Dai più piccoli ai più grandi. Passioni, emozioni, partecipazione. Il calcio non ha confini. Fin dalle sue origini, il calcio è un vero e proprio fenomeno sociale capace di smuovere gli animi. Molti artisti hanno scelto di rappresentare questo sport nelle proprie opere d’arte. E a proposito di arte e artisti, in questo periodo è venuto a mancare Maradona, considerato il Dio del calcio. Spesso abbiamo sentito dire che nella storia dell’arte del calcio, Maradona viene paragonato a Caravaggio.
«Il paragone – afferma il direttore di Sport Campania, Gianfranco Collaro, è giusto, perché Maradona è stato il Caravaggio del Novecento. Entrambi guasconi e maledetti, capaci di creare una sublime arte a modo loro, peccato che si sono voluti male e si sono fatti del male. Spesso come accade in questi casi, però, una volta mancati non ci sono solo commemorazioni ma anche giudizi morali sulla propria vita privata. Una cosa che anche Pasolini ha subito, quando fu il suo momento. Per quanto non si possa scindere il privato dal pubblico, vista l’immensa popolarità, basterebbe anche connettere i neuroni e pensare che Diego si è fatto del male, senza mai farlo a nessuno. Anzi, i fatti raccontano il contrario».
E proprio a distanza di quindici giorni dalla scomparsa di Maradona, è venuto a mancare un altro grande del calcio, Paolo Rossi, conosciuto come Pablito. «Due brutte perdite per chi ama il calcio e ha saputo apprezzare questi campioni», continua Gianfranco.
Lui dice di ricordare poco di Maradona. «Avevo appena sei anni, figuriamoci Paolo Rossi, non ero nemmeno nato. Ma se ho visto qualcosa di Diego dal vivo, non posso dire lo stesso di Pablito, che ho apprezzato solo crescendo, osservando i filmati».
E aggiunge: «Se dovessi dire cosa hanno rappresentato per me, potrei dire che Maradona è stato il capo popolo di due popolazioni riunite, quella argentina e quella napoletana. Ha combattuto sul campo anche per i diritti di queste due realtà tanto lontane, ma molto simili. Rossi, invece, era un taciturno, un bravo ragazzo, molto umile e dal cuore d’oro, in campo era tutt’altra musica, un attaccante veloce e abile negli spazi stretti, un uomo d’area di rigore. Entrambi sono parte importante della storia del calcio».
E come Maradona, un altro grande della storia del Napoli è Mertens. Di origine belga, ma ormai figlio adottivo di Napoli, così come ci racconta Gianfranco. «Arrivato a Napoli, dopo che i napoletani lo avevano insultato per diversi giorni, questo perché ai tempi del PSV Eindhoven sminuì Cavani, che all’epoca giocava con gli azzurri, dopo una sfida di Europa League. Tutto questo non ha intaccato il rapporto che si è costruito col tempo tra Dries e i napoletani, ora è Ciro Mertens. Ha dimostrato di essere un bravo ragazzo, di quelli che stanno diventando merce rara. Quanti colleghi hanno fatto quello che ha fatto lui? Tornare a casa la sera, scendere senza dire nulla alla moglie, ma solo per compare pizze e distribuirle ai senza tetto. Credo quasi nessuno, o comunque sono pochi. Mertens è ormai un figlio di Napoli».
Quella Napoli che è storia, cultura e qui ci sono passioni legate al calcio. Il calcio azzurro come il cielo e il mare della città. Azzurro come il colore delle maglie della squadra partenopea, la cromatura che si confà a tutta la città.
Napoli, terra di arte, di poeti. Terra piena di passione, cuore e sentimento. Un popolo che crede, sogna e spera. E proprio a tal proposito, vogliamo pensare al calcio anche come sport per i più piccoli per sviluppare il senso di comunità e la cultura della legalità soprattutto nelle zone a rischio tipo Scampia.
Proprio Gianfranco ci dice che «Il calcio deve essere un volano. Lo sport più praticato al mondo deve far sviluppare il senso della comunità e far crescere la cultura della legalità. Peccato che fatica ancora in questi campi, tant’è che i diversi casi di razzismo sono ancora presenti e fanno male, per non parlare di scandali calcistici a cui assistiamo troppo spesso. Tutto ciò deve finire. Il calcio è uno sport, ma sta prendendo dei brutti binari. Tra poco diventerà solo uno spettacolo, come il wrestling. C’è questo pericolo secondo me».
E adesso così in due parole, chiudendo questa chiacchierata, cosa vorresti dire a Napoli e ai napoletani? «A Napoli non posso dire niente, così bella che è solo da ammirare in silenzio. Ai napoletani dico di fare silenzio, che voglio godermi Napoli (scherzo)».
Grazie per il tuo tempo, Gianfranco.
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