Abbiamo letto il primo numero di Perseo, la nuova rivista semestrale del Teatro di Napoli, già presentata fondamentale nella costruzione di un percorso innovativo che vada oltre a ciò che viene messo in scena sui tre palchi del Nazionale.
Un lavoro importante che interviene nella mancanza di dialogo all’infuori della cerchia ristretta degli addetti, cercando di allargare il discorso a realtà che, alla lunga, potrebbero costituire pezzi fondamentali di un puzzle capace di accorpare realtà culturali differenti in una sinergia artistica di ampie vedute.
In questo primo numero, il direttore responsabile Roberto D’Avascio ha coordinato un gruppo di esperti nel tentativo di rispondere ad esigenze ben specifiche e che rendono chiara idea del clima che si respira in questo momento di ripartenza.
Cercheremo qui di riassumerle. In primo luogo la rivista fa fronte a un bisogno interno dello stesso Teatro Nazionale: dare un orientamento proficuo alla programmazione dell’anno 2020/2021, interrotta bruscamente per questioni di causa maggiore, e da cui si dovrà necessariamente ripartire. Sia per l’importanza che gli spettacoli e relativi linguaggi hanno per un esordio regolare del teatro targato Andò, sia per la necessità di onorare gli impegni presi con i professionisti tutti.
Oltre questo tentativo legittimo di preparare il pubblico a cosa si vedrà in scena da qui a qualche mese, ci sono altri e validi motivi che fanno di di Perseo una lettura d’obbligo prima del ritorno in sala.
Al di là dei nomi blasonati, che danno alla rivista un’impronta divulgativa di largo respiro, si intuisce una sorta di intento investigativo volto a cercare punti comuni nella scena italiana e europea, per far ripartire il teatro con una visione di insieme che sia il più completa possibile.
Viene, poi, richiamata più volte la già paventata volontà del Nazionale di creare una nuova comunità di frequentatori di teatro, in un’ottica allargata che sappia trovare sempre nuovi linguaggi e coinvolga pubblici differenti per una rinnovata scena culturale della città.
Per quanto riguarda la programmazione dell’anno 2020/2021, che ha recuperato qualche spettacolo nei giorni scorsi e che si esprimerà nella coda delle già previste date estive di Pompei e del Campania Teatro Festival, si inseriscono gli articoli del direttore Andò e Di Massimo Cacciari, per una analisi approfondita di uno degli spettacoli di punta della programmazione sospesa, Piazza degli Eroi, scritto da Thomas Bernhard.
Capolavoro assoluto del drammaturgo austriaco, che sarà messo in scena per la prima volta in Italia proprio nella versione di Roberto Andò.
Un lavoro quanto mai attuale nella deriva populista e di semplificazione politica, e che gli interventi di Andò e Cacciari analizzano dettagliatamente, spiegandone la centralità nel discorso teatrale di oggi, spostato verso un miscuglio tra tragedia e commedia, indistinguibili l’una dall’altra sia nella nostra esperienza del reale, che nell’intera opera di Bernhard stesso, penna pungente, onesta, finanche spietata nella feroce critica che mosse al suo Paese e all’Europa intera.
Nello stesso filone si inserisce l’intervento di Carlo Cerciello su I manoscritti del diluvio, scritto da Marc Bouchard. Opera di grande complessità, anch’essa attuale per come gli sviluppi della pandemia abbiano messo in luce il disprezzo della società intera verso il valore sociale, etico, civile e politico dell’esistenza umana. Ancora su questa linea, l’intervento di Emma Dante, che sarà a Pompei con il suo Pupo di Zucchero, tratto da una novella di Basile, o l’intervista a Toni Servillo, originariamente impegnato su un testo di Franco Marcoaldi, che con due spettacoli dedicati alla sua poetica, apre il filone della poesia messa in scena dal Teatro di Napoli.
Servillo che apre anche alla seconda questione di cruciale importanza e che Perseo sgrana dettagliatamente: la necessità di creare una comunità unica di spettatori e interpreti del teatro, ponendo un freno allo snaturante intervento dello streaming selvaggio, che ha sì aiutato alcuni Teatri e compagnie di mantenere una parvenza di contatto con il pubblico preservando importanti gli impegni economici, ma ha fatto sorgere l’esigenza di cercare modalità di comunicare il teatro in forme innovative capaci di non piegarsi alle logiche rappresentative e globalizzanti dello schermo.
Fondamentali in quest’ottica le interviste: quella al direttore della Schaubühne di Berlino, Thomas Ostermeier su tutte, i dialoghi con Letizia Russo, Claudio Longhi, o gli interventi di Jean Bellorini, direttore del Théâtre National Poupulaire di Villeurbanne, di Lorenzo Mango, Lino Musella.
Protagonisti da prima linea nel panorama nazionale e internazionale, le cui voci tentano di dare un quadro di insieme in risposta ad un evento traumatico, contro cui, come dice all’inizio della sua intervista Christian Raimo, il teatro ha solo saputo battere i pugni sul tavolo senza provare a ribaltare il tavolo, ossia senza opporsi ad una situazione burocratica insostenibile piena di incoerenze, capace di far nascere una consapevolezza dolorosa: in caso di difficoltà sociale, il teatro, ma la cultura in genere, sono facilmente accantonatili senza che si sollevino convinte voci di protesta.
Infine largo spazio dato alle nuove scene e ai nuovi pubblici.
Di forte impatto il contributo di Adriana Follieri, fondatrice di Manovalanza, associazione che porta il teatro in ambienti sociali lasciati ai margini, l’intervista a Renato Carpentieri sulla scuola di teatro del Nazionale di Napoli fondata da Luca de Filippo poco prima della sua prematura scomparsa, e la sezione Emergenze, dedicata in questo primo numero al Premio Leo De Bernardis, per artisti e compagnie under 35, con la selezione di tre lavori a cui sono andati un massimo 30.000 euro ciascuno e il tutoraggio produttivo per la realizzazione degli spettacoli.
Il primo numero di Perseo, quindi, si contrappone ad almeno due Medusa che rischiano di pietrificare il teatro, la sua ricerca e il suo linguaggio: la trasformazione dello spettacolo in presenza in spettacolo in assenza, che ne fa una messa in onda di dettagli, di primi piani, di prospettive estranee all’esperienza dello spettatore di sala, dell’impegno attoriale in vivo e, ancor più pericolosa, la perdita dell’occasione di ridefinire i confini di una comunità nuova del teatro, orientato a ricercare alleanze trasversali, relazioni non solo culturali.
Un lavoro di grande impegno e di sicuro valore, capace a tratti di avvincere e in molti casi di chiarire i punti di vista dei protagonisti. Che diversamente rischierebbero di compattarsi, col rischio di perdere la peculiarità delle singole voci.
Non ci resta che un’ultima osservazione, per un lavoro che potrebbe risvegliare più di un entusiasmo tra gli appassionati.
Perseo viene scelto per dare il nome ad una rivista che vuole fregiarsi della leggerezza di un eroe rivalutato in tempi recenti, ma mai centrale nelle rielaborazioni dei miti greci.
Non occorre tuttavia dimenticare che il potere atterrente che prima era di Medusa, passa poi allo stesso Perseo, che della gorgone conserva al testa irta di serpi per utilizzarla in alcune cieche stragi.
Una responsabilità immane. Da un lato si unisce complessità e leggerezza, dall’altro si rischia di creare fossili, per una distrazione, una parola di troppo, per uno sguardo fugace o poco attento.
Sta al Teatro Nazionale saper gestire questa eventualità, obbligatoriamente da considerare, quando si lancia un’operazione editoriale come questa.
L’importante è proseguire un dialogo che esce dalla sala e che rappresenta un concreto tentativo di far nascere una rete di professionalità del palco, che da Napoli svicoli nell’Italia e nel Mondo.
LA RIVISTA
Perseo,
La sfida del teatro
anno 1 numero 0
euro 15
Marotta e Cafiero editore