorso condivido la dissonanza cognitiva di due modelli culturali talvolta inconciliabili e il rigore per la professionalità che porta ad essere inflessibili con sé stessi non accontentandosi mai di un risultato inferiore a quello che appare come il migliore possibile. Della sua esclamazione “Allegriaaa!” colgo la passione, l’impegno e la gioia per la vita troppe volte accantonata in favore della frenetica corsa che sottraendo spessore alle cose ne annulla il significato.
“La versione di Mike” domani (martedì 26 novembre) riceverà, in Campidoglio, il premio “La letteratura delle Radici” per la categoria autobiografia. Come presidente del premio che ho contribuito a fondare due anni fa sarò lieta di consegnare un riconoscimento a un libro ricco di spunti sui quali riflettere per comprendere il valore delle proprie radici.
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IL LIBRO
Mike Bongiorno e Nicolò Bongiorno
La versione di Mike
Mondadori
Pagine 388
euro 15
IL CURATORE
Nicolò Bongiorno è regista, sceneggiatore e produttore cinematografico e televisivo.