Compito fondamentale dell’uomo fin dalle sue origini è il custodire (cfr. Genesi 2: Dio pone l’uomo nel giardino dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse). Adamo è il custode del giardino non il proprietario; la custodia del creato rappresenta un termine relazionale fondamentale di tutta la creazione.
La stessa finalità si trasferisce alla sua figliolanza: Caino diventa il custode di Abele e viceversa. La sua importanza si rileva dalla domanda posta da Dio a Caino dopo l’uccisione di Abele (cfr. Gn.4: «dov’è tuo fratello?»); domanda apparentemente retorica che contraddice l’onniscienza di Dio.
La risposta di Caino non si fa attendere: «Sono forse il guardiano di mio fratello?» e traccia un solco di respingimento tra l’uomo e i suoi simili; è la rottura dell’uomo con l’altro se stesso; la stessa rottura si realizza con la terra che è costretta contro natura a bere il sangue di Abele, e per questo si ritrae. Il sangue versato, frutto della bramosia, rompe la relazione con Dio e con la natura e la offende nella sua bellezza.
La rottura di questo equilibrio primordiale continua ancora oggi inesorabilmente: l’origine è sempre la stessa. La cupidigia dell’uomo contemporaneo, incapace di pensare ad uno sviluppo sociale alternativo, si presenta con volti diversi e modalità apparentemente positive dettate dal mito del progresso senza fine e dal benessere illusorio che producono morte e distruzione, ma non assicurano il vero sviluppo dei popoli della terra. Se la creazione soffre e geme, ciò vuol dire che siamo arrivati ormai ai titoli di coda.
Il compito che ci attende non è quello di operare una transizione ecologica, quanto, invece, impegnarsi per una  vera conversione ecologica. L’essere custodi è una prerogativa che non appartiene solo agli angeli ma anche agli uomini. L’averlo dimenticato ha prodotto il disastro che è sotto i nostri occhi.
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Foto di Игорь Левченко da Pixabay 

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