Vestita di bianco, corti capelli d’argento, luminosa, solare. Passeggia nella scena rinnovata di uno storico Teatro Instabile, alla radice di Palazzo Spinelli, in quella Napoli antica che fa impazzire di gioia turisti da tutto il mondo. In quel Vico Fico Purgatorio ad Arco, una piega intima di via Tribunali, benedetta da San Gennaro che guarda chi passa, nella sua imperturbabile serenità, scolpita da Lello Esposito in un busto che vengono ad abbracciare persino dal lontano Giappone.
L’onda elegante di Tina Femiano ha aperto le serate d’onore che l’Instabile, rinnovato e rinato con la guida artistica di Gianni Sallustro, erede dell’azione culturale di chi lo ha fondato, Michele Del Grosso, dedica, nella stagione appena iniziata, a voci incisive del palcoscenico partenopeo.
Il titolo dello spettacolo che sta per essere rappresentato si scontra con l’immagina candida di un’attrice dal peso profondo, immerso in cinema, teatro e televisione. “Amori criminali“: un avvertimento al pubblico che trattasi di qualcosa di inquietante, tenebroso, oscuro.
Eppure eccola, Tina. Sorridente mentre annuncia la prima delle anime femminili unite dalla sua interpretazione: Santina, innamorata di un sorcio re, ma pur sempre un topo.
Certo, l’amore può arrivare a tanto, annullare distanze, infiammare il cuore ma anche bruciarlo d’odio. Persino quello di una madre abbrutita dall’inerzia di un marito e dalla vita sregolata di un figlio che le si rivolta contro, offendendola. Pure una mamma arriva a uccidere, stordita da effetti alcolici di quella che sembra un’innocua bottiglia di vermut.
La luce si spegne. Quando si riaccende, Tina è un donna ridotta a un’assenza: le hanno strappato le viscere quel giorno che hanno ucciso per sbaglio Attilio (il suo bambino per sempre), vittima innocente di un agguato di camorra, colpito perché somigliava maledettamente a un altro, il vero bersaglio.
Indossa il velo nero, invece, per coprirsi il capo in segno di devoto rispetto per San Gennaro, invocando protezione per la sua creatura che si chiama Gennarino come il patrono di Napoli. Non nega orgoglio materno nel descrivere le prodezze di un figlio scippatore cui viene strappato a morsi l’orecchio destro da un malcapitato che resiste allo scippo. Un brutto sfregio che Gennarino copre con un cerotto fino a riprendersi, con la stessa ferocia subita, il pezzo di lobo uguale al suo da un passante, anche se è quello del lato sbagliato. Ma non fa niente, se lo fa riattaccare grazie a un chirurgo compiacente e riscopre il proprio buonumore, fiero della sua antenna parabolica (auricolare).
Chiude il cerchio del dolore, la pescivendola del Mercato, tremante e impaurita dal suo stesso impeto. E racconta la sofferenza. Di un’adolescente costretta a dare in adozione il neonato che diventerà Gabriele per la sua nuova famiglia. Lo riscopre avvocato, si finge una cliente, si rivela, e, di fronte al disprezzo del giovane che le offre un assegno purché si tolga dai piedi, lo ferisce mortalmente con le forbici. Per niente pentita di quello che ha fatto.
Così il bianco del lungo abito di Tina la conduce in un viaggio dentro sé stessa dove rincorre sentimenti contrastanti e personalità complesse che la figlia Carmen, da regista e autrice del libero adattamento, ha raccolto ispirandosi a 5 testi: “Il mio cuore nelle tue mani” di Manlio Santanelli, “Niente più niente al mondo” di Massimo Carlotto, “La Pescivendola” di Roberto Cavosi, “Santina e il Re” di Patrizia Rinaldi e “L’assenza” di Ciro Marino.
Alla fine, un abbraccio di ammirazione da Gianni Sallustro che le consegna il premio Talentum per sua infinita forza di attrice, capace di scolpire le parole.
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In copertina, Tina Femiano alla fine della serata d’onore raccoglie l’affettuoso applauso del pubblico (scatto de ilmondodisuk)

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