I narratori del nuovo Sud, la loro innovazione linguistica e il rapporto con la tradizione meridionalistica. “Uccidiamo la luna a Marechiaro” (Donzelli editore, pagg. 194, euro 17,50) è il nuovo libro di Daniela Carmosino, studiosa di cultura meridionale che da anni pubblica articoli e saggi sulla narrativa contemporanea.
Il tema della rinascita del Sud è stato al centro del dibattito culturale verso la met degli anni novanta e ha coinvolto in modo particolare i giovani narratori meridionali, impegnati a raccontare un Mezzogiorno lontano dall’immagine tradizionale diffusa dai media. L’esigenza di liberarsi dei clich tipici dell’esperienza neorealista ha spinto i giovani narratori a elaborare un linguaggio che fosse teso a demistificare le vecchie chiavi di lettura della retorica novecentesca, nel timore di rimanere anche loro intrappolati in tematiche e situazioni abusate e prive oramai di qualsiasi attendibilit . Lo spiega l’autrice nelle pagine del libro: “Forgiare uno strumento linguistico capace di nominare il mondo secondo l’autore vuol dire, per i narratori del nuovo Sud, costruire un ponte sul vuoto di senso delle parole e delle icone desemantizzate dell’ammaliante retorica meridionalista. Impegnati ma non ideologizzati, assertori non fanatici delle potenzialit gnoseologiche della letteratura, questi narratori avanzano cautamente, costruendo un passaggio sulle sabbie mobili della retorica”.
Il desiderio e la necessit di raccontare in modo diverso la realt della propria terra ha suggerito ad alcuni di questi giovani scrittori di adoperare lo strumento del reportage narrativo, che consentiva di unire i metodi d’indagine dell’inchiesta giornalistica alla finzione romanzesca. Il caso più eclatante di reportage narrativo è senza dubbio quello di “Gomorra” di Saviano, un’opera che Daniela Carmosino analizza con un particolare riferimento alle scelte stilistiche del giovane scrittore campano. Lo stile di “Gomorra” è metaforico, allusivo, di forte impatto emotivo e questo pone in evidenza il rapporto tra la verit e la finzione, come sottolinea l’autrice: “L’ibridazione tra finzionalit e verit , realizzata gi nella televisione anni ottanta con l’informazione spettacolo e il reality-show, è oggi sempre più caratterizzante anche la letteratura. Tale ibridazione può determinare una minore sicurezza del lettore nella decodificazione del testo che ha di fronte: sempre più difficile è discernere ciò che è realmente accaduto da ciò che è frutto di elaborazione fantastica della realt “.
“Uccidiamo la luna a Marechiaro” nasce da un convegno tenutosi a Campobasso nel 2003, intitolato “Notizie dal Sud” e dedicato alla nuova narrativa meridionale: molte delle dichiarazioni riportate nel libro sono state tratte dai dibattiti che si svolsero nelle giornate di incontri. A distanza di alcuni anni, Daniela Carmosino riflette sulla “piccola rivoluzione culturale” che interessò il Sud d’Italia negli anni novanta e sugli effetti che essa ha prodotto e continua ancora oggi a produrre.
Nel libro è ricostruito con accuratezza il vivace dibattito critico che si sviluppò in quegli anni sulle riviste letterarie e sulle pagine dei quotidiani, in particolare tra coloro che proponevano un progetto di modernizzazione attraverso il recupero delle radici culturali e quanti, invece, intendevano verificare “il potenziale eversivo di giovani scrittori in grado di disincagliare il Sud letterario dal consolatorio ma estenuante abbraccio della tradizione”.
L’autrice non si limita ad offrire al lettore un’analisi di carattere generale su tematiche, ambientazioni, sperimentazioni linguistiche e sul rapporto con la tradizione dei nuovi narratori del Sud, proponendo anche una suggestiva lettura critica della loro produzione letteraria. Attraverso pagine ricche di notazioni sui contenuti e lo stile, emergono le figure di Gaetano Cappelli, Giuseppe Montesano, Francesco Piccolo e Carmine Abate, per citare solo alcuni dei più significativi scrittori meridionali affermatisi in questi ultimi anni.
Il testo propone un affresco letterario composito e seducente, in cui si impongono l’uso sorvegliato della lingua e l’originale rappresentazione della odierna realt meridionale.
A seguire, l’intervista con l’autrice
Carmosino e il nuovo volto del Sud
Daniela Carmosino è docente presso l’Universit del Molise, editor e consulente editoriale, ha pubblicato saggi e articoli sulla letteratura italiana del primo Novecento e sulla narrativa contemporanea. un’esperta di cultura meridionale, di cui si occupa da anni.
I nuovi
narratori meridionali e le innovazioni della lingua?
“Va detto subito che la sperimentazione linguistica di questi scrittori nasce dalla necessit di raccontare il nuovo volto del Sud liberandolo da tanti stereotipi: è una premessa fondamentale per comprendere le operazioni di chi, da un lato, fa risuonare nella lingua le voci d’una societ multietnica (dal dialetto allo slang giovanile, dall’inglese all’africano) come pure di chi, dall’altro, vuole modulare una lingua 6 « o è è á « s pt L libri n e d d d d pG 7 e : E è H l è NO » OJ e
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Lei scrive nel libro che i nuovi narratori sembrano fortemente suggestionati dalla potenza dell’immagine cinematografica. A suo giudizio l’esigenza di rivolgersi a un pubblico giovanile che ha interiorizzato il linguaggio cinematografico può aver condizionato questa scelta di stile?
“Credo che l’abitudine, condivisa non solo dai giovani, a seguire una storia raccontata ‘per immagini’, sul grande o sul piccolo schermo, abbia condotto a una trasformazione nel modo in cui l’individuo oggi percepisce la realt . Di questo i nuovi narratori non possono non tener conto: e lo fanno sia rappresentando criticamente tale trasformazione nei personaggi (penso a De Silva o ad Alajmo) sia provando a sfidare l’efficacia dell’immagine cinematografica con la potenza evocatrice della parola, sia facendo riferimento a un immaginario mediatico ampiamente condiviso, sia, infine, mutuando dal cinema qualche strategia di rappresentazione. Se poi qualcuno, scrivendo, mira gi a una riduzione cinematografica, beh, questo è un altro discorso…”.
I narratori del nuovo Sud hanno preso le distanze dalla tradizione letteraria precedente. Lei parla di “disconoscimento dei padri”, ma sottolinea anche la scarsa conoscenza della tradizione letteraria italiana. E’ un conflitto generazionale o prevale il disinteresse per gli autori delle generazioni precedenti?
“Questo è uno di quei casi in cui il critico si accorge della pericolosit delle, pur indispensabili, generalizzazioni: la risposta più corretta è che per alcuni il disconoscimento dei padri, beninteso italiani, meglio se di un paio di generazioni al massimo più vecchi di loro, nasce da una meditata, magari a volte un po’ ideologica, volont di prendere le distanze da certi codici di interpretazione e rappresentazione della realt , avvertiti come superati. Per pochi altri si tratta, certo, di scarsa conoscenza. ma non mi chieda di fare nomi…”.
Per questi autori privilegiare la forma del reportage narrativo è necessario per raccontare un immaginario che è sempre più di derivazione mediatica? br>
“No, non è assolutamente necessario. Per quanto mi riguarda ritengo che la letteratura possegga tutti gli strumenti per raccontare efficacemente la realt . La scelta del reportage è dettata, nel migliore dei casi (penso a Pascale o Saviano) da una volont di rappresentazione quanto più possibile diretta, onesta, immediata. Nel peggiore segue un orientamento editoriale che tende a sfruttare il genere, che vende perch informa senza impegnare troppo il lettore in quella pluralit di senso che è propria del testo letterario. Insomma, l’attenzione si dirige sempre più verso il contenuto a discapito della forma”.
La strategia delle case editrici ha condizionato il lavoro di questi autori?
“Forse di qualcuno s, almeno agli esordi. Credo però che per gli esordienti l’orientamento dettato dall’editoria sia più forte in questi ultimi anni, attraverso una preferenza accordata a ‘prodotti’ inquadrabili sotto ‘etichette’ che ne indicano quei generi (noir o reportage) o meglio ancora quei temi (i mali di Napoli, la mafia etc.) che il lettore riconosce subito e ormai predilige. O che è stato indotto a preferire”.
Il linguaggio dei blog e delle chat è destinato a influenzare la letteratura dei prossimi anni?
“E anche qui occorre distinguere: il narratore di talento, se vorr , potr tener conto dei nuovi linguaggi e dei nuovi codici espressivi e rappresentarli dandone un’interpretazione critica. Gli altri li registreranno passivamente. Qualcuno l’ha gi fatto col linguaggio degli sms, ma si tratta di un’operazione ‘furbetta’ che lascia il tempo che trova…”.
In foto, l’autrice