Respingere alcune narrazioni tossiche sul Mezzogiorno e provare a dare una chiave di lettura diversa, alternativa al pensiero storiografico dei “vincitori”, con l’altrettanta consapevolezza dei “vinti”, sembrerebbe tra le principali finalità del libro “Il rovescio della nazione – La costruzione coloniale dell’idea di Mezzogiorno”, di Carmine Conelli, Tamu edizioni – pagg. 237 – 16 euro.
Una indagine che prova a mettere le cose al loro posto, quella di Conelli, che parte da chi ha sdoganato prima di tutti le differenze socio-economiche tra Nord e Sud dell’Italia, Antonio Gramsci; colui che ha prospettato un pensiero interpretativo “fuori” dal concetto di nazione intesa come territorio unito geograficamente, ma come “soggetto” permeato da classi sociali, status, disparità di accesso alla partecipazione del potere e differenze socio-economiche.
L’autore continua analizzando l’archivio coloniale globale e il Mediterraneo, accennando alle analogie dei tanti Sud del mondo, dalle popolazioni indigene colonizzate in India piuttosto che a quelle delle Americhe. Connettendo le vicende delle classi subalterne ai moti del popolo napoletano del 1647, quando con a capo Masaniello si rivoltarono contro il potere che aveva istituito una nuova gabella sulla frutta, oppure al fallito tentativo di modernizzare la penisola italiana con i moti della Repubblica partenopea del 1799.
Avvenimenti, secondo Carmine Conelli, da collocare nel novero delle “rivoluzioni moderne”, al pari delle insurrezioni delle colonie nordamericane contro l’Inghilterra e la Francia, e della sollevazione dei giacobini neri dell’isola di Santo Domingo che si ribellarono alla Francia che negava loro libertà e uguaglianza (nascita Repubblica di Haiti).
Insomma, il Mezzogiorno si trova esattamente nella modernità del conflitto tra egemonia o subalternità, ed è pienamente annoverante tra quei tentativi storici delle periferie del mondo che ancora lottano contro il colonialismo e l’oppressione dell’élite sui popoli sfruttati.
L’autore sembrerebbe aver esplorato le “tracce di quel repertorio di rappresentazioni funzionale all’inferiorizzazione delle popolazioni colonizzate nel processo costitutivo della nazione italiana”.
Nel momento in cui il “nuovo” Stato unitario si pensava come risorto (Risorgimento), si gettava sul Meridione tutta l’ansia di modernità. Una corrente di pensiero europea, con a capo il pensatore illuminista Montesquieu, distingueva le persone del nord, quali soggetti aventi pochi vizi e molte virtù, da quelle del sud, caratterizzate da poca moralità e senso di libertà, additando tali differenze come figlie di una cornice addirittura “climatologica”.
Cavour, brigantaggio postunitario, l’antropologia lombrosiana, strutturano il libro in quella narrazione diversa e alternativa al pensiero dominante tradotto nei libri di storia, con precisione temporale e piglio storico, fino ad arrivare nel secondo dopoguerra, quando la contrapposizione tra nord e sud matura nelle “presunte” differenze esistenti tra operai (nord) e contadini (sud).
Carmine Conelli elabora un affondo sul ragionamento preunitario e dimostra come quella retorica della modernità dipinge gli abitanti del sud come dei pensatori lontani e speculari rispetto al filone pensante e alle attitudini borghesi dei settentrionali.
E si va avanti disquisendo su un Mezzogiorno che ha una sua dimensione a più sponde, tra cattive abitudini e potenzialità espresse, e che cammina e si struttura dal punto di vista culturale e sociale. Infine ma non da ultimo, lo scrittore spiega in maniera netta e narrazione appassionata perché non si può più chiamarsi meridionalisti, ma bisogna attestarsi nei processi storici del Mezzogiorno, per non cadere, anche qui e ancora una volta, in una terminologia che confina il sud come un problema nazionale e non come territorio in grado di esprimere libertà e pari dignità, tra speranze di autonomia e voglia di riscatto.
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L’AUTORE
Carmine Conelli è nato a Napoli nel 1987 ed è parte del collettivo di Tamu Edizioni. Dopo aver conseguito il dottorato in Studi internazionali all’Università L’Orientale di Napoli, con una tesi di ricerca nell’ambito degli studi culturali e postcoloniali, si è dato alla fuga dal mondo accademico.
È stato co-curatore del volume Genealogie della modernità. Teoria radicale e critica postcoloniale (Meltemi, 2017).