Ecco un nuovo racconto di Francesco Divenuto che, prendendo spunto dagli eventi sismici in corso nell’area flegrea, ha ricordato il drammatico avvenimento del 1529 quando “nacque” il Monte Nuovo, immaginando che cosa, dopo qualche anno, avrebbe potuto scrivere un cronista di di quegli avvenimenti, in una “Cronaca da un nuovo vulcano flegreo”.

Una mattina di tanti anni fa, gli abitanti del piccolo villaggio si addormentarono in pianura e si svegliarono ritrovandosi in collina.
Qualcuno disse di aver sentito la terra muoversi tutta la notte; ed io, aggiunse un altro, ho avvertito il mio pagliericcio tremare molte volte. Ma nessuno si era spaventato più di tanto.
Che abitassero su un terreno che non stava mai fermo lo sapevano; tante volte, andando nei campi al mattino, avevano trovato spaccati i solchi rassodati solo qualche giorno prima. Ma questa volta si rendevano conto che era avvenuto qualcosa di diverso, di straordinario anche se non avrebbero saputo dire che cosa fosse veramente cambiato.
Tutti si guardavano intorno cercando di capire che cosa fosse accaduto e poi così in fretta, tutto in una notte. Quello che li circondava non sembrava più il loro villaggio, il mondo al quale i loro occhi ed i loro passi erano abituati era scomparso; tutto era diverso. Quale sortilegio e ad opera di chi, poteva essere accaduto sulle loro teste? Senza parlare si muovevano con attenzione cercando un qualche segno che potesse spiegare quella realtà nella quale si erano ritrovati al loro risveglio.
I campi si presentavano inclinati; i fossi, così come i pozzi, erano prosciugati mentre parecchi alberi erano distesi al suolo mostrando al cielo le loro radici; anche quel monte il cui profilo chiudeva una parte del loro villaggio nascondendo, per molte ore, i campi ai raggi del sole, ora sembrava che avesse perso la sua altezza perché l’ombra proiettata sul terreno era quasi scomparsa.
Le case, costruite con una povera muratura, presentavano parecchie crepe in più; quasi nessuna aveva mantenuto la propria posizione ed ora appariva inclinata rispetto al terreno. L’orizzonte che, dalla valle nella quale vivevano, era sempre stato limitato dal ciglio delle colline circostanti, ora appariva ampio, aperto verso i paesi del circondario. Nessuno, infatti, ricordava di aver mai visto così vicine le case degli altri villaggi.
Ai loro occhi increduli apparve anche il lontano promontorio sul quale sorgeva l’antica città di Pozzuoli; nella luce nitida del mattino sembrava che, con le sue case, fluttuasse vagando nelle nebbie che ancora coprivano le terre che ora apparivano giù ai loro piedi in fondo al terreno scosceso segnato da grandi fenditure.
I pochi viottoli che univano il villaggio agli abitati vicini erano scomparsi; qualcuno, non più riconoscibile, era sprofondato in una nera voragine dalla quale salivano bave di fumo, mentre altri apparivano aperti, spaccati con le loro zolle esposte all’aria mentre i filari delle viti, divelti, giacevano in disordine sul terreno.
Un acre odore di zolfo, più forte del solito, prendeva alla gola facendo lacrimare. Nell’aria non si avvertiva un filo di vento solo si sentiva un brontolio cupo come l’eco di un temporale lontano. Ma nel cielo non si vedevano nuvole.
Ed era proprio il cielo sulle loro teste che li inquietava; sembrava, se mai fosse stato possibile, che si fosse abbassato. Poi capirono che non tutto quell’azzurro era il cielo. Una linea sottile separava due tonalità e quella striscia più cupa che si vedeva al loro orizzonte era una novità alla quale non erano abituati. Era questo il segno evidente che qualcosa di molto grave fosse accaduto. Tutti spostavano lo sguardo dal cielo a quella strana striscia che ora, con i primi raggi del sole, brillava. Era quella la vera novità? Era successo quello che vedevano? Già ma che cosa era veramente successo?
Poi la voce di qualcuno che guardava dall’uscio della propria abitazione ruppe il silenzio: Oh!, disse, ma non capite, è caduto il cielo. Ma come era stato possibile pensarono.
Tutti guardarono ma non osavano contraddirlo perché per tutti quell’orizzonte era una visione affascinante ma strana, nuova dalla quale non sapevano che cosa potesse accadere per le loro povere vite. Poi intervenne qualcun altro. Ma no, aggiunse, il cielo non si è mosso, è il mare che si è alzato. Ma allora, aggiunse un altro ancora, noi ora dove stiamo?
Le loro povere menti turbate non riuscivano a formulare spiegazioni convincenti. Per meglio capire che cosa fosse successo decisero di allontanarsi per esplorare il territorio tutto intorno. I più giovani, allora, che avevano sempre percorso le brevi balze che circondavano la loro valle, si arrampicarono su quella parete scoscesa che ora era comparsa dietro le loro case.
Una salita ripida su rocce che, in molti punti, ancora conservavano il calore del sottosuolo. Un percorso, in realtà non molto lungo che li portò, con loro sorpresa, sul ciglio di una profondità che scendeva, di nuovo, nel ventre scuro della terra. Per quanto spinti in avanti, i loro occhi non riuscivano a distinguere quasi nulla: in tutto quel buio non si vedeva un filo d’erba, solo rocce sconnesse, sabbie fuligginose che si alternavano a terre ancora fumanti. Anche se ancora non sapevano di trovarsi di fronte alla caldera di un nuovo vulcano, pure capirono che tutto doveva essere cominciato da quelle viscere nere della terra. Era lì, pensarono che bisognava indagare? Ma nessuno ebbe il coraggio di esplorare quella cavità infernale.
Forse, pensarono, per saperne di più potremmo muoverci in un’altra direzione cioè quella che li avrebbe portati nei villaggi vicini dove, certo, avrebbero potuto chiedere.
La strada, per allontanarsi in direzione degli altri centri, presentò non poche difficoltà. Dovettero, infatti, attraversare campi sventrati e, in molti punti, occupati dalle macerie di case che seppero poi essere quelle del villaggio di Tripergole il quale con il castello ed altre importanti costruzioni, fra le quali alcune stazioni termali, era stato completamente distrutto.
Quando giunsero sulla riva del mare, una gran folla si agitava urlando e correndo tutto intorno; nello specchio d’acqua molte imbarcazioni che cercavano di allontanarsi dalla terra ferma erano state prese d’assalto.
Furono travolti da quelli che urlando guardavano verso la montagna dalla quale erano discesi. In breve, si trovarono circondati da persone che, terrorizzate, li osservavano come se fossero venuti fuori dal fuoco di quel vulcano che avevano lasciato alle loro spalle.
I più coraggiosi si avvicinarono gli rivolsero la parola; le voci si accavallarono perché tutti chiedevano, tutti volevano sapere da dove venivano e che cosa avessero visto; facevano domande alle quali però loro non sempre sapevano rispondere.
Sì, perché i poveri contadini che la mattina del 29 settembre 1529 si erano trovati sbalzati sullo scosceso crinale di questa nuova altura, non riuscivano a comprendere che la profonda trasformazione che il loro territorio aveva subito, in poche ore, era il risultato di una eruzione vulcanica; una delle tante che, molto spesso, caratterizzavano l’area flegrea.
Questa volta però il risultato era stato impressionante; soltanto molto dopo avrebbero compreso che quella notte fra il Monte Gauro, l’Averno, il Lucrino e il mare, spinta da forze telluriche, era venuta su una protuberanza, una forma troncoconica sulla quale si erano trovati appoggiati con le loro case ed i loro terreni scoscesi.
Erano vivi e questo era certamente un avvenimento che aveva del prodigioso; per questo motivo molti proposero di salire alla cattedrale e partecipare ai riti sacri di ringraziamento ma, con giudizio, preferirono ritornare alle proprie case per riferire a quanti aspettavano da loro notizie.
Non sarebbe mancato il tempo delle preghiere e delle processioni; ora bisognava capire meglio che cosa fosse realmente accaduto, valutare i danni che le loro terre, gli orti, le loro coltivazioni avevano subito e, semmai, studiare come poter riparare quel disastro perché nessuno dichiarò, come pure qualcuno suggeriva, di voler abbandonare il territorio.
Dopo alcuni giorni una squadra di vulcanologi, di cartografi e di disegnatori, avventurandosi su quelle rocce sconnesse, arrivò sulle loro terre dove, per giorni interi, guardò, misurò, disegnò particolari ritenuti interessanti ai fini dei loro studi.
Il Vicerè, Filiberto di Châlons-Orange, da poco insediato sul trono napoletano, aveva ordinato di rilevare e ridisegnare quella vasta area per aggiornare le carte sulle quali il risultato del fenomeno vulcanico, com’è noto, sarà indicato come Monte Nuovo il quale, si seppe poi, misurava ben 133 metri di altezza con, al centro, la caldera che sprofondava quasi fino al livello del mare.

In Copertina, Campi Flegrei nello scatto di Pixabay

L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quelli a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019), La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020) e Agorà, ombre e storia nelle piazze di Napoli (La Valle del Tempo, 2021) curati con Clorinda Irace e Mario Rovinello..
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”, “Cronaca nera”, “La cartellina rossa”. “L’ultima scelta”, “Un disco rotto”, “Sogno di un giorno di mezzo agosto”, “Il mare verde”, “L’arrosto di Ariosto”, “Madre”. Questo racconto s’intitola “Una battuta di meno e una sposa di troppo”, “Agenda di famiglia”, “Il correttore di bozze”.

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