“La salute non è tutto ma senza salute tutto è niente”. Così si esprimeva il filosofo tedesco, intransigente e un po’ misantropo, Arthur Schopenhauer (1788-1860). E nel pianeta della salute ci addentriamo con Daniele Maffione che dà la parola ai protagonisti del mondo sanitario. E’ lei il pilastro della democrazia, come conferma la pandemia che ha investito tutto il mondo. Il vero obiettivo: garantirla a tutti.
di DANIELE MAFFIONE
Stampa e televisione continuano a ripeterci che la diffusione del Covid 19 ha raggiunto livelli critici. In Campania è stata istituita la “zona rossa”, in quanto la nostra regione risulta essere fra le più colpite dal contagio epidemico. Ne parliamo, spinti dalla necessità di conoscere la situazione reale. Per cominciare, abbiamo rivolto alcune domande a Paolo Fierro, dirigente medico in pensione, che in servizio ha esercitato la professione di medico chirurgo specializzato in otorinolaringoiatria in numerose strutture ospedaliere, fra cui l’Ascalesi, il San Giovanni in Bosco, l’Ospedale del Mare. Fierro è punto di riferimento della sezione napoletana del movimento di Medicina democratica[1].
Può darci il quadro della fase che stiamo attraversando?
«La situazione è molto grave. L’emergenza sanitaria creatasi con la diffusione del virus ha fatto esplodere le contraddizioni giacenti da tempo nella sanità pubblica. Attualmente, siamo all’epilogo di un percorso lineare portato avanti negli ultimi decenni. La mancanza di posti letto sufficienti a soddisfare il fabbisogno della popolazione fa parte di un processo di erosione lenta e graduale del Servizio sanitario Nazionale, caratterizzato da tagli, soppressione di ospedali territoriali, mancanza di assunzioni, investimenti e prevenzione sanitaria».
Questo cosa comporta per i cittadini?
«Che viene compromesso il diritto alla salute e alle cure. Nel contempo, peggiorano anche le condizioni di lavoro per il personale sanitario. Come ha correttamente analizzato l’epidemiologo Marco Geddes durante l’ultima video conferenza webinar[2], esiste una correlazione strettissima fra l’evoluzione degli investimenti e il declino dei posti letto negli ospedali. Questo fenomeno ha un nome e si chiama: aziendalizzazione. In questo modello sanitario, il cittadino viene visto come un cliente e non come un essere umano. Privando la popolazione delle strutture di prossimità territoriale, si concentra una domanda su quei poli sorti negli anni precedenti, come l’Ospedale del Mare, in cui sono state fatte molte assunzioni di personale reclutato da fuori regione. Questa struttura avrebbe dovuto rappresentare il fiore all’occhiello della sanità pubblica campana. Per molti versi lo è, come per l’oncologia medica, chirurgica e radioterapica, anche se vi sono delle carenze in altre aree essenziali per completare un grosso ospedale che ambisce ad essere polo regionale. Come vediamo, però, lo scoppio dell’epidemia ha messo in crisi questo modello con gravissime ripercussioni sulla popolazione».
Ci sta dicendo che mancano posti letto perché hanno soppresso ospedali territoriali?
«Sì. Le linee strategiche della sanità campana, come accaduto anche nel resto del Paese, sono state contraddistinte da decenni in cui si è sperperato denaro pubblico e poi, si è giunti alla gestione commissariale. In questo, c’è da osservare che nel passaggio di presidenza della Regione da Caldoro a De Luca non c’è stata alcuna differenza sostanziale. De Luca ha trattenuto per sé la delega sanitaria. Ha operato una gestione burocratica per garantire il rientro dalla situazione debitoria, caratterizzata da tagli al personale sanitario e dalla chiusura di presidi nei quartieri popolari, creando una sorta di desertificazione territoriale. Tutto questo per favorire un processo di accorpamento in poli super-specialistici e iper-tecnologici, prevalentemente votati alla cura delle patologie oncologiche. Lo stesso Ospedale del Mare è un’operazione sorta nell’alveo di questa scia. Poi, però, è scoppiata l’epidemia di Covid, che ha messo in evidenza tutta l’importanza delle strutture sanitarie di prossimità, senza cui si crea un congestionamento dei poli ospedalieri».
Quindi, il processo di aziendalizzazione ha reso ingestibile l’esplosione dell’epidemia?
«L’arrivo del Covid-19 ha costituito un fattore imprevedibile. De Luca non è uno stupido. Conosce bene la debolezza del modello aziendalistico. Lui voleva gestire la fase finale di questo processo, sapendo che la rete territoriale ospedaliera era molto debole. La prima fase dell’epidemia è stata circoscritta e concentrata per lo più in Lombardia, dove sussiste il modello di aziendalizzazione della sanità pubblica più spinto. Ciò ha indotto De Luca a fare un appello alla popolazione, puntando a fare una sorta di Stalingrado sanitaria, chiedendo ai cittadini di stare in casa e sperando che la situazione migliorasse o rimanesse relegata alle sole regioni del Nord Italia. Non a caso, nei mesi scorsi parlava addirittura di “superiorità” del modello sanitario campano rispetto a quello lombardo. Poi, però, è accaduto quanto non prevedeva: con l’allentamento delle misure restrittive, in piena estate, il contagio si è esteso a tutto il territorio nazionale ed è arrivato anche qui. E la nostra rete sanitaria territoriale ha messo in luce tutte le debolezze pregresse».
Cos’è cambiato precisamente da marzo a oggi?
«Bisogna fare un’analisi epidemiologica della prima fase. Come dicevo, a marzo la mappa del contagio era relativamente circoscritta. A Napoli e in Campania eravamo ben al di sotto delle percentuali d’infezione che si stavano registrando altrove. Il primo focolaio nella nostra città è scoppiato a fine febbraio proprio fra i sanitari, in seguito adun convegno medico svoltosi in Lombardia. Un gruppo di nostri medici del Cardarelli registrò su di sé i primi sintomi, anche se in quel momento c’era una conoscenza molto scarsa della malattia. Ciò spiega perché i primi contagi da Covid nella nostra città si siano registrati nei quartieri alti. Poi, è scoppiato un altro focolaio, questa volta nelle aree interne, ad Ariano Irpino (in provincia di Avellino), che è stato provocato da un fenomeno di rientro di emigranti che, in seguito all’annuncio di nuove restrizioni da parte dell’assessore alla sanità lombardo, Giulio Gallera, si sono riversati nei treni e sono tornati alle proprie dimore di residenza. Nonostante questi due focolai e pochi altri, il nostro territorio nella prima fase è rimasto sostanzialmente immune. Con l’incedere dell’estate, su pressione di alcuni settori economici, il governo centrale ha allentato le misure di sicurezza. Il che ha favorito gli spostamenti interni, soprattutto dei giovani, che si sono riversati su mete turistiche. Ne è conseguita una distribuzione del contagio, che attualmente risulta molto più omogenea e uniforme rispetto alla prima fase, anche nelle fasce di età».
Come ha reagito la politica all’emergenza sanitaria?
«Si sono fatti molti proclami mediatici. Si ha l’ansia di fare annunci da impatto sui social, provando a guardare il bicchiere mezzo pieno. Anche l’operazione degli ospedali da campo ne è una riprova. In realtà, si è ampiamente sottovalutata la situazione. I posti in terapia intensiva sono nettamente diminuiti, senza considerare che altre patologie, meno impattanti dal punto di vista mediatico, sembrano completamente svanite nel nulla, come nel caso dei reparti di oncologia e neurologia, divenuti raparti Covid».
Qual è il costo sociale di queste scelte?
«C’è stato il caso clamoroso di un musicista, Alberto Falco, che aveva un tumore ed è stato contagiato dal virus in ospedale. Trasportato al Covid center dell’Ospedale del mare, nonostante l’accorato appello di amici e concittadini, ha atteso per interminabili giorni una biopsia, fino al decesso[3]. Purtroppo, non è un caso isolato e temo non sarà neppure l’ultimo. Anche la recente scomparsa di Francesco Ruotolo racconta di interminabili ritardi e omissioni nella macchina dei soccorsi[4]. Queste tristi vicende ci raccontano di una macchina sanitaria che, malgrado gli sforzi del personale preposto, fa acqua da tutte le parti. Negli ospedali mancano percorsi separati. I malati di Covid vengono messi in corsia con malati di altre patologie, perché mancano posti letto. In questo modo, le strutture sanitarie divengono focolai di contagio, che producono rischi enormi per la popolazione e per i lavoratori del settore. La politica si concentra sui proclami, non sulla gestione dell’emergenza. E continua a raccontare di una scatola vuota o poco piena».
Non appare così nella comunicazione ufficiale della Regione Campania…
«Se prendiamo a riferimento i bollettini che quotidianamente dirama la Regione Campania, i posti letto in rianimazione e l’assistenza in reparto non si avvicinano mai alla saturazione, mantenendo sempre un certo margine di garanzia. Ci si avvicina al limite, ma non lo si raggiunge. Purtroppo, la realtà che vivono operatori e pazienti è ben diversa. A Napoli i posti Covid scarseggiano, quelli in rianimazione si saturano rapidamente e non c’è un ricambio veloce. La situazione è stata denunciata anche dall’Anaoo Assomed[5] e dagli operatori del 118, che hanno rivolto ripetuti appelli per porre rimedio alla disastrosa condizione in cui versa la sanità pubblica. Gli ospedali attuali sono dei contenitori insufficienti a sorreggere la domanda crescente. L’assalto alle strutture sanitarie, colonizzate dal problema, è dovuto al fatto che gli abitanti non trovano nulla sul territorio. Esiste una carenza oggettiva che sta riproducendo la stessa situazione dello scenario lombardo. Le persone vengono abbandonate a loro stesse in casa e arrivano tardi in ospedale. In questo, bisogna registrare una colpevole mancanza della presa in carico nei territori. La politica non sta dando risposte convincenti, risulta presuntuosa e continua a non fare tesoro dell’esperienza della primavera scorsa».
Quali possono essere le soluzioni?
«Il virus galoppa nei territori. Tuttavia, il modello di contrasto più avanzato mi sembra quello dell’Emilia Romagna. Lì si sta dimostrando che la forma di lotta più efficace al Covid avviene nei territori con la medicina pro-attiva. Il funzionamento è semplice: si punta tutto su una terapia precoce con personale addestrato e preparato. In altri termini, la prevenzione diviene uno strumento per ricostruire in tempi celeri le catene di trasmissione del virus e intervenire per tempo nella cura dei pazienti. Lì, inoltre, le unità USCA[6] dimostrano una capacità di efficacia superiore alla media. La sintesi è che in quella regione non si attende che i malati si aggravino, altrimenti si verificherebbe un aumento dei ricoveri ospedalieri e della mortalità. Le statistiche dicono che la letalità del virus interessa i pazienti over 70, colpendo organismi con altre patologie. Si dovrebbe puntare ad estendere questo modello in tutto il Paese».
E in Campania?
«Qui i medici litigano fra loro, soprattutto a causa di un modello gestionale della regione estremamente contraddittorio. In questi mesi, i posti letto dovevano essere organizzati in percorsi distinti e ben organizzati. Bisognava mettere mano alla medicina territoriale e al reclutamento a tempo indeterminato di personale sanitario. Non lo si è fatto. Si fa ancora leva sui medici volontari, assunti con contratti di breve durata, magari anche ben remunerati, ma che non risolvono il problema della crisi del modello gestionale. Al riguardo, esiste una denuncia pubblica della mancanza di assorbimento di personale sanitario nelle strutture ospedaliere fatto dall’organizzazione di “Medici senza carriera”[7] e altri. Sussiste inoltre una carenza di 150 medici di base. Questi vuoti potrebbero essere ricolmati inquadrando i circa 3500 medici neo-laureati che, per trovare lavoro, spesso sono costretti a emigrare. Invece, assistiamo a penose dispute nell’Ordine dei medici dove, per questioni di potere, le figure più influenti provano a collocare un numero esiguo di dottori».
C’è una contraddizione fra gestione e risorse?
«Precisamente. La politica punta su discorsi moralistici ai cittadini e contratti precari per il personale sanitario. Bisognerebbe aprire una discussione pubblica sul fatto che medici sulla soglia dei quarant’anni, con numerosi anni di studi, esperienza e precariato alle spalle, meriterebbero una stabilizzazione. Così come è un controsenso che si chieda ai medici più anziani di prestare ancora volontariato negli ospedali. Per questo non deve stupire che quei pochi concorsi banditi, dopo anni di blocco delle assunzioni, vengano per lo più disertati. In sintesi, stanno emergendo alcuni nodi che andrebbero sciolti, perché se è vero che il Covid ha messo in crisi la macchina sanitaria, è pur vero che può capitare qualcosa di peggiore rispetto a questa epidemia. Chi ci governa ha il compito non solo di guardare all’esistente, ma anche di programmare il futuro. Un esempio su tutti, che prima accennavo, è costituito dal dilagare dell’epidemia tumorale, che fa meno notizia del Sars-Cov-2. Molti malati oncologici giungono in pronto soccorso, ma data la situazione non ricevono le cure adeguate e rischiano di infettarsi. E che dire della vicenda della Terra dei fuochi? Al di là di tanti piagnistei, non si è fatto nulla per migliorare la situazione dal punto di vista sanitario. L’ospedale è un’ultima spiaggia, ma non è l’unica. Le persone hanno diritto alle cure, che non possono essere effettuate soltanto nelle strutture ospedaliere, ma richiedono prevenzione e efficienza dell’intera filiera della salute».
Da quanto sostiene, il diritto alla salute sembra irrimediabilmente compromesso. Possibile che non vi siano alternative?
«Le alternative vi sono e sono tutte praticabili. Basterebbe applicare quanto prevede la Legge 833/1978[8] e ribadire un concetto cardine: la salute è un pilastro fondamentale del nostro vivere sociale, non un lusso o un bene secondario. Dev’essere una cosa che permea tutta l’organizzazione dello Stato, strutturata su un modello partecipativo, che vuol dire non solo informazione trasparente e consapevolezza, ma anche che chi più ha, più deve dare alla collettività. In altri termini, una società non può posare le proprie fondamenta esclusivamente sul primato dell’economia, ma deve garantire diritti basilari a tutti i cittadini. In questo, bisogna guardare alle scelte di paesi come il Belgio e la Spagna, che hanno introdotto delle patrimoniali, ossia delle imposte progressive su rendite e capitali di una minoranza ricca e possidente della popolazione».
Cioè, i ricchi hanno pagato più tasse per investire nella salute collettiva?
«I governi non gli hanno chiesto se potevano prelevare dei soldi dai loro conti-corrente, lo hanno imposto per legge, ricorrendo a misure eccezionali in una fase in cui tutta la popolazione è in enorme sofferenza. Qui in Italia, invece, la sola parola patrimoniale ha generato un coro di sdegno nella Confindustria e il governo si è subito affrettato nel dire che non vi sarà alcuna forma di prelievo fiscale straordinario. Il che fa riflettere molto sulle condizioni in cui versa la nostra democrazia, che non ha soldi per stabilizzare precari o aprire ospedali, ma li trova per finanziare l’acquisto di armi o salvare le banche. Finché il nostro Paese sarà diviso fra i Briatore, che dopo le feste in discoteca vanno a curarsi al San Raffaele di Milano, e i Ruotolo, che è rimasto venti giorni in casa e solo grazie all’intervento di un infermiere volontario, che ha acquistato di tasca propria tuta e saturimetro, lottando col 118 per il ricovero poco prima del decesso, la nostra non potrà considerarsi una vera democrazia. Questo tema non può essere risolto nelle aule dei tribunali, ma richiede un elemento di giustizia sociale che lo Stato deve garantire universalmente a tutti i suoi cittadini».
Quest’estate, la Corte dei Conti ha indagato sull’enorme flusso di denaro che dalle casse della Regione Campania è transitato sui conti delle sanità privata. La Guardia di Finanza stima intorno ai 20 milioni di euro il danno erariale per le somme erogate in modo non corretto a 56 strutture private[9]. Non è un paradosso rispetto alla situazione in cui versa la sanità pubblica?
«Direi che più che un paradosso, è uno scandalo. Si deve considerare che l’accordo fra la Regione Campana e l’Aiop – associazione ospedalità privata – garantisce posti letto esclusivamente a pazienti che hanno smaltito la fase grave della malattia e risultano asintomatici. Come a dire che, in una situazione di grande emergenza, la sanità privata sceglie di non stare in prima linea, ma nelle retrovie con tutti i comfort. Questa è una situazione che stride enormemente anche con le condizioni di lavoro del personale sanitario del settore pubblico, che non sempre ha accesso a dispositivi di protezione idonea ed è sottoposto a turni massacranti, fatti di dodici ore consecutive. Quei soldi potevano essere utilizzati per impiegare alberghi, ex ospedali e l’area dismessa della Nato di Bagnoli per accogliere i malati di Covid. Fra l’altro, si sarebbe data utilità a settori come quello della ricezione turistica, che soffre la mancanza di lavoro. Invece, la politica punta ancora una volta sull’elemosina, ribattezzata per l’occasione “ristoro”. Lo Stato poteva assumersi la gestione diretta dei posti letto delle strutture, piuttosto che dare soldi a imprenditori che non hanno contribuito in alcun modo al benessere della collettività. In Campania ne abbiamo avuto una dimostrazione eclatante. Altro che reddito di cittadinanza. Si è garantito a queste persone una rendita vitalizia».
L’annuncio di un vaccino costituisce un passo in avanti nella lotta al Covid-19?
«La Pfizer, dopo l’annuncio, ha avuto un balzo spaventoso delle proprie quotazioni in borsa. Certo, un vaccino sarebbe un’arma potente per gestire la situazione. Ma bisogna essere cauti, perché la sua messa a punto richiede tempi e procedure ineludibili. Se si saltano delle tappe, si pone a rischio la non-lucidità dello strumento, che può avere degli effetti collaterali devastanti. Attualmente, non ci sono evidenze scientifiche, ma solo annunci di multinazionali e case farmaceutiche interessate a occupare un mercato globale. Questi colossi economici guardano agli Usa e ai paesi ricchi del pianeta. Non di certo a quelli poveri. Temo, infatti, che quei governi che hanno alle spalle una forte pressione dell’opinione pubblica siano disposti a pagare qualsiasi cifra pur di ottenere il vaccino. I paesi poveri, invece, che non vengono tradizionalmente riconosciuti come mercati vantaggiosi per le case farmaceutiche, avranno a disposizione dosi esigue, molto probabilmente rivolte ad aree benestanti della popolazione. Anche per questo esistono numerosi appelli di associazioni che si stanno attivando per l’universalità delle cure e contro meccanismi di esclusione e speculazione. Inoltre, ci sarà da capire anche come funzionerà la distribuzione del vaccino in Italia. Il governo ha annunciato che anziani e sanitari avranno la priorità sugli altri. Temo che i costi limiteranno dosi sufficienti per tutta la popolazione in tempi omogenei. C’è bisogno di comprendere una cosa: il nostro modello sanitario non può essere posato su brevetti, proprietà intellettuali e profitti. Occorre un nuovo protagonismo politico e sociale per rivendicare la salute pubblica come un pilastro indiscutibile della nostra democrazia».
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NOTE
[1] Medicina Democratica è una cooperativa fondata nel 1978, costituitasi in associazione ONLUS nel 2003. Sorta alla fine degli anni Sessanta del XX secolo, è un’organizzazione che si occupa della salute nei luoghi di lavoro, facendo inchieste e rivendicando l’applicazione delle leggi sulla sicurezza in materia sanitaria. La caratteristica peculiare di MD è quella di essere un’organizzazione formata da medici, ricercatori, tecnici della prevenzione e della sanità insieme a cittadini e utenti del Servizio Sanitario Nazionale.
[2] Video Webinar del 16/11/2020: La privatizzazione irresponsabile del servizio sanitario, promossa da un coordinamento di associazioni per la salute pubblica. La Conferenza integrale e le singole relazioni sono consultabili al link: https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=10817 .
[3] La vicenda è stata denunciata dal quotidiano La Repubblica. Si rimanda a queste letture: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/07/28/news/napoli_alberto_il_musicista_morto_senza_cure_nel_centro_covid-263044135/ e https://www.ilgolfo24.it/la-malasanita-campana-e-lappello-alberto-resisti-procida-e-con-te/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-malasanita-campana-e-lappello-alberto-resisti-procida-e-con-te&fbclid=IwAR3O8zdn6k_JFU80T8UaNaEGrIIViHWEkWc_9hvIqWGqrHoWO33HhTTLJpQ
[4] Ipazia Rutolo, “Mio padre mi diceva: soffoco, aiutami… Dovevano ricoverarlo prima”, in La Repubblica, 17/11/2020, Napoli cronaca, pg. 6.
[5] Associazione Sindacale di medici dirigenti. Per consultare la corposa rassegna stampa che denuncia la grave situazione sanitaria, si rimanda a: http://www.anaao.it/content.php?cont=29850 .
[6] Unità Speciali di Continuità Assistenziale, svolgono attività domiciliari per i pazienti Covid dimessi dalle strutture ospedaliere o mai ricoverati.
[7] Si rimanda alla seguente lettura: https://www.cronachedellacampania.it/2020/05/medici-senza-carriera-denuncia-un-alto-numero-di-cittadini-e-senza-assistenza/?refresh_ce
[8] Si tratta della Legge che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale e garantisce il diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il testo è consultabile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1978/12/28/078U0833/sg
[9] Si rimanda all’inchiesta de La Repubblica: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/08/11/news/coronavirus_campania_danno_da_20_milioni_per_rimborsi_alla_sanita_privata-264391281/