Racconto/ Macbeth: come rendere giustizia a un vecchio attore. Anche dopo la scomparsa

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-Fra la vita trascorsa sul palcoscenico ed il tempo dopo che siamo scesi da quelle tavole c’è un vuoto incolmabile. Tutto diventa inutile; i giorni scivolano via senza attese, senza speranze; anche i ricordi anzi soprattutto quelli fanno male. L’eco degli applausi si perde in un silenzio senza fine, nell’assenza di ogni contatto umano. Tu non esisti per nessuno.
Si ricorda che cosa dice Macbeth?
La vita non è che un’ombra che cammina; un pover attore che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena e del quale poi non si ode più nulla: è una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla.
Come vede ancora ricordo le mie battute. Quando anche questo scomparirà allora, mi dica, che senso avrà la mia vita.
Sono seduto nella bella casa sulla collina ormai da qualche ora. Fuori della finestra oltre i rami di una palma, che si agitano nel vento, vedo un mare appena increspato. Resto in silenzio con la mano ferma sul taccuino; non so che cosa scrivere. Ammetto di essere a disagio. Guardo il vecchio sprofondato nella poltrona, un plaid sulle gambe. È tutto quel che resta del grande attore: solo l’ombra di un uomo. Non capisco perché abbia accettato di ricevermi.
Sbircio le domande che pensavo di rivolgergli nel tentativo di riprendere un filo logico per dare un significato a questo nostro colloquio; ma, ora ammetto, sono disarmato; non ero preparato a questo triste incontro; è un’intervista senza senso. Cosa ci faccio, qui, ora? Non c’è possibilità di colloquio ed io capisco che l’intruso sono io.
-Ecco, scusi dottore, è l’ora della sua medicina.
Una donna, con tutto il tatto possibile, gli porge un bicchiere.
-Scusi sa, ma il medico mi ha raccomandata di essere puntuale con le medicine, poi aggiunge rivolgendosi a me; certo teme di aver interrotto il mio lavoro.
Sorrido alla donna che va via senza attendere un mio commento.
-Vede? Questo sono io. Lei mi chiedeva come trascorro il mio tempo. In realtà le confesso che stento a definire tempo queste ore, qui seduto, perso dietro ricordi che, ogni giorno che passa, mi appaiono più sbiaditi. Per me la parola tempo significa attività, pensieri, anche se vuole immagini positive di passate stagioni della propria vita. Ecco, tutto questo non c’è più. Alcuni giorni mi sento un vegetale, sì, direi un oggetto, un mobile al quale, certo, non penseremmo mai di chiedere come trascorre il suo tempo.
-Uscire di scena è sempre molto triste e non tutti trovano la serenità per farlo con dignità aggiungo rendendomi conto della banalità delle mie parole. Vedo che proprio non faccio progressi.
-Sì, certo. Ma in alcuni lavori l’uscita, come lei l’ha chiamata, avviene in modo indolore. Mettiamo uno scrittore o un giornalista, o anche un artigiano, ebbene lui può continuare la sua attività almeno fino a quando il suo cervello segue la sua volontà. E poi, succeda quel che succede ma lui, ormai, non se ne renderà conto. Nel caso, invece, di lavori per i quali la presenza fisica o la reazione di questo corpaccio è parte essenziale della riuscita, eh! allora tutto si complica. Riesce a immaginare cosa vuol dire, mettiamo, per un musicista accorgersi che lo strumento non risponde più ai suoi comandi? Una mano che non riesce ad imprimere sui tasti la forza necessaria? Un pittore la cui vista annebbia i colori? Un ballerino al quale i muscoli vengono meno? È una disperazione senza fine. Ogni volta pensiamo alla sordità di Beethoven. Ma che cosa sappiamo veramente del dolore che attraversava la sua mente? Che cosa sappiamo fra quello che ascoltiamo e quello che lui avrebbe voluto scrivere? Come possiamo essere sicuri della sua felicità? Sì, perché un artista deve soprattutto essere felice con se stesso     
Resto in silenzio.
-Mi dispiace, vedo che la sto annoiando o, ferse, intristendo, mi dispiace. Forse non è il giorno giusto.
-Oh! no. L’ascoltavo; le confesso che il suo tono di voce mi commuove; purtroppo non ho mai avuto la possibilità di ascoltarla in teatro ma la sua voce, se chiudo gli occhi, non faccio fatica a vederla sulla scena. Immagino l’attesa degli spettatori ed anche la sua emozione.
-Lei è molto gentile ma dice il vero: l’emozione. Un vero attore deve vivere ogni recita come se fosse la prima; la stessa emozione, ed anche la stessa paura. sì, la paura. Un tono sbagliato, un attacco prima o dopo il momento giusto e tutto va in rovina. Certo il mestiere ti viene in soccorso, spesso i colleghi ti aiutano e quando nel tuo sguardo smarrito leggono la paura di aver dimenticato la battuta, te la suggeriscono o cambiano i tempi per facilitare il tuo ingresso nel dialogo; ma il tuo animo viene ferito e tu senti che tutto sta crollando. Quando, nelle mie ultime recite, a volte, stentavo ad avanzare o, addirittura inciampavo, oh! la generosità del giovane collega che ti sorreggeva cambiando il senso delle sue battute, mi ha aiutato ma, in cuor mio, sentivo che la mia presenza su quel palco era diventata inutile, quasi un’ingombrante statua che i tecnici di scena avevano dimenticato nel posto sbagliato.
Certo nessuno osava rimproverarmi; sa, godevo di un prestigio e di un rispetto che, in qualche modo, mi tenevano lontano da ogni critica. Anche le recensioni, il giorno dopo, esaltavano le mie performances, nessuno osava accennare all’incidente avvenuto sul palcoscenico. Silenzio assoluto; per tutti ero sempre il grande attore, l’incontrastato numero uno. Ma io sapevo la verità, io sapevo che, prima di ogni recita, il regista mi raccomandava agli attori dicendo di starmi vicini, di sorreggermi, in un certo senso di sostituirmi se mancavo la battuta; capisce, ero diventato il vecchio interprete, un nome sul cartellone buono per attirare folla di spettatori; ma io, ogni sera morivo su quelle tavole. Sapesse quante volte avrei voluto urlare di smettere quella farsa, chiedere che mi lasciassero andare in pace. E invece…
Faccio in fretta a infilare una mia domanda. In qualche modo questa insensata intervista dovrà pure terminare.
-Poi avvenne quell’incidente, ora non ricordo in quale città… le dispiace se ne parliamo?
Troppo tardi mi accorgo di essere stato poco accorto; avrò certo toccato un tasto sbagliato. In realtà volevo solo dargli il modo di liberarsi di questi suoi struggenti ricordi. E ora non so come riparare all’eventuale disagio che avrò creato nel vecchio attore. E certo non mi sbaglio; mi guarda sorridendo ma è appena un filo delle labbra serrate ed un mormorio; un borbottio sarcastico come se volesse dirmi “Ecco, finalmente l’hai tirato fuori il rospo, brutto stronzo, il vero motivo per il quale il tuo giornale ti ha inviato, il vero argomento sul quale domani imbastirai le tue due paginette; anche tu, sciacallo, sulle spoglie di questo povero vecchio ormai indifeso”. Sudo, cambio posizione sulla sedia, vorrei dire che mi scuso che non era mia intenzione ferirlo. Ma ora il vecchio attore si riprende la scena. Alza la schiena, mi guarda fisso e con un tono sicuro riprende. Ecco, di nuovo, la sua bella voce, quella caratteristica per la quale è passato alla storia del teatro.  
-Oh! lei si riferisce a quella odiosa disavventura; tutto falso glielo assicuro; ma nessuno volle credermi. Poi ho capito che molti aspettavano solo l’occasione per liberarsi di me. Nuove generazioni di attori cercavano il momento adatto per sostituirmi. Non dico che non fosse giusto; aspirare ad un ruolo importante è nelle aspettative di ogni attore che lavora anni in attesa del suo momento; ma imbastire tutta quella volgare messinscena, no quello non lo meritavo.
Respiro. La sua reazione mi sembra meno cattiva di come mi aspettavo.
-Fu l’attrice che interpretava lady Macbeth ad accusarla di molestie, se ricordo bene. Almeno i giornali che ho letto così dicono, aggiungo quasi ad escludere ogni mia responsabilità.
Una sera, ricordo come fosse oggi. Urlandomi addosso oscene volgarità, interruppe la scena; successe il finimondo; tutti gli attori si allontanarono. Rimasi solo sul palcoscenico; e dopo poco iniziarono i fischi e gli schiamazzi. Ricordo che iniziai a piangere. Che triste spettacolo ma non volevo finire così la mia carriera. Anche il regista, poi, non mi difese; di solito, quando durante la recita succede un incidente, un imprevisto gli attori vanno avanti, restano al loro posto e soltanto dopo, a recita ultimata, fanno valere le loro ragioni.
Per mesi non potei uscire di casa; assediato da giornalisti che volevano sapere, vedere come si riduce un vecchio attore. Anche la mia famiglia, dopo un’accanita campagna mediatica, si stancò, capisce. Oh! non li biasimo; vivere era diventato un inferno. I miei trionfi, le mie stagioni, quando la folla mi applaudiva, e gli impresari facevano a gare per avermi nel loro teatro, tutto dimenticato. La mia vita, spesa per il teatro, cancellata in un colpo solo. Il grande attore, la gloria nazionale, come mi chiamavano critici in tutto il mondo, non c’era più. Ero una vecchia ciabatta di cui occorre disfarsi al più presto. Ora esisteva solo un “vecchio porco” come scrisse un quotidiano fra i più importanti del paese.
Capii allora che era stato tutto preparato. La stagione era alla sua conclusione; la città dove avvenne l’incidente non era una piazza, come si dice, importante. Sì perché nei teatri più prestigiosi, in quelli dove il mio nome era ancora rispettato, nessuno avrebbe creduto a quella volgare recita, ma, soprattutto, nessuno avrebbe osato imbastire tutta quella oscena messinscena. Io sapevo che l’attrice era l’amante del regista il quale, a sua volta, cercava di infilare, in ogni recita, gli allievi della sua scuola di recitazione. Era una brava persona, non dico di no ma, a maggior ragione, che necessità c’era di prestarsi a quella volgarità quando sarebbe bastato protestarmi con l’impresario. Già ma non era facile, questi volevano la certezza del successo ed ecco che, allora, il mio nome era necessario. Col tempo ho anche pensato che la mia presenza fosse diventata una recita nella recita, capisce? “Vediamo come muore un vecchio attore” si saranno chiesti non pochi. Sì perché vede, in particolare nel nostro mondo, spesso, anche la caduta, non solo il trionfo, fa spettacolo, attira la folla in un morboso gioco al massacro.
Che tristezza; bisognerebbe impedire tutto questo sconcio non solo per noi attori, no, non dico solo per noi. Il vecchio cantante che non ha più voce, lo scrittore che, in un’intervista, non riesce a restare sul tema; c’è un limite a tutto; anche il pubblico richiede maggiore rispetto. Quando ormai vaghi nella continua incertezza, la tua presenza diventa imbarazzante; bisogna avere il coraggio di dire basta. E invece ci accaniamo offrendo agli spettatori uno spettacolo indecente; come le dicevo, di un personaggio importante si vendono anche la morte purché avvenga in pubblico. “Ecco, signori, vedete che cosa è diventata la vostra beniamina, il vostro campione”. Ricordo le foto di quel grande calciatore diventato un corpo che sprigionava dolore; ebbene quelle foto, spesso rubate, venivano vendute ai giornali i quali, a loro volta, aumentavano la tiratura. Uno spettacolo osceno, senza alcuna pietà umana.
Le assicuro che il mio rammarico non è quello di non poter più recitare. Al declino bisogna opporre un comportamento dignitoso. Dopo l’incidente intorno a me tutti, critici, impresari, tutti fecero terra bruciata. Aspettavo un appuntamento di lavoro come si aspetta la prima telefonata d’amore. E invece…per giorni interi il telefono taceva e se chiamavo io si negavano, capisce, facevano dire di non esserci. Ma io volevo restare attivo, capivo di poter dare ancora un contributo. Cercai di fondare una scuola di recitazione. Amici, ora non saprei dire quanto fidati, mi fecero capire che, almeno per qualche tempo, il mio nome non era spendibile; e poi, aggiunsero, se proprio volevo, la scuola non doveva fare riferimento al mio nome; in altri termini dovevo scomparire.
Ricordo una volta, era già passato qualche anno, un giovane cronista, un critico appassionato di teatro mi convinse a fare un’intervista, come stiamo facendo noi ora, per poter spiegare le mie ragioni. Ora non ricordo il nome; è successo molto tempo fa; ebbene quella intervista non è mai stata pubblicata. Il direttore del settimanale ebbe il coraggio di dirmi che non era piaciuta e che voleva evitare risentimenti o proteste nell’ambiente del teatro. Mi fece anche il nome di un politico che non aveva apprezzato tutto il chiasso che si era fatto intorno al mio nome. Ora la mia stagione era finita e quindi smettessi di dare fastidio. Si, così, mi riferì il direttore del settimanale, aveva detto il politico: fastidio, capisce? Oramai ero solo un fastidio.
Si ricorda le parole di Macbeth che le ho ricordato prima?
La vita non è che un’ombra che cammina; un pover attore/che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena/e del quale poi non si ode più nulla.
Ecco, lo spettacolo è finito; il sipario si è chiuso; nel teatro è solo silenzio. Domani altri attori saliranno su quelle tavole, si agiteranno per qualche ora; il pubblico applaudirà, più o meno convinto. Anche i giornali si occuperanno di loro, creeranno un nuovo mito. Un nome che, per qualche anno, riempirà i cartelloni e poi…la giostra cambierà di nuovo.
Nella stanza è quasi buio; il pomeriggio è scivolato via senza che mi rendessi conto del tempo trascorso.
-Oh! ma siete al buio! Come fate a lavorare.
-No, Annina, abbiamo finito, il dottore stava andando via. Per favore accompagnalo.
Non aggiungo una parola; e che cosa potrei dire che non suonasse stonata, fuori luogo? Posso allontanarmi. Le parole del vecchio attore mi hanno risparmiato una scena incresciosa. Ma il disagio, che mi ha accompagnato durante queste ore, chiede tregua.
-Fra qualche giorno le spedirò quello che avrò scritto; voglio che lei lo legga. Le prometto che solo se lo approverà sarà pubblicato.
-Grazie; mi ha fatto piacere parlare con lei. Buon lavoro.
Purtroppo il vecchio attore non leggerà le mie parole con le quali gli rendevo giustizia. È morto solo qualche giorno dopo il nostro incontro.
 ©Riproduzione riservata

Foto da Pixabay

L’AUTORE

L’AUTORE
Francesco Divenuto riflette sulla vita costruendo visioni poetiche che hanno il dono di affronta tematiche importanti con un tocco leggero e raffinato
Già professore ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II, Divenuto è autore di saggi, racconti e pubblicazioni collettive.

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