Ecco cosa afferma l’art 19 della nostra Costituzione: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
Un giovedì di tanti anni fa, eravamo in molti riuniti per assistere alla messa in occasione del trigesimo di una nostra cara storica amica Coccinella (era il suo nome d’arte), all’anagrafe Antonio de Filippo.
Commossi per la sua perdita, tutti in religioso silenzio, a pregare per lei. Vicino a me un signore lo faceva in modo incomprensibile alle mie orecchie e io, con la mia solita faccia tosta, gli chiesi cosa biascicava, per nulla infastidito e disponibile mi rispose. «E’ una antica preghiera dedicata alle anime del purgatorio, tramandata dalle vecchiarelle del quartiere. Io, anziana femminella, mi riunisco la sera con loro e preghiamo».
Affascinato da alcune parole della preghiera (almeno da quel poco che avevo capito) chiesi gentilmente se me le potesse dettare… subito disse di sì. Uscii dalla chiesa, mi recai in una cartolibreria, acquistai quaderno, penna, rientrai. E la femminella iniziò la sua nenia preghiera quasi cantilenando.
«Anema Santa, anema abbiata, a chiste munno avite state, m’priatorio vè truvate m’paravise, c’è aspettate. Pregate l’eterno padre per la nostra necessità, siccome c’è vedite, accussi c’è succurrite, siccome c’è truvate accussi,c’è cunsulate. Sti requie c’aggie ditto, cielo sia scritto, all’Angelo sia dato, all’aneme ò priatorio sia appresentato. Pè requie , rifrisco, sullievo e pace. Io ve prego aneme tutte abbandunate, e chiù de tu, primme cìà fernesce stà jurnata, nuie vulimme essere aiutate. Vuie ireve comme a nuie, nuie amma essere comme a vuie. Vuie pregate a dio pè nuie, nuie pregamme a dio pe vuie.” Da questo momento la mia innata curiosità, mi spinge a una ricerca di antiche nenie, canti,novene e preghiere “scurdate” dimenticate, che hanno fatto parte del nostro credo, che oggi vengono messe nel dimenticatoio, come questa “San Pascale Bailonne, protettore delle donne, mannammillo ‘nu marito, bello, tunno e sapurito: comm’a vuie tale e quale, glurïoso San Pascale!».
Questa è una chiara supplica di donne in cerca di marito. Il santo- oltre ad essere protettore delle donne- è stato anche inventore dello zabaglione. Ma quella più vicina al cuore dei napoletani è sicuramente dedicata al santo protettore di Napoli… San Gennaro.
«Faccia gialluta, accurr’ e stuta | sta lampa de ‘nfierno. Ora pro nobis. San Gennaro mio putente, tu scioscia chesta cènnera e sarv’ a tanta gente d’ ‘a morte ‘e lav’ ardente. Ora pro nobis. Miserere miserere! Songo ‘e peccate pro me pate, san Gennaro, miserere! Tu si’ ‘o prutettore nuosto: san Gennaro miserere. Ora pro nobis. Dill’a Dio, a Crist’ e i Sante . ca pentute simmo tutte quante, ca peccà’ chiù nu’ bulimmo, eccu cà pentute simmo. ‘Razia ‘razia, san Gennaro, a fùrmena, tempestate, a scuritata magna, libera nos Dòmene. (Sempre dal latino, Liberaci o signore) San Gennaro, ora pro nobis, San Gennaro, miserere, chistu populo è fedele, san Gennaro miserere!».
Siccome è scritta in lingua napoletana che passa a tratti dall’antico a quello arcaico, preferiamo trascrivere una traduzione in italiano, per il lettore che poco conosce terminologie a volte incomprensibili.
«Faccia ingiallita, accorri e spegni questa vampa d’inferno. Ora pro nobis. (locuzione latina Prega per noi) San Gennaro mio potente, tu soffia questa cenere e salva tanta gente dalla morte per lava ardente. Ora pro nobis. Miserere misere! Sono i peccati pro me padre, | san Gennaro, miserere! Tu sei il nostro protettore: san Gennaro miserere. Ora pro nobis. Dillo a Dio, a Cristo e ai Santi che pentiti siamo tutti, che non vogliamo più peccare, ecco qui siamo pentiti. Chiediamo grazia grazia, san Gennaro, proteggici da fulmini, tempeste, e dalla grande oscurità, libera nos Domine. San Gennaro, ora pro nobis, San Gennaro, miserere, questo popolo è fedele, san Gennaro miserere».
Nelle nostre ricerche ne abbiamo trovata una molto particolare, scritta in un napoletano monco rivolta a san Giovanni, che riportiamo di seguito.
«….Chella croce tanto amata, chella croce tanta bella steve p nu raccio (Braccio) ncielo e nato n’terra, e m tremarra’ a scennre quanno, San Giuanno steve accanto p nu libro in mano che dice:” vui peccature e peccatrici, chi sape.u Verbo i Dio che su rice, chi nu sape su fa m’bara’ osino’ sett lengue e fuoco adda passa’, no a chistu munno, a chill’ atu munno, cu pene e chianti (Pianti), sara’ mbarate, sara’ ammazzate».
Questo è un canto corale di pellegrinaggio alla Madonna di Montevergine, eseguito esclusivamente dietro la cappelletta che portava sul capo fin sopra il Montagnone, un canto che emoziona, fino alle lacrime. Un poco per le parole ma tanto per la fede.
La partenza era stabilita poco dopo la mezzanotte della seconda domenica di settembre. Il canto, lungo la strada, era alternato con la recita del rosario. Dice la fonte: «Si faceva sosta vicino a una fontana dove mettevamo anche un po’ di pane in bocca. La volta che ci sorprese la pioggia, arrivammo dalla Madonna bagnati fradici».
Il canto è strutturato in diciannove distici, con ripetizione del secondo verso. Il testo è simile a tanti altri conosciuti in ogni paese della regione e ricordano le varie tappe del percorso, fino alla cappella. Terminano con l’accorato congedo da Mamma Schiavona.
All’andata
E nui mò ngi abbiàmu
e la Maronna addo’ la scuntamu?
Mo’ che noi ci avviamo
la Madonna dove la incontriamo?
Arrivamu int’a Muntella
e la Maronna ngi pare na stella…
Arriviamo dentro Montella
e la Madonna ci pare una stella…
Arrivamu ncopp’a Cruci
e la Maronna ngi faci luci.
Arriviamo sopra alle Croci
e la Madonna ci fa luce.
Arrivamu a l’Auturara
e la Maronna ngi rai na manu
Arriviamo a Volturara
e la Madonna ci porge una mano.
Arrivamu abbasciu Avellinu
e la Maronna mo’ s’avvicina.
Arriviamo giù ad Avellino
e la Madonna si fa più vicina.
Arriviamo giù ad Avellino
e la Madonna si fa più vicina.
Arriviamo ad Ospetaletto
e la Madonna là ci aspetta
Chi vo’ grazie ra Mamma Schiavona,
ca sagliésse lu Muntagnonu.
Chi vuole grazie da Mamma Schiavona
che aspetta a salire il Montagnone?
Lu Muntagnonu stamu sagliènne
e quanta grazie ca stamu avènne.
E il Montagnone stiamo salendo
e quante grazie che stiamo avendo.
Avimmu cammenàtu tutta stanotte,
p’ menì addo’ Mamma nosta.
Abbiamo camminato per tutta la notte,
per venire da Mamma nostra.
La Marònna ng’è ddatu l’aiutu,
p’ fa’ priestu sta sagliùta.
La Madonna ci ha dato un aiuto,
per fare presto questa salita.
Arrivamu nnanzi a lu purtonu:
viéningi aprì, Mamma Schiavona.
Arriviamo dinanzi al portone:
vieni e aprici, Mamma Schiavona.
Lu purtonu è spapantàtu,
ma re luci stanne stutàte.
Il portone si è spalancato,
ma le luci sono ancora smorzate.
La Maronna è spasu lu mantu
e ngi accogli a tutti quanta.
La Madonna ha steso il suo manto
per accoglierci tutti quanti.
Che bell’uocchi tène la Maronna,
ca me pàrene doi stelle,
Che begli occhi tiene la Madonna,
che somigliano a due stelle,
ddoi stelle illuminate,
Vergine bella ca ngi uardàte.
due stelle luccicanti
con cui, Vergine, voi ci guardate.
Al ritorno
Statti bona, Maronna mia,
è fattu juornu e ngi n’avima ì’.
Statti bene, Madonna mia,
s’è fatto giorno e dobbiamo partire.
Statti bona, Maronna mia,
l’annu chi bene turnamu a benì.
Statti bene, Madonna mia,
l’anno che viene torniamo a venire.
Si ngi vengu, ngi vengu sola,
l’annu chi bene, nu bellu uaglionu.
Se ci vengo, ci torno sola,
l’anno che viene, con un bel guaglione.
Si ngi tornu, ngi vengu zita,
l’annu chi bène, nu bellu maritu.
Se ci torno, ci vengo zita,
l’anno che viene, con un bel marito.
E si stesseme cchiù bicinu,
nge venésseme ognu matina.
Se noi fossimo più vicino,
ci vedremmo tutte le mattine.
E siccome stamu luntanu,
ngi verimu na vot’a l’annu.
Ma siccome stiamo lontano,
ci vediamo una volta l’anno.
E si nu’ nge verìmu r’ visu,
nge verìmu mparavìsu.
E se non ci vediamo di viso,
ci vedremo in Paradiso.
Questa, invece, è dedicata a un altro culto, la festa della Madonna delle Galline a Pagani. Una delle celebrazioni più attese del panorama sacro della Campania . Una festa che (come Montevergine) viene accompagnata con le tammorre. Con devozione, danze e colori.
“Madre bella del Carmelo,
detta delle galline,
da Pagani amata e venerata,
Tu che esci alle nove,
nell’ora della Pentecoste,
portaci con Te
per le vie della nostra città
e della nostra Chiesa
e insegnaci come raccontare
a coloro che incontriamo la vita di Gesù,
tuo Figlio, nostro Maestro ed Amico.
Raccolti sotto il tuo manto,
come fa la chioccia con i pulcini,
mentre attraversiamo le vie di Pagani,
avvolte nei colori e odori della festa,
vogliamo chiederti diverse cose:
benedici le nostre famiglie;
dona sogni e lavoro ai giovani;
accarezza i nostri bambini;
sostieni gli anziani;
asciuga il sudore degli ammalati
ed accompagna,
con il canto del tuo Magnificat
la rinascita spirituale ed umana
della nostra città
e dei nostri luoghi di aggregazione.
Aiutaci Tu, Madre dal bel volto,
a non razzolare nei cortili della nostra povertà,
ma a volare nel cielo dei pensieri di Dio,
delle tradizioni vere,
sane e belle,
sulle quali i nostri antenati,
aiutati dai grandi Santi,
hanno costruito nel sacrificio la nostra città.
Madre, insieme a Te,
vogliamo rendere gloria al Padre,
al Figlio e allo Spirito Santo.
Amen”
Ecco una nota storica di don Natalino Gentile. Pagani: Nell’antica chiesetta dell’Annunciata o dello Spogliaturo (luogo di vestizione dei confratelli) era collocato questo quadro, su tavola, del tardo Cinquecento. Il dipinto è attribuito a Giova n Vincenzo Forli: la Vergine con il Bambino sovrasta i quattro Santi (S. Giovanni Evangelista, S. Giuseppe e le martiri S. Costanza e S. Agata) ed insieme intercedono per liberare le anime del Purgatorio. Dal 1600, con la presenza dei Padri Carmelitani, si ebbe il titolo di Madonna del Carmelo. Il perché detta poi anche delle Galline è assai dubbio. Molto suggestive le ipotesi, dalle galline che razzolando ritrovano il dipinto, alle lotte iconoclaste, dall’interpretazione biblica della gallina che accoglie i pulcini sotto le ali all’offerta rituale dei volatili. Certo è che S. Alfonso aspettava la processione per offrire le sue gallinelle infiocchettate.
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Bella preghiera