Ricomincia la stagione operistica a Napoli, e lo fa sotto il segno di uno dei capolavori assoluti del teatro musicale di tutti i tempi: La dama di picche di Čajkovskij, ripresa da Stefan Heinrichs sulla messa in scena di Willy Decker.
Una scelta che rilancia come Prima una delle partiture più segnanti del panorama operistico europeo, al di là del filone di critica che vedrebbe in Čajkovskij un esponente puro del teatro musicale russo.
Perché in realtà è proprio questo autore il più europeo dei tardoromantici russi.
Viaggiatore per professione e per piacere, costumava sostare per almeno tre mesi all’anno lontano dalla repressiva Russia zarista, in periodi rigenerativi in cui si dimostrava assiduo frequentatore dei teatri musicali di prestigio e delle personalità più importanti ad essi legati.
Uno spettatore di molte delle Prime storiche, e che trascrive nella sua musica l’impronta, per analogia e contrasto, della tradizione europea di fine ottocento. D’altronde La dama di picche è pienamente uno spettacolo europeo.
A partire dalla sua scrittura: se è vero che nacque in seno alla Firenze tardo ottocentesca da un lavoro senza posa durato 44 giorni, tempo utile a trascrivere meccanicamente un’ispirazione che aveva colto l’autore mentre lavorava per il teatro di San Pietroburgo come semplice portalettere.
Perché dal principio Čajkovskij seppe di aver scritto un un capolavoro, e da principio la sua partitura fu riconosciuta come appartenente al grande Teatro Europeo.
E possiamo dire questo per una per tutta una serie di ragioni.
In primis, le messe in scena che riscossero da subito grande successo di critica e di pubblico, e la capacità che l’autore russo dimostrò di saper centellinare perfettamente i tempi musicali di un’opera cantata ma anche anche pienamente sinfonica, ritmata da una trama che la scandisce per intero, dettando le movenze e le azioni concrete degli interpreti.
Fondamentali le tematiche e le modalità con cui queste vennero tradotte sul palco. Perché se molto Čajkovskij deve al mito di impronta wagneriana ( che l’autore russo non seppe mai apprezzare pienamente ma fondamentale per la sua musica, come non manca di ricordarci il direttore musicale Juraj Valčuha) in realtà i personaggi de La dama di picche sono tutti umani, di più, umanissimi, e di conseguenza tutti umanamente complessi in quella che può essere definito un dramma psicologico moderno che bene si cala nelle nelle atmosfere tardo romantiche mitteleuropee in cui originariamente operò, una situazione culturale che vide la nascita della moderna psicoanalisi.
Ancora, un’opera della paura ma anche un’opera della natura, mito sempreverde dell’epoca, che porta stralci e riconoscimenti in tutta la tradizione culturale di quel tempo e che insieme alla corposità drammatica rende la Prima del San Carlo incredibilmente attuale. Una prima dal taglio quasi cinematografico, nella sua prestigiosa regia, che concentra l’attenzione sui personaggi, sulla loro interiorità.
Sul palco, quindi, tutta la complessità di una tragedia psicologica moderna, in cui difficilmente si può prendere posizione a favore o contro le motivazioni che muovono al conflitto ognuno dei protagonisti.
Questi, persone reali che sembrano vivere pienamente nei disagi del nostro tempo.
Ma le novità non si esauriscono con la messa in scena rivisitata di questo spettacolo senza tempo.
Difatti, quella di mercoledì 11 dicembre sarà una Prima che porta con sé tutto il carico di responsabilità della dimensione operativa sul territorio dell’intesa che vede da quest’anno la Fondazione del Teatro San Carlo agire di concerto con il Museo Archeologico Nazionale; due istituzioni eccellenti che hanno in comune un Sovrano, artefice della loro creazione, e che lavorano auspicando ad una collaborazione allargata di tutti gli istituti borbonici.
Infatti, come ci dice il Soprintendente del San Carlo Rosanna Purchia, si lavora per il nostro fantastico Teatro, e perché si ritorni alla cittadina dal teatro dell’Opera più antico del mondo, con azioni concrete sul territorio che vadano ben oltre la sfilata di 800 giovani travestiti da carte da gioco per le vie della città, come si è potuto vedere nella giornata di sabato scorso, a ricordare ai napoletani che si è quasi pronti per iniziare (e quel quasi è fondamentale, aggiunge la Purchia, come a dire che sentirsi sempre e totalmente pronti in Teatro non porta bene).
Un ritorno alla città espresso nel coordinamento attivo, al di là delle parole abusate quali contaminazioni, o creazioni di rete, che si traduca in un’intesa profonda nelle intenzioni e negli effetti tra le realtà eccellenti della cultura partenopea in ottica italiana e europea.
Da questo desiderio, quindi la Collaborazione con il museo archeologico, che nella forma più evidente, si tradurrà nella esposizione al San Carlo, temporanea e contemporanea alla stagione operistica, di opere e reperti ospitati dal Mann stesso. Per La dama di picche si è scelti di portare al San Carlo la donna di Palmira.
Palmira, città attualmente siriana, devastata nell’ambito dei conflitti, e che si lega anche alla recente politica estera russa, la cui azione militare è stata fondamentale nella riconquista della città al sedicente Stato Islamico, responsabile della cancellazione del patrimonio artistico millenario storia in poche ore di devastazione.
L’intesa per la cultura e dalla cultura, tra due eccellenze della storia partenopea che fino a questo momento si erano osservate da lontano e che agiscono insieme consce del respiro internazionale che muove sia la tradizione Operistica espressa a livelli altissimi nel San Carlo, sia il patrimonio storico di un museo come il Mann.
Un respiro culturale che porti freschezza nella nostra dispersa condizione culturale odierna, e condensi luoghi e culture lontanissime per farli rivivere pienamente nella più alta espressione della napoletanità.
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