Di seguito vi proponiamo un nuovo racconto di Francesco Divenuto, “Il mare verde”, ispirato da questi giorni di caldo autunno.
A pochi metri dalla mia finestra un muro sorregge la scarpata della strada che, dritta, scende verso il mare: una strada privata con, sui due lati, giardini tutti più o meno curati. La scarpata, invece, è un groviglio di piante che si contendono il poco spazio.
Dalla capacità di adattarsi alla scarsità del suolo, alle condizioni climatiche e rubando l’aria alle altre specie, dipende la loro sopravvivenza. Alcune sono perenni, come l’edera che, in varie tonalità di verde, ricopre, con i suoi lunghi rami barbuti, il terreno scendendo lungo il muro, di grigio piperno, che contrasta le spinte della strada.
Altre, invece, hanno una vita breve ma, quasi tutte, ritornano ogni anno seguendo un loro ritmo.
In questo periodo, all’alba, il sole incendia questa sponda vegetale dove la notte ha lasciato la sua benefica rugiada che favorisce la loro fioritura.
Guardo questo mare verde cercando di seguire il disegno dei rami per individuare dove un cespuglio s’intreccia con un altro quando, avviluppandosi, si protende cercando appigli sicuri in un gioco, anche grafico, di grande eleganza.
Mi perdo nella contemplazione di questo misterioso regno, un impazzito verde che mischia tutto, forme e colori, in un intricato insieme nel quale, ogni giorno, appare qualcosa di cambiato.
Tutto avviene secondo processi naturali che ignoro; arbusti, sterpi, rovi, erbacce, liane, oltre a cespugli, rami e foglie: la povertà del mio linguaggio, purtroppo, non mi consente di essere più preciso. Le piante che non riconosco, infatti, sono la maggioranza ma, in fondo, non mi interessa sapere se sono di una specie, per così dire, nobile o semplici erbacce che hanno trovato un loro habitat in questo terreno incolto.
Su alcuni rami, perenni od effimeri che siano, germogliano fiori sconosciuti, belli nei colori e nelle forme, noti solo ad un botanico ed agli insetti che si posano a nugoli.
Dalla presenza e dall’assiduità con la quale questi si affollano intorno ad una pianta in particolare, capisco che quel fiore è giunto a maturazione costituendo il loro essenziale nutrimento.
Pochi odori mi giungono poiché il vento, insinuandosi in questo canale naturale, disperde il loro effluvio. In certi momenti percepisco il profumo dell’elicriso, ormai secco; avverto il caratteristico sentore di liquirizia trasportato dalle folate di vento ma non vedo la pianta che, forse, è fiorita lontano, sulla sponda estrema della scarpata, più esposta al sole.
Guardo l’oscillare dei rami penduli: festoni lunghi, eleganti; un ramo unico, con piccoli rametti e ciuffi di foglie ben disegnate, ondeggia fino a raggiungere un appiglio sicuro che gli consenta di iniziare un nuovo intreccio.
Alla fine dei rami, compatti cespugli di fiori, di un pallido ciclamino, presentano un piumino di fili, dritti come spilli infissi su un cuscino che, staccati dal vento, volano via.
Da qualche giorno sono comparsi dei fiori bianchi, stretti e compatti; formano dei piatti sostenuti da tanti rametti, dritti come le stecche di un ombrello, con i quali termina un unico stelo alto. Potrebbero essere fiori di sambuco ma forse è soltanto una somiglianza che può ingannare un inesperto, appunto.
Sulla superficie si posano insetti che non distinguo ma anche farfalle; queste piccole, bianche, rispetto agli insetti che restano fermi nel loro lavoro per lungo tempo, sembrano ospiti in visita perché si poggiano appena per poi volare via verso altri fiori.
Altre efflorescenze, spumose come bava, pendono leggere spandendo intorno spore che vagano nell’aria. Piccoli batuffoli effimeri: una leggera bambagia che, con la notte, cadrà per far posto ad una nuova fioritura, con i loro umori, attirano insetti ed uccelli. Aggrappati ai rami, come ad un’altalena, i volatili oscillano nel vento con il capo affondato nei cespuglietti di fiori che, generosi, offrono ospitalità a tutti.
Nell’aria oscillano altri festoni, con poche foglie ma decorati con spine; forse tutto quanto resta di una rosa canina che, quest’anno, ha disertato la sua fioritura.
Fra i cespugli svettano alcuni rami di oleandri. Piantati in tempi lontani, questi arbusti hanno resistito ai rigori dell’inverno e, puntuali, in primavera mi regalano una fioritura con il caratteristico odore zuccheroso. Forse, con il tempo, hanno subito una mutazione per cui i fiori colorano dal carminio scuro ad un bianco appena rosato.
Tutti gli anni torna anche un piccolo fiore; la corolla è formata da cinque petali rosati, sostenuti da bruni steli legnosi, e circondati da piccole foglie di un verde vivo. Un fiore spontaneo che ha trovato un suo ambiente favorevole e che, ogni nuova stagione, accresce il suo territorio.
Molte di queste piantine, infatti, fioriscono anche nei vasi sul balcone. Sarebbe facile estirparle, almeno quelle nei vasi, ma non è necessario perché l’arbusto non diventa mai infestante, cioè non soffoca mai la pianta dalla quale si fa ospitare. Con l’autunno i fiori cadono mentre i rami rinsecchiscono, fino alle radici, in attesa della prossima fioritura.
Azzardo che possa trattarsi della portulaca, o appartenete a questa specie ma è solo un’ipotesi.
Negli angoli più bui ed umidi della scarpata potrebbero esserci licheni, muschi o capelvenere a tappezzare il terreno. Certo, ci saranno insetti o uccelli che in quegli anfratti hanno il loro unico regno. Solo qualche lucertola, nel suo continuo andirivieni, passa dal buio al sole strisciando sui rami e fermandosi sulle pietre calde del muro. Con l’aumentare della temperatura dei giorni, la composizione del verde cambia.
All’inizio dell’estate, la sommità dei cespugli, in alcuni punti, è apparsa ricoperta di fiori viola; fitta, avanza un’onda di buganvillee; una marea di fiori apparsa, come all’improvviso, in una notte. Tutto cambia velocemente. In realtà è solo il colore dei fiori a dare questa impressione; ormai la temperatura calda dell’aria ha permesso a queste piante di colorare i propri fiori. Alcuni rami acquistano vigore alzandosi in pertiche che oscillano intrecciandosi.
Un giorno -ma certo sono io che non l’ho notato prima- mi accorgo che il ramo di un fico, un fico selvatico, che si stende lungo, contorto e nodoso cercando un suo spazio, copre con le sue larghe, ruvide foglie ogni cespuglio che dovrà raddoppiare i suoi sforzi per sopravvivere. Dal terreno, dove il fico affonda le sue radici, l’albero si sta spandendo.
I rami, bruni dalla corteccia ruvida, vanno verso la luce che catturano per maturare i loro frutti. Uno sforzo, in un certo senso, inutile; una fatica che non giungerà mai ad un risultato apprezzabile poiché con il caldo i suoi frutti, maturi, e comunque non eduli, cadranno al suolo confondendo i loro umori con il terreno che ne trarrà alimento. In questa piccola foresta spontanea non si può concepire una natura matrigna; anche questi frutti, infatti, troveranno i loro estimatori, giustificando, così, la loro esistenza: uccelli, formiche, api, calabroni e altri insetti succhieranno i frutti spaccati dal sole
Questo è il periodo in cui anche gli eleganti alianti, rimasti spogli per tutto l’inverno, si ricoprono di un nuovo fogliame. I rami svettano al di sopra dei cespugli rubando spazio e luce anche al nodoso fico. Le foglie, dalla caratteristica forma con le lunghe dita, creano una selva di ventagli che leggeri, oscillano nel vento. In alto pannocchie, formate da piccoli grumi spugnosi di spore bianche, ondeggiano come pennacchi di religiosi stendardi.
Un giorno, di qualche anno fa, un esile tronco svettò tutto solo. Doveva, certo, aver compiuto uno sforzo enorme per radicarsi assolvendo a tutte le sue funzioni: un folto palco di foglie, scure, spesse e lunghe, con le pieghe incise sulla faccia lucida ed i suoi frutti, gialli maculati di bruno, presi d’assalto dagli uccelli, svelarono la natura dal nespolo che non è più ritornato ad abitare la scarpata. Potrebbe ritornare a fiorire? Non posso saperlo.
Ma in estate non c’è fico, aliante, buganvillea o cespuglio, per quanto forte e ormai radicato nel terreno scosceso, che riesca a vincere una pianta solo apparentemente delicata; una pianta che ogni anno aumenta le sue propaggini. Quasi all’improvviso, infatti, un giorno, mi accorgo che i cespugli si presentano ricoperti con un nuovo abito verde.
Foglie di un colore brillante rivestono lunghi rami filiformi che si spandono in ogni direzione, sia in piano, sia arrampicandosi e attorcigliandosi ai rami di altre piante. Un tappeto uniforme di foglie trilobate sul quale, un mattino, mi appaiono centinaia di campanule viola sbocciate con le prime luci dell’alba.
Una nuova veste fiorita ricopre allora la scarpata; avanza non lasciando nessuna pianta senza le sue filiformi braccia con i fiori che, ogni sera, richiudono la loro delicata veste arrotolandosi come un fuso cilindrico per poi riaprirsi al mattino seguente. In realtà, il fiore durerà solo qualche giorno e a volte anche meno, quando un’improvvisa pioggia estiva o un vento notturno, ne staccherà la leggera veste che, sgualcita, volerà nell’aria dolce dell’estate.
Giù sul piano, dove finisce la scarpata, le felci selvatiche hanno ricoperto i ruderi di una fallita speculazione edilizia; con le piogge di fine estate, alcune piante ritrovano la forza di spandere, tutto intorno, le loro spore prima che il freddo che aumenta ogni giorno, ridimensioni i fittoni.
Con i primi venti autunnali inizierà la radicale mutazione del manto verde: gli arbusti perderanno le foglie secondo tempi che dipendono anche dall’aumentato freddo notturno. Le foglie dell’alianto cadranno per prime, lasciando i rami, nudi, oscillare al vento in attesa di una nuova primavera.
Le campanule, dal colore sempre più sbiadito, avranno già smesso, da qualche settimana, di richiudersi la sera per ritornare l’indomani. I lunghi rami continueranno a pendere sull’impalcatura di piante più robuste; poi anch’essi, alleggeriti di fiori e di foglie, cadranno arricchendo l’humus del terreno.
Il fico, meno ricco di foglie e liberato dalle liane di rampicanti che, per tutta l’estate, lo hanno decorato, riuscirà a resistere meglio e più a lungo ai rigori dell’inverno non perdendo mai del tutto il suo palco di foglie; ho notato, infatti, che molte foglie, accartocciandosi, resistono sui rami per cadere, poi, in primavera quando dovranno far spazio ad una nuova fioritura. Allora, un giorno, quasi all’improvviso, mi accorgerò che sui bruni rami saranno spuntati piccoli cuori verdi che, velocemente, si apriranno decorando l’albero con le nuove foglie.
Sulla scarpata spoglia, le piante più resistenti, quelle più umili, quelle che semmai non danno mai fiori, quelle che non distinguerò mai in una loro pure esistente classificazione, assumeranno il compito di non lasciare al vento il terreno nudo. Gli uccelli abbandoneranno i loro nidi per emigrare in terre calde mentre le tortore avranno già disertato questo luogo. Qualche tardiva lucertola ed altri insetti continueranno il loro lavoro fino a quando il sopraggiungere dell’inverno non li avrà rintanati.
Con l’avanzare dell’inverno, sulla siepe spoglia e sui rami del fico, spanderanno la loro ombra gli ombrelli dei pini di un vicino giardino. I rami stilleranno resina e sulla strada, con le prime piogge, un letto di aghi scivolerà rallentando il defluire delle acque nelle caditoie stradali.
©Riproduzione riservata
L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di numerosi saggi su riviste specializzate e di due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quelli a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019), La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020) e Agorà, ombre e storia nelle piazze di Napoli (La Valle del Tempo, 2021) curati con Clorinda Irace e Mario Rovinello..
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”, “Cronaca nera”, “La cartellina rossa”. “L’ultima scelta”, “Un disco rotto”, “Sogno di un giono di mezzo agosto”.
In copertina, foto di paypal.me/felixmittermeier da Pixabay