Finalmente ri/torna in libreria, dopo trent’anni dalla sua prima edizione, il saggio di Annibale Ruccello, Il Sole e la Maschera. Una lettura antropologica della Cantata dei Pastori, per le Edizioni Stamperia del Valentino. la sua tesi di laurea in Antropologia Culturale conseguita nel 1977 presso la facolt di Lettere e Filosofia dell’Universit di Napoli con Lombardi Satriani. In nuce si riscontrano gi le due grandi passioni la ricerca antropologica iniziata con Roberto De Simone e l’amore per il teatro, soprattutto di ciò che c’è di doppio, di misterioso nel teatro. Passioni interrotte, fermate nel 1986 quando Ruccello, protagonista del rinnovamento della drammaturgia italiana negli anni ’80, perde la vita a soli trent’anni in un drammatico incidente stradale.
La Cantata dei Pastori – scritta da Andrea Perrucci nel 1698 – è una sacra rappresentazione nata nel periodo della Controriforma e intenta a celebrare la Nativit di Gesù nella tradizione campana. Nel corso dei secoli la trama è stata rimaneggiata, sono stati aggiunti nuovi personaggi, tutto in funzione di una maggiore fruibilit da parte di un pubblico essenzialmente popolare.
L’opera narra le vicissitudini di Maria e Giuseppe nel loro viaggio verso Betlemme, le insidie dei diavoli guidati da Belfegor che vogliono impedire la nascita del Messia, la loro sconfitta ad opera dell’arcangelo Gabriele. Le altre figure della Cantata sono Armenzio, Benino, Cidonio, Ruscellio.
Ne “Il Sole e la Maschera”, Ruccello compie uno studio antropologico della Cantata dei Pastori, da cui emergono sia i passaggi che la tradizione popolare ha eliminato dall’originale, sia quelli da essa creati intorno alle figure di Sarchiapone e Razzullo. Le scene introdotte riguardano Sarchiapone, la cui presenza è sempre associata a quella di Razzullo, evidenziando cos la funzione di spalla. Lo squilibrio raffigurato da questa coppia non è solo di tipo fisico – l’uno è basso e deforme, l’altro è eccessivamente alto – ma anche culturale la semplicit di Razzullo tratteggia un modello istruito se comparata all’insensatezza di Sarchiapone.
I loro dialoghi in napoletano si collocano al limite del nonsense, alterando ampiamente i confini della logica cosciente. Del resto come afferma Ruccello”In scena assistiamo all’assurdo dato per normale (che è tipico dei sogni), ad un tempo scenico dilatato in cui grazie alla presenza libera del lazzo lo spettatore non è mai in grado di sapere dove un’azione possa condurre (anche questo è tipico dei sogni), ma contemporaneamente non desidera affatto conoscerlo perch è garantito dalla presenza culturale del rituale”.
L’opera concretizza una funzione catartica/liberatoria sullo spettatore che riconosce un modello culturale idoneo alla collettivizzazione delle proprie angosce, superando la propria implosione, imposta dal contesto borghese. Inoltre, ampio spazio viene dedicato alla figura della Madonna, chiaro riferimento allo studio che il Nostro per anni ha condotto intorno alla maggiore figura femminile cristiana; non è casuale, infatti, che l’universo drammaturgico di Ruccello affondi le proprie radici in un universo simbolico dove confluiscono follia, morte, solitudine, attesa, ovvero l’attente beckettiana, e dove l’elemento comune a tutte le pièce siano le figure femminili o figure che tendono al femmineo, in senso archetipico e che si ricollegano a mio avviso – in senso antropologico/psicologico – alla Grande Madre e quindi alla Madonna/Mater Dolorosa della tradizione cultuale in Campania.
Nella foto, Annibale Ruccello