L’importanza della parola nella storia evolutiva del genere umano rappresenta la caratteristica fondamentale, nella sua unicità, che lo distingue dagli altri esseri viventi, come ci ricorda Aristotele; una forza archetipica dotata di un potente dinamismo creatore, luogo di incontro dell’universo e della intelligenza.
La Torah ci insegna che Dio crea attraverso la sua Parola, ma allo stesso tempo ci fa intuire che la parola può assumere anche aspetti negativi in termini relazionali, soprattutto quando genera un dubbio che non è ricerca della verità ma inganno. Il primo esempio è rappresentato dalla tentazione di Adamo ed Eva (cfr. Genesi 3 E’ vero che Dio ha detto: non dovete mangiare di nessun albero del giardino?); la domanda tendenziosa posta dal serpente rivela nel suo significato implicito una falsa verità che insinua il dubbio; dubbio che produce l’effetto di suscitare nella prima coppia del genere umano il desiderio di supremazia. L’uomo progetta di essere Dio (cfr. Sartre, L’essere e il nulla). La stessa supremazia, oggi, trapela dal diluvio di parole che dilagano inarrestabilmente nella rete o che rimbalzano in diverse trasmissioni trash, con l’esito di allontanarci sempre più dal loro significato ma soprattutto dalla loro essenza.
L’uso della parola in un passato non troppo recente aveva valore di sigillo posto sulla bocca di colui che parlava e nel cuore di colui che ascoltava. L’essere dell’uomo si manifesta nell’uso che fa della parola, nel saper trasformare le parole in azioni coerenti e conseguenti, altrimenti esse diventano “flatus vocis”, un vaniloquio capace solo di disperdere suoni nell’aria.
Le parole, come l’acqua, possono generare la vita, ma anche causare la morte quando, piuttosto che ponderate, sono incontrollate. Porre fine alla fiera delle parole è premessa indispensabile per ristabilire una relazione vera, per restituire il senso autentico della parola capace non solo di ferire ma soprattutto di curare.
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