Giovanna! Il ragazzo che accompagna la donna, alla quale mi sono rivolto, mi guarda in modo interrogativo.
-Va tutto bene, tranquilla, poi dice chinandosi ed accarezzandola leggermente sul viso.
– Mah! Faccio fatica a riprendermi.
-È così da molto tempo. Lei la conosceva?
Non riesco a dire nulla; la donna seduta su una sedia a rotelle, che il ragazzo spinge piano, mi sembra solo un’ombra, una lontana idea della mia amica.  E non riesco a guardare quel viso, quegli occhi spenti. Per fortuna il ragazzo sorride rompendo il disagio al quale non so reagire.
-Lo so, non si preoccupi, la capisco; è difficile pensare che questa sia la realtà.
Certo sarà abituato a simili incontri; la sua reazione sembra una scena già troppe volte recitata. Eppure nel suo atteggiamento non posso fare a meno di notare che non vi è nessun moto di impazienza; vedo, piuttosto, una calma, direi una dolcezza come se quella donna, qui sulla sedia, fosse una persona speciale con la quale lui, e certo soltanto lui, ha un legame esclusivo. Vorrei chiedergli che rapporto ha con la mia amica; ma non riesco a formulare la domanda; non trovo le parole giuste, temo di essere indiscreto, di apparire stupido, insensibile di fronte a tanto evidente e sincero affetto.
-È da molto che non la incontrava? Non lo sapeva?
Ancora una volta il ragazzo, certo involontariamente, risolve il mio crescente imbarazzo.
-Sì; ora sono in pensione; sa, motivi di frequentare lo studio dove Giovanna lavora… ora però credo non più, vero?
– No, ormai è da molti anni che si è ammalata; ancora prima che morisse Alfredo, il marito, lei lo conosceva?
-Poco. Avevo letto della sua morte ma in quegli anni ero fuori; ricordo che le ho anche scritto ma poi sa come vanno queste cose, ho perso ogni contatto. Ora è da qualche mese che sono ritornato in città; proprio l’altro giorno pensavo di contattarla. La prego, non so se sembro indiscreto ma vorrei sapere di più; per favore può fermarsi ancora qualche momento? Sa, con Giovanna ho collaborato molto, avevamo stabilito un’amicizia sincera. All’inizio della mia carriera lei mi ha aiutato molto; ricordo che mi suggeriva soluzioni più pratiche e anche più economiche per le mie pubblicazioni. Non le nascondo che, a volte, mi raccontava storie poco edificanti di colleghi, non per fare pettegolezzi, no, Giovanna era una donna di grande correttezza, di grande rigore morale ma, lei diceva, per difendermi da manovre che potevano danneggiarmi. Sa l’ambiente universitario ha anche i suoi lati negativi. E Giovanna diceva che io ero troppo ingenuo e che mi fidavo di tutti. Oh! mi scusi, forse le sto facendo perdere tempo, mi scusi ancora; se deve andare.
– No, non si preoccupi; le dirò che mi fa piacere parlare con persone che l’hanno conosciuta quando era una persona efficiente, sana, quando io ancora non ero arrivato nella sua vita.
-Lei non è suo figlio, vero? Mi scusi, continuo a dire stupidaggini ma le assicuro che, in questo momento, non riesco a riflettere. Il piacere di averla incontrata ma anche il dolore per questo suo stato; lo so, rischio di dire banalità ma la prego di credermi; sono emozionato e vorrei essere capace di esprimere tutto l’affetto che io avevo per Giovanna e che ora, capisce, non so come dimostrare.
-Sì non sono suo figlio; o meglio lo sona ma…
-Non capisco ma mi scusi sono stato indiscreto, mi perdoni.
-No, mi fa piacere parlare con un amico di Giovanna, è come se vivessi tutto il tempo in cui io e mia madre… sì mia madre, non ci conoscevamo.
-Ammetto che è una situazione imbarazzante; non vorrei ripetermi ma sono sincero quando le dico che sono dispiaciuto dell’attuale stato in cui si trova Giovanna. Ricordare la sua energia, la sua capacità imprenditoriale, mi sembra tutto impossibile…
-Già; non le nascondo che, in certi giorni, anche a me capita di parlarle, semmai da un’altra stanza e poi, all’improvviso ricordare che il suo silenzio è, ormai, uno stato perenne. È un dolore che si rinnova ogni volta.
Il giovane accarezza Giovanna come a tranquillizzarla, come se volesse chiederle scusa per parlare di lei con uno sconosciuto perché in fondo io sono uno sconosciuto per questo ragazzo e, purtroppo, anche per la mia amica.
-Senta; non so dove eravate diretti ma se vuole vorrei fermarmi ancora un poco con voi; ecco possiamo sederci qui; c’è una bella ombra ed oggi fa proprio caldo.
-Sì, con piacere. Non sono molte le persone che frequentiamo. Anche i parenti; sì all’inizio ma poi, sa come succede, ognuno ha i suoi problemi, però non mi lamento. A casa ho una donna che mi aiuta. Così ho anche del tempo per me. Io studio, mi mancano pochi esami; Giovanna ci teneva, era severa ma era una persona speciale.     
Lei mi chiedeva se sono suo figlio, vero?
-No, mi scusi, sono stato invadente; ho fatto una domanda stupida, mi scusi.
– Perché dice stupida? Per il colore della mia pelle?
-Ecco, così vedo che ho fatto un’altra gaffe; mi scusi non ne dico una giusta. E scusarmi è, ormai, inutile.
-No, va tutto bene. Mi fa piacere raccontarle la mia storia; in fondo parlando di me parlo anche di Giovanna.
Approfitto della presenza del cameriere e mentre ordiniamo qualcosa cerco di mettere ordine nei miei pensieri.
-Sono nato in un paese dell’Africa subsahariana. Non so con precisione la mia età. Sono molte le cose della mia vita che non ignoro. Con i miei genitori adottivi abbiamo cercato di ricostruire una mai storia ma è stato inutile. Le notizie raccolte erano contraddittorie; sono stato io stesso un giorno, ormai ero cresciuto, a dire che mi sembrava tutto inutile. Io sono, e di questo sono convinto, figlio del loro amore, del tempo che mi hanno dedicato, della pazienza che hanno avuto, mamma in particolare ogni giorno della loro vita; sono il risultato della loro vita e della loro cultura.
Scusi sorrido perché ho detto mamma; sì io, di solito, li chiamavo Alfredo e Giovanna; ma quando si arrabbiavano, mi sgridavano o, peggio, mi castigavano, allora cercavo di farmi perdonare dicendo: sì papà, sì mamma. In effetti era anche un modo per sdrammatizzare la situazione perché alle mie parole loro ridevano e tutto finiva li. Devo anche dire che non ho dato molti problemi. Sono stato un bambino sano, tranquillo, studioso e anche allegro, molto. Giovanna mi raccontava che quando era venuta, con il marito, nell’istituto di suore francesi dove qualcuno mi aveva portato, i bambini, quasi tutti, piangevano; mi diceva che era stata una scena che l’aveva straziata. Eppure lei mi raccontava che era stata colpita da me; mi raccontava che, avrò avuto meno di due anni, le sono andato incontro attaccandomi alle sue gambe. È una cosa che fanno molti bambini. La ricerca di una protezione è un istinto naturale. Invece, lei mi diceva che io la guardavo ed avevo cominciato a ridere, una risata allegra, rumorosa; diceva che non riuscivo a fermarmi. Allora mi aveva preso in braccio e io continuavo a ridere. Anche le suore non sapevano spiegare questo mio atteggiamento. Forse, chissà, ma ammetto che è una ricostruzione buona solo per chi ci vuole credere, inspiegabilmente, sapevo che la mia tristezza, la mia disperazione di bambino abbandonato, solo era finita; diceva che fra le sue braccia Io continuavo a ridere fino alle lacrime accarezzandole piano il viso. Giovanna mi raccontava che, allora, anche lei aveva cominciato a piangere e che mi aveva stretto dicendomi: “Sono venuta? Hai visto?”
L’arrivo del cameriere interrompe un’emozione che mi ha colto di sorpresa; un’emozione che mi lascia senza difese. Come può la vita di una persona essere legata ad avvenimenti che non hanno nessuna spiegazione logica… Se solo Giovanna non fosse entrata in quell’ambiente dell’Istituto, se solo il bambino non fosse stato attirato da quella giovane donna, un’estranea; quanti se potrei aggiungere. E perché proprio quel bambino e non un altro? E tutti gli altri dove sono andati, poi, che vita hanno avuto?
Guardo il ragazzo che ora prepara Giovanna con pochi gesti precisi; un evidente modo di agire che evidentemente lui ha imparato; imbocca Giovanna dopo aver tagliuzzato, nel piattino, la fetta di dolce. Lei apre la bocca e piano mangia guardandolo con una luce negli occhi.
-Sì, dice il ragazzo avendo notato la mia meraviglia, a volte anch’io ho l’impressione che capisca quello che sta facendo. Come se partecipasse; ma chi può dirlo. Lei è stato professore? Poi mi chiede.
Sono contento che me lo abbia chiesto perché ha spostato il discorso da un argomento che ormai faccio fatica a dominare.
-Sì, sono stato un docente e, come le ho detto, ho avuto molte occasioni per collaborare con Giovanna. Ma prima mi ha detto che sta studiando? Che cosa?
-Sono laureato in medicina; adesso mi sto specializzando in una branca che si occupa delle possibilità di applicazione di alcune cellule per malattie devastanti; il campo della sperimentazione è vasto ma, purtroppo, ancora non ha dato risultati convincenti.
-Capisco. Lasci che le dica che questo incontro per quanto triste mi ha allargato il cuore. Lei è una bella persona.
-Grazie ma direi una bugia se non le dicessi che, a volte, la tristezza è tanta. Ho una compagna e aspettiamo un figlio. Come vorrei che Giovanna fosse qui ancora con noi. E invece…
– Non si avvilisca. Nonostante tutto la vostra è una bella storia. Quanti genitori possono dire di avere un figlio affettuoso come lei?
-Mi scusi, ora dobbiamo rientrare; abbiamo appuntamento con il fisioterapista; non mi chieda con quale beneficio ma sa, in questi casi, tutto quello che le succede intorno può diventare uno stimolo. Purtroppo di questa malattia sappiamo ancora molto poco. Mi ha fatto piacere conoscerla professore, arrivederla.
Resto con la mano in aria nell’intenzione di accarezzare il bel volto della mia amica; capisco in tempo che non è una cosa giusta.
-Sì, mi dice il ragazzo che ha compreso le mie intenzioni, se qualcuno la tocca si spaventa facilmente. Allora arrivederci.
Piano il ragazzo spinge la carrozzina ritornando nella folla di tanti sconosciuti che mi superano lasciandomi senza risorse. Sono attraversato da pensieri contrastanti: addolorato ma anche contento per Giovanna. Come posso spiegare l’amore, la dedizione di questo ragazzo? Quanti luoghi comuni, quanti stupidi pregiudizi.
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L’AUTORE
Già professore ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quelli a più voci dal titolo La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020), Agorà, ombre e storia nelle piazze di Napoli (La Valle del Tempo, 2021) curati con Clorinda Irace e Mario Rovinello, e Un giorno lungo una vita. Storie di tanti e di noi stessi (La Valle del Tempo 2024) dove raccoglie anche alcuni racconti pubblicati sul nostro portale come quello intitolato “Madre”. 

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