«Ogni mattina mi sentivo male, e peggioravo poi durante il giorno, perciò ripresi in mano la matita, la scrittura era la mia unica meta. Segnali in codice da un sommergibile che perlustrava il fondo dell’oceano, ogni verso lungo un endecasillabo tre strofe per ogni frammento singolo. Scrivere non mi costava fatica, era come rivivere la vita, frugando nel sacchetto dei rifiuti, ero un po’ spazzino e un po’ poeta. Perché la vita era un dono prezioso ne avrei catturato ogni sfumatura, scandita con il giusto accento tonico senza la banalità della rima».
Il protagonista del romanzo in versi “Lasciare andare” di Max Deste condivide con il suo autore l’amore per la scrittura; entrambi, infatti, hanno deciso di affidare alla poesia i loro tormenti e il loro estro creativo, scrivendo un diario in versi endecasillabi.
La citazione appena menzionata è tratta dal terzo capitolo dell’opera, dal titolo“Ero un po’ spazzino e un po’ poeta”, probabilmente la parte più intensa del testo, in cui il protagonista – di cui si narra l’arco esistenziale partendo dalla prima adolescenza e proseguendo fino alla maturità – ha diciannove anni e si sente già sconfitto dalla vita: il padre, vedovo, si è risposato con una ragazza coetanea del figlio, con la quale il protagonista inizia una relazione ad insaputa del genitore.
È un momento difficile e delicato per lui, che ha già perso l’amata madre e ha dovuto subire le ire e le violenze di un padre alcolista; quella che dovrebbe essere la sua matrigna, ora, è anche la sua amante, con tutto ciò che comporta a livello psicologico.
La scrittura, in questa fase autodistruttiva, rappresenta l’unica salvezza, una possibilità di affrancamento da una vita che detesta: inizia quindi a scrivere la sua vicenda autobiografica in versi endecasillabi, riversando sulla pagina bianca i suoi complessi sentimenti.
È tuttavia solo una piccola pausa rispetto al caos che da sempre imperversa sull’esistenza del protagonista: nuove perdite, abbandoni e delusioni lo conducono ancora una volta a deragliare; Max Deste segue da vicino la parabola discendente del personaggio, narrando con sensibilità e partecipazione emotiva i suoi tentativi di risalire dal baratro.
In questo romanzo in versi (gruppo Albatros) il linguaggio poetico ci spinge a provare empatia per il protagonista, di cui arriviamo a conoscere ogni moto dell’anima; allo stesso tempo, però, grazie all’ironia caustica di cui è capace l’autore, riusciamo anche a goderci il viaggio, distaccandoci leggermente per osservare dalla giusta distanza le peripezie di un uomo perseguitato dall’iniquo Fato. (Giovanni Viola)
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