Normalmente le strade sono tenute fuori dai portoni dei palazzi. Invece a Napoli, a via Martucci 48, questo non succede. Qui, entrando nel palazzo, oltre il portone si trova un’altra strada. Una stradina selciata da piccole pietre di lava del Vesuvio, nere, lucide, lavorate a modo. Evidentemente una stradina preesistente al palazzo. Si scende qualche gradino e ci si trova in locali un po’ interrati, ma chiari e luminosi il Plart, uno dei regni di Maria Pia Incutti, la regina dell’arte della plastica. Vale la pena andarvi, almeno per gustarne l’architettura dell’interno. Qui si è inaugurata la mostra delle opere di Ugo Marano (foto), un artista scomparso quattro anni fa e poco noto al grande pubblico, sebbene lo abbia ricordato un tavolinetto con un decoro in mosaico collocato nella recente mostra, Rewind, al Castel Sant’Elmo.
Chi era Ugo Marano? Era nato nel ’43, a Caprile, nel Cilento. Prende un diploma di musaicista della Reverenda Fabbrica di San Pietro di Roma. Da qui parte, creando, con buona tecnica e capacit  immaginativa, mosaici tradizionali come vasi di frutta o di fiori, del tipo di quelli che si trovano anche nel nostro Museo Archeologico napoletano. E lavora al restauro dei mosaici dell’Arcivescovato di Ravenna, del duomo di Amalfi e di quello di Potenza. Ma poi si libera dalla tradizione e partecipa ai gruppi cosiddetti sperimentali.
Attivissimo, partendo da tentativi nell’arte povera, si tuffa nell’asserzione di un’arte multimediale, che sintetizzi tutte le arti, dalla scultura alla letteratura, alla musica. Discute e progetta anche di architettura, propone vari tipi di citt  e, mischiando tutto questo con l’ambientalismo, costruisce nel Parco del Cilento. A questo punto, nella sua storia si inserisce la figura di un economista di vaglia, il professore Pasquale Persico, cattedratico dell’Universit  di Salerno, che stabilisce con lui un connubio amichevole e artistico. Anche pratico e letterario. Il professore scrive di Marano e, anzi, è proprio lui, autore di studi e libri in proposito, a guidarlo costruire nella natura- dice- non significa cementificarla ma umanizzarla, rendendola fruibile e collegandola nelle sue parti.
Nel frattempo, Marano ha riconoscimenti importanti partecipa alla biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma e alla Triennale di Milano, espone anche in Francia. E, dall’Universit  di Salerno, gli vien data la laurea honoris causa in Scienza della Comunicazione. Certo si è rivelato un buon comunicatore delle sue iniziative, tante, testimoni di una febbrile attivit .

La mostra ora in questione è quella delle opere di Ugo Marano nella collezione privata di Maria Pia Incutti.
E, di conseguenza, si può dire che è in mostra il rapporto amichevole e di collaborazione culturale tra i due. Come gi  la collezione, anche la mostra (foto) è una creazione della signora Incutti, la quale ha chiamato, per realizzarla, un curatore di vaglia quale Marco di Capua, prof alla Accademia di Belle Arti di Napoli e critico d’arte su importanti riviste. Mentre ha affidato l’allestimento all’ottimo architetto Enzo Tenore e la pubblicit  a mezzo stampa a un addetto di buon nome come Raffaella Tramontano. Il meglio per promuovere il suo amico e farlo rivivere nello sguardo altrui alle sue opere.
La signora Incutti, infatti, la si può definire una operatrice culturale di alto profilo o, meglio, un mecenate delle arti. Ha protetto, sostenuto e incoraggiato tanti artisti, come Michelangelo Pistoletto, Pietro Lista e, per quarant’anni, Ugo Marano. Che lei ha invitato e coinvolto anche nella realizzazione di un’idea, di quella che può definirsi un’altra sua creazione, Verdalia, un resort in mezzo al verde, nei pressi di Lecce, oltre che nell’ arredamento della sua casa di Palinuro. E qui si conosce il gusto di Maria Pia Incutti per l’arredamento, perch, infatti, in mostra ci sono elementi come piatti, gingilli e oggetti vari, secondo un concetto dell’arte legato al vivere quotidiano, un concetto che ha trovato spazio anche nel disegno industriale ma che qui è legato all’intimit  più familiare dell’artigianato.
In un filmato, invece, girato subito dopo la morte di Ugo Marano, vanno in scena lo studio dell’artista a Caprile e la sua casa di Cetara, semplice e bella, con una gran vista sul mare vicino. «ll film è stato girato come ripercorrendo i passi di Ugo nei suoi spazi privati a lui cari e ne sottolinea l’assenza», ricorda il professore Persico l presente , gentile e disponibile a dire del suo amico e a mostrare le sue opere cos parlanti.

All’ingresso della mostra, vasi di ceramica allungatissimi, di circa tre metri di altezza. Per realizzarli, è stato necessario costruire dei forni adatti. Sono oggetti sonori.
A ogni tocco fanno sentire un suono e ogni vaso ha un suono, una voce sua propria. Sono di colore nero profondo con dei segni color rosso scuro, di sangue o di vino, colori caldi, anzi bollenti. Quasi una cifra artistica. Ribadita in piatti e oggetti. Attira soprattutto lo sguardo un piatto di cerami            6                 è« «    oè  á«sptBLlibrineBlinkBBd dBd d«BpGBB«7Be«BEBBèMODEBHlèNOèBB» OJBe
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BB»EWHEREUSINGB B B»RLIKERESETBeNULLBSHAREBSLAVErBPSIGNMIDptkoi8uBBBBRTRIMeROWS pBtxxïïxxxxxxca tutto nero con un segno, una sorta di macchia color vinaccia, che suggerisce il corpo di una donna mollemente sdraiata e che, verso destra, si allarga e si addensa in quello che sembra il becco, allungatissimo, di un uccello. Non c’è un disegno chiaro, il colore è disciolto e assume queste forme quasi per caso. Forme imprecise, mancanti di particolari, ma, in un colore fortemente espressivo, aderente all’oggetto, molto suggestive, tanto che, un po’ stranamente, fanno pensare a una pittura piuttosto os di un francese del Settecento, Franois Boucher, La Leda e il Cigno. Intrigante questo paragone tra due epoche tanto diverse. Nel Settecento, c’era una civilt  più complessa, uno studio tecnico più sapiente e un sentire più attento alla variet  degli elementi che compongono la realt . Oggi, c’è la semplificazione della tecnica, a volte raffazzonata, la nettezza delle soluzioni, l’essenzialit  delle azioni, la semplificazione, la scarnificazione della realt . Sul retro del piatto, ancora una figurativit  fluida e, nella macchia color vinaccia allungata in diagonale, vi si distinguono due figure, come di un uomo e una donna, affiancate una figurazione più serena.
Dall’altra parte della sala, un grande mosaico rettangolare di colore grigio mostra, in un angolo, una figurina nera rannicchiata, che rivolge il suo enorme pene verso la bocca l’esempio di un disperato sesso solitario. Una profezia? La semplificazione odierna del sesso espressa da Ugo Marano porter  gli uomini, anch’essi semplificati, a questa soluzione? L’arte spesso ha il dono della divinazione o, almeno, indica una strada o avverte di un pericolo. Certo il sesso appare il leitmotiv di questa mostra. Perfino le grandi sedie, che sono in mostra intorno a un tavolo, “troni in attesa di umane divinit ” le definisce di Capua, hanno, nella sommit  dello schienale, disegnato il becco di un uccello. Rende elegante e piacevole alla vista l’inserimento, forse un’idea di Maria Pia, di piante di limoni, che ricordano la riviera cilentana. E, per finire, ci sono, su un tavolo, varie copie di un librettino di poche pagine in una carta spessa, scritto da Ugo Marano e intitolato “Una storia d’amore”, in cui, naturalmente, si parla anche di sesso.

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