Abbiamo sempre letto che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c’è odio razziale, dove c’è povert , ignoranza, degrado. Ecco cosa ci dicono i dati Istat.
In Italia più di 6 milioni e mezzo di donne hanno subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale. Le vittime, in buona parte tra i 25 e i 40 anni, sono in numero maggiore rappresentate da donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro crescita culturale ed economica.
Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidit permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una vera e propria piaga sociale.
Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 62% delle donne è maltrattata dal partner o da persona sconosciuta, che diventa il 68% nei casi di violenza sessuale, facendo della famiglia spesso il luogo più pericoloso.
Il pericolo per le donne è infatti, la strada, la notte, ma lo è molto più, la normalit , ovvero la casa, la coppia, insomma la quotidianit di tutti i giorni. L’Istat sottolinea inoltre un elemento ancor più allarmante: nella quasi totalit dei casi le violenze non sono denunciate, il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 93% delle violenze subite, di cui una quota consistente non viene riferita neanche ad amici e parenti.
Un mondo rosa segnato da crimini e soprusi spesso impuniti o giustificati da codici vergognosi e da culture omofobe o peggio ancora coperti dall’omert della famiglia, che non fa certo da argine alla violenza sulle donne, anzi spesso ne rappresenta il maggior deterrente.
La violenza non è pertanto riconducibile n alla psicologia n alla marginalit sociale: è una componente che ruota intorno alle modalit di costruzione del rapporto fra donna e uomo.
Dietro* *ogni violenza c’è però un volto, una storia, un dolore, una vita rubata. Un universo di strazio e di rivolta che non sempre trova giustizia al proprio coraggio.
E’ proprio su queste premesse che l’associazionismo di settore, i servizi e tutto quanto si muove in ambito di impegno a favore delle donne in difficolt fondano le politiche di cambiamento con un punto su tutto: /valorizzare la soggettivit delle donne.
L’elemento primario da cui partono punta infatti sulla centralit della donna e sulla determinazione di quelle condizioni che permettano alla donna di poter vivere in piena autonomia il proprio percorso di diritto senza abusi e discriminazioni.
Il contrasto a ogni forma di violenza perpetrata contro le donne. La promozione e l’attivazione di percorsi di sostegno psicologico e di assistenza legale. Momenti di incontro e di confronto delle problematiche femminili.
Percorsi di crescita e di scambi solidali tra donne di culture diverse. L’incidenza sulla coscienza collettiva e sui media.
Una risposta al fenomeno, quindi, partendo da una nuova concezione della violenza contro le donne, ovvero, non come problema di pubblica sicurezza o non soltanto come tale, n come crimine di “altre” culture da risolvere con rimpatri forzati.
Ma come problema culturale, di responsabilit e di capacit di indirizzo che veda istituzioni e cittadini impegnati in un unico processo di cambiamento e di evoluzione di una questione che rappresenta tra le negazioni dei diritti umani la più vergognosa e dolorosa.
In tale quadro assumono grande rilevanza sociale i Centri antiviolenza nati in Italia negli anni ’90 con il preciso obiettivo di contrastare ogni forma di violenza contro le donne (fisica, sessuale, psicologica e di costrizione economica) al fine di rendere le donne libere da ogni forma di condizionamento e soggetti capaci di riappropriarsi del proprio diritto a “esserci”.
A Napoli i Centri antiviolenza sono stati istituiti ai sensi della Legge Regionale 64/93 ed hanno rappresentato la prima, vera risposta al disagio delle donne discriminate, finalmente in diritto di voce e di ascolto.
Nonostante un generale positivo riscontro della citt va però registrato che ancora oggi sono tante le donne che ne ignorano l’esistenza e che in ogni caso non vi accederebbero per pregiudizi e timori.
“La lacerazione di una donna violentata significa anche la solitudine di una scelta “.
Facciamo in modo che il dolore e il pudore di queste donne non venga violentato “due volte” e che il coraggio dell’esporsi venga accolto dall’abbraccio della condivisione e della solidariet .
Facciamo in modo che Napoli non rifugga da tutto questo e che sappia adoperarsi affinchè il livello di civilt possa crescere di pari passo con una concezione di rispetto e di tutela delle donne, liberandole da un tessuto comunitario che ancora ne relega la centralit e non ne legittima la titolarit a un processo di auto-consapevolezza e di indipendenza.
Solo cos potremo ridare loro la forza di ricominciare.
(2/ fine)