Pubblichiamo di seguito la seconda e ultima puntata del nuovo racconto di Francesco Divenuto dal titolo “Un disco rotto”. Protagonista, Bruno che nella redazione americana di una televisione italiana apprende la terribile notizia: una troupe di giornalisti francesi è stata assalita mentre si spostava per raggiungere il teatro di guerra, Tra i morti anche una giovane fotografa…
SECONDA PARTE
Un giorno, in redazione, era entrata lei, Giovanna. Era una fotografa ed era stata assunta perché aveva presentato un ottimo curriculum che aveva meravigliato tutti considerando la giovane età. Con la sua famiglia aveva abitato in molti paesi e questo le aveva facilitato la conoscenza delle lingue un bagaglio decisivo per il suo lavoro.
Bruno l’aveva notata e, come quasi tutti gli uomini della redazione, le rivolgeva cortesie e favori.
La presenza della collega gli creava la giornata meno faticosa e anche lei cercava la sua compagnia. Bruno aveva ripreso ad andare in palestra e se avevano un giorno di riposo un giro per la città, che lei conosceva poco, terminava sempre in qualche trattoria popolare dove si mangiava bene.
Nessuno si era meravigliato se, a un certo punto, questa loro frequentazione era diventata qualcosa di più; e anche l’invidia dei colleghi era stemperata in una reciproca amicizia e simpatia per Bruno. I giorni della malinconia erano un lontano ricordo mentre la felicità era diventata una condizione quotidiana.
A volte Giovanna riceveva telefonate anche da paesi stranieri; conoscendo la facilità con la quale la sua famiglia si spostava non c’era da meravigliarsi più di tanto ed anche quell’aria triste che assumeva dopo veniva interpretata come nostalgia per i suoi familiari o, anche, per gli amici della sua gioventù. Ma era una sensazione che durava poco ed alla quale Bruno sapeva come porre rimedio; il loro amore era un’ancora sicura alla quale restare legati. E poi anche il lavoro, di Giovanna e di Bruno, prevedeva viaggi e spostamenti sia pure nell’ambito di qualche giorno soltanto.
Ma, col tempo, Giovanna conservava quell’ombra di tristezza alla quale Bruno non riusciva più a dare sollievo. Il dubbio, allora, si era insinuato nella sua mente: era soltanto nostalgia della famiglia, degli amici, dei suoi luoghi d’infanzia o c’era un antico sentimento che, prepotente, si era ripresentato? Ogni qualvolta aveva tentato di affrontare l’argomento, Giovanna l’aveva fermato con fastidio e la cosa era finita senza apparente conseguenze; fino a quel giorno maledetto in cui andando in redazione aveva visto i colleghi guardarlo in silenzio, girandogli intorno senza dire una parola.
Bruno aveva capito di essere l’oggetto di quell’atmosfera ma a ogni domanda nessuno aveva voluto aggiungere niente. Poi il direttore lo aveva chiamato facendolo accomodare nella sua stanza.
Che nell’aria ci fosse l’attesa per una novità spiacevole era evidente ma Bruno pensava a difficoltà del lavoro, qualche  possibile imprevisto e attendeva.
– Bruno, siediti un momento.
– C’è qualcosa che non va direttore? Dove ho sbagliato?
– No, no che stai pensando? Tu lo sai, sei molto stimato. No, no aspetta. Dunque Giovanna mi ha pregato di parlarti:  ha chiesto il trasferimento e questa mattina è partita. Mi ha detto che non aveva il coraggio di dirtelo, che le dispiaceva ma che, messa alle strette, ha dovuto fare una scelta ed alla fine non ha saputo rinunciare al lavoro che, tu lo sai, lei ama molto.
Bruno era li fermo, senza parole dando l’impressione di non aver capito. Non era possibile, qualcuno gli stava facendo uno scherzo. Ma il viso del direttore era estremamente serio. Questa, purtroppo, era la realtà. Si era alzato ed era uscito senza riuscire a dire nulla.
– Bruno aspetta, Giovanna ti ha lasciato una lettera; sta sulla tua scrivania ma aspetta ancora un momento; vuoi un caffè? Non andare via così.
Ma Bruno era già fuori.
La strada verso casa fu un lungo tunnel nel quale i rumori si sovrapponevano alle voci creando un’eco assordante. Spintonato, reggendosi a stento, raggiunse il suo palazzo dove, ignorando il portiere, salì al suo appartamento. Il telefono prese a suonare incessante fino a quando mise la cornetta fuori posto. Tutto avveniva in silenzio, con movimenti automatici; poi crollò sul letto dove, per ore, restò immobile. Solo nel pieno della notte, con un gesto anch’esso automatico, tirò fuori la lettera che Giovanna gli aveva lasciato.
Perdonami se puoi. So che ora ti è difficile ma la vita ha le sue pretese e io non ero pronta per quello che stavamo costruendo; forse un giorno mi pentirò ma ora non riesco a pensare i miei giorni ferma in un posto anche se, lo ammetto, con te mi sarebbe piaciuto costruire qualcosa.
So che la vita in due richiede sacrifici e un rapporto sincero; lo so, io sto scappando di fronte alle responsabilità che avevo assunto nei confronti tuoi ma credo di avere un dovere soprattutto verso me stessa. Non recriminare, non cercare di vedere pretesti o cause remote, lontane nostalgie; io voglio seguire una strada della quale non conosco la meta.
Nella mia giovane esistenza ho imparato che la vita è dolore; un dolore che si riceve e che si da. Per tutto c’è un prezzo da pagare. Anche il lavoro ti dà molto ma ti toglie tanto ed è sempre difficile verificare, nel bilancio, se hai vinto o hai perso. Mi rendo conto che le mie sono soltanto parole e che il dolore ha i suoi tempi e che niente o nessuno, in questo momento,  può aiutarti; capisco che è difficile da credere ma invece se mi ami devi credermi: piango mentre scrivo e il desiderio di strappare tutto e restare è forte; ma devo farlo altrimenti non mi perdonerei di essere rimasta e finirei con l’odiarti. E invece credimi, sei stata la più bella cosa della mia vita ma sento che una stagione è finita ed ho ancora tante cose da fare.
Una agenzia parigina, con la quale ho già lavorato, mi ha proposto di aggregarmi ad una troupe di giornalisti che, fra qualche giorno andrà…scusami ma per contratto non posso dirti dove; è un incarico di grande responsabilità ma anche di grande prestigio, un deciso salto in avanti per la mia carriera. Bruno forse sto sbagliando ma, in questo momento, non riesco a vedere altra scelta; devo confessarti che è stato sempre un mio sogno segreto; spero di non  dovermi pentire ma, certo, potrò dire di averci provato. Forse è già tutto deciso anche se non ce ne rendiamo conto; pensiamo di essere artefici delle nostre scelte e invece…we are who we are.
Non biasimarmi per non avertelo detto; sono sicura che avresti tentato, in tutti i modi, di dissuadermi e io stessa, lo ammetto, vedendoti  non so quanto avrei resistito perché io ti amo e andar via, mi costa molto. Lo so, mi ripeto, ma come è penoso tutto questo.
Ti auguro tutto il bene che meriti ma, ti prego, lascia un angolo del tuo cuore solo per me così come ti assicuro che io non ti dimenticherò.  Continuerò ad amarti, Bruno, perché sei una persona speciale e se un giorno, come spero, ci incontreremo ancora vorrò vederti felice ed allora saprò di non aver sbagliato ad andar via”.
Giovanna.
Quante volte ha letto quella lettera; quante volte ha rivisto la sua vita, quante volte ha pianto ricordando i suoi giorni felici; il dolore è un pozzo senza fondo nel quale continua a precipitare e quel disco, la loro canzone, continua ossessiva a martellare nella sua mente.
Un nuovo giorno è spuntato. E la notte è stata un lungo incubo. I condomini, qualcuno si sarà lamentato ma Bruno non ha il tempo per riflettere su tutto questo; poi semmai chiederà scusa. Ed è sicuro che tutti capiranno.
Ora deve chiamare in redazione; questa sera, è sicuro, ritornerà al lavoro. Occorre riprendere la sua attività, i giorni che verranno saranno il tempo necessario per rimarginare; e se la solitudine riprenderà possesso della sua mente, i ricordi gli faranno compagnia. 
Nell’ascensore della redazione, qualche collega lo saluta con simpatia; c’è, in tutti, un tono di pena che non vuole alimentare; ma forse è solo una sua impressione.
– E allora, Bruno, sei contento? Era quello che aspettavi, vero? Mi sembra che sia arrivata al momento giusto. Sono contento per te. Vedrai, ora puoi riprendere a sorridere. Lo so, sono parole stupide ma sai, il nostro lavoro per noi è tanta parte della vita. E tu sei giovane.
–  Ma io, non capisco, scusi direttore ma che cosa succede, mi sfugge qualcosa?
– Ma come, ancora non lo sai? Ieri pomeriggio mi hanno chiamato da New York; la sede della nostra emittente; mi hanno detto che ti hanno inviato una raccomandata; non l’hai ricevuta?
Solo allora Bruno ricorda la posta che, con tanta insistenza, il portiere gli ha detto di prendere.
– Ah! sì, il postino mi ha lasciato un avviso ma non ho ancora avuto il tempo di andare alle Poste; contavo di andarci, semmai, domani.
– Vai subito, Bruno, credo che sia una cosa importante.
L’invito è perentorio; sembra, piuttosto, un ordine di servizio. Le parole del direttore della sede americana non lasciano spazio a dubbi o a ripensamenti. E non poteva essere diversamente.
Soltanto ora Bruno ricorda di quel dossier inviato qualche tempo prima; era stato un modo per mettersi in gioco, sottoporsi ad un giudizio, vedere che accoglienza potesse avere il suo lavoro svolto fino a quel momento. Un modo anche per comprendere se quei suoi servizi che in redazione, erano molto piaciuti, potessero trovare ascolto fuori del suo ambito di lavoro.
Il direttore, per la verità, lo aveva, lui stesso,  invogliato a spedire il dossier.
“Sei giovane, gli aveva detto, ma devi far girare il tuo nome, devi farti conoscere”. In fondo che i giovani redattori si affermassero era un motivo di orgoglio per i dirigenti dell’emittente che vedevano la propria attività anche come scuola per le nuove generazioni. Un prestigio che si sarebbe riflessa sulla stessa importanza della Rete televisiva.
E ora l’invito a Bruno a trasferirsi in America era la riprova che la scuola funziona davvero.
– Bruno, se mi posso permettere, gli dice il direttore, è un’occasione da non perdere; forse è giunto il momento di voltare pagina.
– Sì, credo che abbia ragione, è giunto il momento di partire.
È passata una settimana e il giorno della partenza è vicino; non c’è tempo per ripensamenti.
– Buongiorno signor Bruno, come va? Oggi la vedo proprio bene. Mi fa piacere; sa qui tutti sono stati in pena per lei, le vogliamo tutti bene.
– Grazie Giuseppe; volevo dirle che io vado via, starò fuori per un po’ di tempo; darò la chiave dell’appartamento a un’agenzia credo che venderò la casa.
– Oh! vuole abbandonarci? Mi dispiace ma se questo è bene per lei, allora, sì ha ragione, lei è giovane, ha diritto a cambiare.
Dopo qualche giorno ancora, prima di salire sul taxi che lo porterà all’aeroporto, Bruno saluta Giuseppe.
– Grazie di tutto, mi saluti gli altri, sono stato proprio bene con voi, grazie e scusatemi per il fastidio degli ultimi giorni.
– Oh! non ci pensi, sciocchezze.
-Piuttosto, Giuseppe le lascio le chiavi; per cortesia può darle alla ditta che verrà a prendere le cose che ho lasciato? Poi saranno loro a darle all’agenzia immobiliare.
– Non si preoccupi, ci penso io; mi permette, posso abbracciarla? Come un figlio. Le auguro tutto quello che desidera.
– Grazie, arrivederci.

                                                                       * * *

Sullo schermo le immagini scorrono via. Il tempo dedicato alla notizia è durato poco; in una redazione le notizie da mandare in onda vengono valutate con criteri decisi  in base all’interesse che può suscitare nel proprio campione di ascolto ma anche in rapporto alla fascia oraria.
La televisione continua a trasmettere le altre notizie del giorno.
Seduto alla sua scrivania, Bruno guarda fuori dei vetri; nelle prime luci della sera il traffico della città scorre incessante come pesci impazziti in un acquario.
(2.fine)   
PRIMA PARTE        
Quella malinconica voce di Juliette Gréco sull’onda dei ricordi
(lunedì 15 novembre 20121)

– Io la conoscevo, sì, la conoscevo.
Nella redazione americana di una televisione italiana, tutti guardano Bruno che, dopo queste parole,  è rimasto fermo, immobile mentre scorrono le immagini dell’ultimo aggiornamento. Una voce commenta l’accaduto: “Una troupe di giornalisti francesi è stata assalita mentre si spostava per raggiungere il teatro di guerra. Tutti gli occupanti del blindato sono stati uccisi: due giornalisti, un operatore televisivo e una giovane fotografa…”.
Poi ognuno ritorna al suo lavoro, e riprende l’attività frenetica di ogni giorno.
Solo Bruno continua a guardare quel volto della bella ragazza e a ricordare.
Il dolore, ora, somiglia al rimpianto per una vita diversa.

                                                                 * * *

Je hais les dimanchesla voce di Jiuliette Gréco irrompe nella stanza, ancora una volta, dall’inizio alla fine del disco per poi ricominciare, per un guasto o, forse, per un preciso comando impartito all’apparecchio; nemmeno Bruno potrebbe dire quante volte.
Da ore giace, ancora mezzo addormentato, su un letto in un angolo della stanza; il suo è un sonno apparente, il sonno postumo di una sbronza iniziata qualche ora prima; una sbronza triste, solitaria le cui tracce sono lì, sul pavimento, nelle molte bottiglie ormai vuote.
Nelle condizioni in cui si trova sicuramente non gli giunge quel suono che comincia a gracchiare così come non sente i ripetuti colpi che qualcuno sta dando alla sua porta.  
– Io credo che dobbiamo preoccuparci; è da questa notte che questa maledetta musica suona e poi sempre la stessa canzone. Si sarà sentito male.
– Ma forse potremmo sfondare la porta.
– No, meglio chiamare i pompieri.
– Io però non sento nessun odore, non credo che ci sia fuga di gas.
– Oh! Dio, ho letto che ora il gas delle cucine è inodore.
– Ma no, è il contrario. Comunque non toccate il campanello elettrico.
– Possibile che nessuno abbia le chiavi; di solito c’è sempre qualche condomino che si presta.
– No, nessuno nemmeno il portiere, ho già chiesto.
– Ma la sorella non abita qui vicino?
– Può darsi ma nessuno sa bene dove e nemmeno come si chiama.
Intanto Juliette Gréco ha ripreso instancabile. Je hais les dimanches…
– Ma questa musica è uno strazio; se provassimo a staccare la corrente?
– Ma come? Mica possiamo staccare la luce a tutto il palazzo.
– Fatemi passare, aspettare, ho recuperato alcune chiavi può darsi che ci riusciamo, vediamo un po’.
La piccola folla che si è riunita sul ballatoio segue i tentativi che si dimostrano infruttuosi.
– Ma da quanto tempo non lo vedete? chiede qualcuno.
– Ma è difficile incontrarlo; lui esce la sera, so che lavora in una televisione privata.
– Una volta l’ho incontrato che saliva con una ragazza, una bella ragazza bionda, ma non mi sembrava italiana.
– Don Nicola e voi avete notato tutto questo? Per caso sapete pure il nome e quanti anni ha?
Tutti ridono ma il tempo passa e nessuno sa prendere una decisione.
– Aspettate, ora la musica è cessata; si sarà svegliato, proviamo a bussare ancora.
– Posta, c’è qualcuno?
– Che c’è? A chi cercate?
– Sto bussando a Repreti ma non mi risponde.
– Ci sono le cassette.
– Ma si deve firmare.
– Allora dovete salire, qui al terzo piano.
Dopo non poco tempo il postino, un uomo grasso e non più giovanissimo, arriva ansante sul pianerottolo.
–  Mamma mia e che fatica; a chi aspettate a mettere un ascensore?
– Secondo me facciamo più presto a cambiare postino.
– Ecco una proposta che appoggio; piuttosto chi di voi è il signor Bruno Repreti?
Nessuno di noi, questa porta è casa sua; stiamo bussando ma non risponde.
– Forse non c’è; e perché mi avete fatto salire, santa pace, io mettevo l’avviso nella cassetta e mi risparmiavo questa sfacchinata; oggi non mi sento nemmeno tanto bene.
– Ma no, prima c’era.
Che significa, non capisco?
– Fino a poco fa si sentiva un disco che suonava; è andato avanti tutta la notte perciò ci siamo preoccupati.
– E com’è che ora non suona più? Allora c’è? Per favore non mi fate perdere tempo.
– E chi vi trattiene, voi, scusate, la lettera la potete pure mettere sotto la porta.
– Ma no, è una raccomandata, deve firmare.
– Aspettate, sento dei rumori. 
– Sentite ma io non posso stare qui tutta la giornata; io ho un giro lungo da fare. Io me ne vado, buona giornata.
– Ma almeno diteci di che cosa si tratta, così lo diciamo a noi a Bruno.  
– C’è tutto scritto sull’avviso che mo’ metto giù nella cassetta, arrivederci.
Sul pianerottolo le poche persone rimaste non sanno che cosa fare. Quasi tutti hanno impegni.
– Forse si è appena svegliato e ha spento il disco; semmai torniamo più tardi.
– Sì hai ragione credo anch’io che ormai  sia inutile aspettare ancora. 
Nella casa ora si sente solo qualche fruscio. Jiuliette Gréco ha terminato la sua  esibizione.
Sul pianerottolo del terzo piano non ora non c’è nessuno. Un battente della porta si apre, appena, consentendo a Bruno, di sbirciare furtivamente. Poi esce trascinando un sacco di plastica pieno di bottiglie. Cammina piano nel tentativo di non fare rumore; ma non è facile. Su ogni gradino, le bottiglie, urtano fra di loro; tre piani, senza ascensore, costituiscono un lungo viaggio. Bruno spera di non incontrare nessuno anche perché sa di non essere al meglio delle sue forme; anzi, è impresentabile. Le conseguenze della sbornia sono tutte li, stampate sulla sua faccia. Giunto nell’androne vede il portiere che lo guarda senza dire una parola.
– Buongiorno, Giuseppe.
– Buongiorno, signor Repreti, c’è l’avviso di una raccomandata; il postino ha bussato.
– Sì non ho fatto in tempo, era nel bagno, arrivederci.
– Buona giornata.
Dopo pochi attimi ai citofoni di tutti gli appartamenti la voce di Giuseppe avverte:
– È uscito, sta bene, era solo ubriaco, trascinava un sacco pieno di bottiglie ah! sti giovani moderni. La luce del giorno gli dà fastidio agli occhi; Bruno lentamente mette a fuoco le sue ultime ore e non è un bel ricordo. Cerca in tasca la lettera che ha ricevuto; deve averla lasciata a casa; ma non ha importanza; l’ha letta tante di quelle volte che ora potrebbe recitarla a memoria. Cambierebbe il tono di voce ma le parole, quelle, inesorabili, gli risuonano tutte nella testa come se lei gliele avesse dette, anzi gridate di persona. Deve fare uno sforzo per rimettere in sesto la sua giornata. Telefona in redazione dicendo di essere malato; non è proprio il caso di presentarsi in queste condizioni.
Il mal testa è diminuito, ma è ancora li, in fondo al suo cervello nel quale, come una pellicola montata al contrario, scorrono gli avvenimenti  di questi ultimi giorni. Un messaggio sul cellulare lo avverte che, per questa sera, non ci sono problemi; può essere sostituito. Ha solo voglia di tornare a casa e cercare di dormire.
Rientrato nel palazzo scivola lungo le pareti felice di non incontrare nessuno; le scuse che avrebbe dovuto imbastire per il suo comportamento, ora che, man mano, il suo cervello sta rientrando nella normalità, lo avrebbero distrutto; tutto troppo differente dal suo solito modo di agire, da perfetto, cordiale inquilino.
– Signor Bruno, e non avete visto la posta?
– Ah! buongiorno Giuseppe, semmai la prendo dopo.
– Ma c’è l’avviso di una raccomandata; quello, il postino non ha detto altro; mi ha pregato di avvertirvi, dice che è una cosa importante.
In realtà, il postino, come sappiamo, ha detto ben altro ma Giuseppe è un portiere, brava persona, sempre gentile ma il ruolo esige una certa, diciamo, curiosità e poi, dopo tutto il chiasso del mattino si sente in diritto ad un discreto risarcimento; ed infatti si avvicina a Bruno che ha in mano la cartolina sulla quale sbircia senza, purtroppo, riuscire a leggere niente.
– Dice che c’è tutto scritto sull’avviso, leggete.
– Sì, Giuseppe, lo so com’è fatto un avviso, lo guarderò dopo.
La cartolina dalle mani è scivolata nella tasca ma non per questo Giuseppe è disposto a rinunciare.
– Abbiamo fatto tardi stanotte eh! signor Bruno; ma sì, fate bene, godetevi la vita finché siete giovane, eh! poi arriva la famiglia e allora sono dolori.
Bruno lo guarda, capisce la manovra ma non è disposto a scendere sul terreno di Giuseppe. Un laconico -già- accompagna il suo -buon giorno Giuseppe- prima di allontanarsi.
– Giuseppe, Giuseppe.
– Ah! buon giorno signora.
– Giuseppe, ho incontrato il signor Bruno per le scale; e che brutta faccia che teneva, che vi ha detto?
– Niente; non ha detto niente; a stento mi ha salutato.
– E la raccomandata? Glielo avete detto?
Certo; anzi l’ho dovuto pure richiamare; se ne stava salendo senza prendere l’avviso. E così è dovuto ritornare indietro.
– E che avete visto? Che diceva l’avviso?
– Niente, ho cercato di guardare ma lui l’ha subito messo in tasca e se n’è andato.
– Ah! buon giorno signora, buon giorno Giuseppe, e allora? Che avete saputo? Che cosa è successo?
– Buon giorno signora Berillo; niente, questo stavo dicendo alla signora Giachetti, niente. Non sono riuscito a sapere niente. Certo rimane un mistero.
– Ma questo è un palazzo di persone perbene, noi abbiamo il diritto di sapere; e no! io la prossima volta che succede quello che è successo questa notte, no! io chiamo la polizia.
– No, signora, non esageriamo; è giovane, avrà fatto una festa e poi…
– Sì! una festa Giuseppe, e chissà quanti erano e che cosa hanno combinato, questi giovani moderni, lo sappiamo, la droga gira.
-Ma no, vedrete che tutto si chiarirà.
– E poi vedrete se non lo faccio; anzi diteglielo perché io non scherzo. Buon giorno.
– Mamma mia e come sta imbufalita; però Giuseppe, tutti i torti non ha. Allora, Giuseppe, perché questa mattina il signor Bruno non ha aperto?
– E, forse si vergognava che vi devo dire. Cerchiamo di non esagerare. Signora Giachetti noi al signor  Bruno lo conosciamo da tanto tempo; è sempre stata una persona educata, gentile.
– Sì questo è vero, la signora Berillo è venuta da poco; avete ragione; ma noi lo conosciamo bene a Bruno; dobbiamo capire che cosa gli è successo al poveretto; e se ha bisogno del nostro aiuto?
– Signora, aspettiamo, non possiamo fare altro; vedrete che, prima o poi, lui stesso qualcosa dirà.
– Speriamo Giuseppe, perché poi, mi dispiace, una così brava persona; beh! buona giornata.
– Arrivederci.
Nel palazzo, a parte l’inquilina del quarto piano, la signora Berillo arrivata da poco tempo, gli altri si conoscono da molto. Anche Giuseppe, il signor Bruno lo conosce bene, sulla sua correttezza non ha dubbi ma una spiegazione bisogna trovarla.
Rientrato in casa, intanto, Bruno si guarda in giro. Il piccolo appartamento ha ancora bisogno di una ripulita anche se almeno le bottiglie e qualche piatto sporco con avanzi di pizza, li ha già portati via.
Anche il disco è stato rimesso nella sua custodia; ma quello che è più difficile risistemare è la sua testa. Steso sul letto cerca di mettere ordine nelle sue idee; ma non è facile. L’unica cosa certa è che la sua storia è finita. Succede, aveva pensato ogni volta senza chiedersi da parte di chi, per primo, la storia si fosse consumata.
Non era necessario cercare la causa; con il suo lavoro, di cause, volendo, ne avrebbe potuto trovare moltissime: le intere giornate passate in redazione o in viaggio per un servizio, cene di lavoro, incontro con colleghi senza nascondere alcune diciamo avventure extra.
Era giovane e tutto questo rientrava nella organizzazione della sua vita che, per altro, non aveva nessuna intenzione di cambiare. Poi, l’anno precedente, era successo che, a distanza di mesi, i suoi genitori erano morti. È strano come, a partire da quel momento, aveva avvertito il peso degli anni; forse anche il trasferimento della sorella che aveva seguito il marito in un altro paese, aveva contribuito a questo stato d’animo il quale si rifletteva anche sul lavoro.
©Riproduzione riservata
(1.continua)

L’AUTORE
Ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II di Napoli, Francesco Divenuto è autore, tra l’altro, di  numerosi saggi su riviste specializzate e di  due romanzi “Il capitello dell’imperatore. Capri: storie di luoghi, di persone e di cose” e “Vento di desideri “(edizioni scientifiche italiane). Tra gli ultimi libri realizzati, quello a più voci dal titolo “Napoli: a bordo di una metro sulle tracce della città” coordinato con Guido D’Agostino e Antonio Piscitelli (edizioni scientifiche italiane 2019), La casa nel Parco. Un giorno tra il Museo e il Real Bosco di Capodimonte (AGE 2020).
Tra i racconti, pubblicati sul nostro portale, “Variazioni Goldberg”, “Il bar di zio Peppe”, “Carmen e il professore”, “Il flacone verde (o Pietà per George)”, “Lido d’Amore”, “Frinire”, “Primo novembre”, “Due di noi”, “Il trio”, “Quattro camere e servizi”, “Mai di domenica”, “Cirù e Ritù”, “Una notte in corsia”, “Gennaro cerca lavoro (il peccato originale)”, “L’odio”, “Il vaso cinese”, e “Il nuovo parroco”, “L’eredità”, “Una caduta rovinosa”, “Cronaca nera”, “La cartellina rossa”. “L’ultima scelta”.

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