Questa notte si è ballato; e anche molto. Ormai sono sveglio; vado in cucina. La moka gorgoglia; a questo punto, ho imparato, bisogna abbassare al minimo la fiamma per consentire al beccuccio di rilasciare tutto il caffè che ancora si agita e bolle.
Ecco fatto; ora spengo e lascio che il caffè perda un po’ del suo calore ma trattenga il suo aroma. Ho tempo; fra poco mi servirò una tazzina, la prima del giorno; io lo prendo amaro. Intanto guardo la televisione, un canale locale.
Questa mattina, nell’area flegrea, c’è stato ancora un terremoto; la magnitudo non è stata alta; dicono che l’epicentro, come spesso è avvenuto in questi ultimi mesi, è stato a via Pisciarelli.
Sia pure non forte il movimento tellurico è stato avvertito anche nella zona in cui abito; ormai ci siamo abituati ma ammetto che riacquistare tranquillità non è facile per cui continuo a seguire le notizie sulla televisione.
In particolare le reti locali si soffermano sull’effetto che il fenomeno sismico, l’ultimo per ora, ha avuto sulla popolazione. In tutti gli intervistati scorgo un senso di rassegnazione e, al tempo stesso, di frustrazione; del resto io stesso non saprei come comportarmi. Forse bisognerebbe andar via o, intanto, partecipare alle esercitazioni di evacuazione disposte dalla protezione civile.
Non sono un allarmista e non appartengo al gran numero di cittadini per i quali, in ogni disastro ambientale, penso anche alle disastrose alluvioni ormai così frequenti, la colpa è sempre degli altri; parlare di colpa, infatti, è facile senza voler esaminare le tante cause che hanno portato, nel corso degli anni, all’attuale fragilità in gran parte del paese: certo le condizioni climatiche sono cambiate ma non possiamo ignorare l’intervento scellerato attuato in molte aree del paese: terreni non adatti dichiarati edificabili, corsi d’acqua interrati, fiumane occupate da costruzioni fin sugli argini. Il repertorio del cahier de doléances sarebbe infinito; mi soffermo solo sul caso bradisismo che da mesi si è prepotentemente ripresentato nell’area dei Campi Flegrei.
È uno dei fenomeni, nell’area napoletana, più antichi, più conosciuti e anche più studiati. Sono ben note, ad esempio, le tracce dell’innalzamento del mare; gli evidenti segni lasciati sulle colonne del Serapeo sono una testimonianza di enorme valore scientifico. La natura del suolo, la sua morfologia sono continuamente monitorati. Uno di quei casi nei quali non possiamo dire che la scienza sia assente. Anche il rapporto, difficile, con gli abitanti appartiene ad un repertorio antico sia pure continuamente aggiornato: le lamentele, la ricerca di un responsabile, i fondi mai sufficienti per mettere in sicurezza gli edifici…tutto già visto e sentito.
Nessuno che sappia o voglia affrontare il problema in maniera seria e se uno studioso, uno scienziato, uno, insomma, senza interessi politici alza il dito individuando atteggiamenti delle amministrazioni, non soltanto locali, non sempre attente, subito viene redarguito, semmai dagli stessi politici: attenzione a quello che si dice, perdiamo voti. E si continua così in attesa che il fenomeno, come sempre è successo molte altre volte, diminuisca e tutto resta come prima.
E allora? Esiste una possibile soluzione diversa? Immaginare tutta la zona senza la presenza dell’uomo, ormai, è un’utopia ma almeno chiedersi le cause della occupazione di aree sempre più vicine alla caldera, ecco, chiedersi come sia stato possibile, questo è un problema che bisogna porsi per proporre soluzioni realistiche così come non si può più rimandare una riflessione sulla qualità delle costruzioni dalla quale dipende, in buona parte, la resistenza ai fenomeni sismici. Sono problemi antichi che tutti hanno sempre voluto ignorare.
Lo abbiamo detto: le caratteristiche geofisiche dell’aria sono note da tempo, e anche gli studi sono continuamente aggiornati; oggi, le conoscenze scientifiche e le possibilità tecnologiche nelle costruzioni ci consentono un diverso approccio al problema. Non sono le competenze che mancano semmai la volontà di affrontare in maniera scientifica il problema calcolando i possibili interventi ma non senza prima di aver esaminato bene la situazione esistente.
Bisogna prendere atto che si è costruito senza criterio e che esiste un’edilizia povera che viene giù al minimo fenomeno senza attendere chissà quale catastrofe; quanto di questo patrimonio edilizio è stato costruito rispettando le norme edilizie? Quante di queste case possono essere recuperate? Un censimento delle costruzioni inadeguate a resistere nella zona e di quelle che possono essere recuperate semmai con opportuni interventi di consolidamento, dovrebbe essere un progetto minimo portato avanti per passi continui avendo, intanto, rivisto i piani di edificazione, applicati nella zona, per controllare la loro validità e, dove possibile, creare aree di rispetto.
Mentre rifletto suona l’allarme sul display del cellulare: avverte dell’esercitazione di evacuazione che si terrà fra pochi giorni. Ammetto che, in realtà, tutto mi risulta poco chiaro. E tutti quelli che non hanno dimestichezza con questi aggeggi, chi li aiuterà? Come potranno comportarsi?
Aspetto fiducioso prossimi avvisi; ma se poi quel giorno ho un malore, chi devo avvertire? Verrà qualcuno a prelevarmi? Mi stanco presto della continua sceneggiata; qualcosa saprò nei prossimi giorni; almeno spero. Non faccio in tempo a cambiare canale; è ora di pranzo; la rete televisiva passa al solito programma su chi cucina cosa e come.
E per oggi è tutto. Le televisioni smantellano i set; appuntamento alla prossima scossa; i telecronisti sono già pronti: le domande sono sempre le stesse e anche le risposte delle persone intervistate.
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L’AUTORE
Già professore ordinario di storia dell’architettura all’università Federico II, Divenuto è autore di saggi, racconti e pubblicazioni collettive.
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