Il teatro napoletano reagisce alla crisi imposta dalla pandemia ripartendo dai suoi grandi nomi. Seguendo questo fil rouge anche il Trianon Viviani, sotto la direzione artistica di Marisa Laurito, pone un baluardo in mezzo a una tempesta fatta di regole mutevoli, burocrazia turbolenta, e che porterà comunque alle prime timide riaperture della zona gialla.
Anche grazie alla settimana che Rai Cultura dedicherà a Roberto De Simone, che si concluderà su Rai 5 il 30 aprile alle 18, con la messa in onda di Trianon Opera: tra pupi, sceneggiata e belcanto, a firma del Maestro e Davide Iodice.
Un’opera straordinaria che resterà come preziosissimo documento, dice Marisa Laurito. Il dono di un uomo che ha saputo dare tanta bellezza a Napoli e che regala, letteralmente, un capolavoro carico di tutta la sua esperienza.
Trianon-Opera è un manifesto, che porta scritti in sé i settanta e più anni di ricerca musicale e fonetica di De Simone, mossi dalla convinzione che la Cultura vada regalata.
Ma andiamo con ordine. Il rinnovato Teatro della Canzone Napoletana, non ha conosciuto pause nel periodo pandemico, con progetti come Viviani per strada o Adagio Napoletano, ed entra in quel discorso che Rai Cultura ha intrapreso nel tentativo di porre un limite all’assenza del teatro in piena emergenza sanitaria. Un’operazione culturale che pone al centro l’accento sull’importanza del laboratorio teatrale Rai di Napoli, diverso dagli altri per il legame che la città ha con il teatro e con i suoi interpreti.
Quello di Trianon-Opera è, in realtà, il ritorno sotto mentite spoglie di un lavoro che De Simone aveva già portato al successo negli anni 70, ispirato a Il vero lume tra l’ombre ( La Cantata dei Pastori), opera sacra di Andrea Perrucci, del 1698.
Un grande classico in procinto di uscire dalla tradizione, perché si è perso il il valore devozionale dello stesso. De Simone e Iodice tentano qui di ricostruire il connubio di sacro e profano del mondo religioso napoletano, tra tradizione colta e popolare.
Un teatro devozionale sì, ma anche pieno della goliardia di allusioni sessuali spinte, fatto di sacralità abbracciata al paganesimo, memoria di un tempo in cui attori professionisti e popolani ignoranti recitavano insieme, in manifestazioni che oggi avrebbero grandissimo valore antropologico.
Un modo di fare teatro che Trianon-Opera tenta di ricostruire, relegando la parte recitata in una grande cornice multicolore di immagini sacre, pupi, arcangeli e diavoli e in cui spicca per assenza la figura del Sarchiapone la cui l’ironia è tuttavia conservata, nascosta di soppiatto nella corale performance degli attori. Perché, come dice lo stesso De Simone, senza ironia non c’è cultura.
Lo spazio musicale fa rivivere autori di epoche e latitudini diverse, da Giordano a Pergolesi, da Cimarosa a Mozart, e il ritmo si nutre della formalizzazione prosodica di versi napoletani e italiani in quinari, settenari endecasillabi, assonanze, rime baciate di gusto barocco.
Aree intramontabili, quindi, arricchite dal virtuosismo della tradizione dei sopranisti evirati che nel periodo natalizio usavano esibirsi nelle chiese, non per compenso ma per devozione.
In questo adattamento, previsto per lo scorso Natale e oggi ripensato per il piccolo schermo, De Simone propone una revisione dei brani italiani e napoletani secondo le regole della fonetica internazionale, rendendo difficile all’ascoltatore interpretare il senso di quanto detto.
Così deve essere un’opera sacra, dice, secondo un principio che vedrebbe la perfezione di musica ed arte da contrappeso ad un apparente vuoto semantico. Un’esplosione artistica, basata sulla reverenza, la devozione e la bellezza.
Una musicalità che compensa il vuoto di senso, evitando che una cultura messa in atto per incantare e stimolare la creatività, venga razionalizzata. Insomma, De Simone non risparmia le critiche a un abbrutimento della cultura fatta di abitudini globalizzanti come i sottotitoli a margine, proprie delle regole dell’oblio televisivo e della società delle immagini di consumo.
Una ricerca di appagamento immediato che pone un limite alla bellezza di manifestazioni umane forti di quanto lasciano in sospeso e non di quanto, ciecamente, si suppone affermino.
Critiche importanti, quelle del Maestro, anche nel momento in cui, la Rai, con lavoro comunque lodevole, dedica una settimana alla sua opera. Tentativo di non lasciare affondare la finestra viva dell’arte recitata.
Un motivo in più per ripensare al destino del Teatro e alla sua aria condivisa. Quella che pubblico e attori respirano insieme e oggi divenuta nell’immaginario solo veicolo di diffusione dell’infezione.
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Nelle foto, al centro, Roberto De Simone. In alto, Gabriello Arcangelo interpretato da Veronica D’Elia, ph.Chicca Ruocco