Valentino editore/ “Il mare bianco” di Salvatore Ronga: quando l’emigrazione divenne una realtà in molte famiglie ischitane

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In ogni famiglia le generazioni si susseguono lasciando tracce di varia natura: il nome di un antenato, che passa di padre in figlio, episodi della vita di un parente del quale si raccontano vicende, non sempre verificate, oggetti ai quali è legato un particolare avvenimento e, soprattutto, una serie di fotografie alcune delle quali, spesso, diventano oggetto per altarini familiari, immagini di are dei penati dove, insieme ai santi scelti per le proprie devozioni, dovranno proteggere tutti i componenti.
Poi un giorno qualche vecchia istantanea salta fuori; testimonianza di un tempo che impone la sua attualità lasciando, a chi ne comprende l’importanza, il compito di riannodare i fili prima che l’ordito dei fatti sia perso per sempre.
Le prime considerazioni che s’impongono, dopo la lettura del bel libro di Salvatore Ronga, Il mare bianco, pubblicato da Valentino Editore, sono temporali nel senso che le vicende narrate riportano il lettore in un preciso memento storico: gli anni venti del secolo scorso. Ambientato nell’isola d’Ischia, il libro è un affascinante racconto i cui personaggi vivono immersi in un clima economico, sociale e culturale la cui realtà, oggi, ci appare distante anni luce.
Con il trascorrere del tempo i riti, le tradizioni o meglio le consuetudini, ormai codificate, vengono accettate senza possibilità di cambiamento. Anche nelle due famiglie, protagoniste del romanzo, il ruolo che ognuno riveste è il risultato di una organizzazione alla quale nessuno sembra poter, o anche volere, sfuggire.
Si cresce nella scia delle tradizioni e delle possibilità che il contesto sociale offre. La scuola, spesso, non è vista come una opportunità di emancipazione e qualche famiglia preclude alle proprie figlie di frequentarla. Le donne, in particolare, sono “inquadrate” in una condotta che non ammette deroghe pena l’ostracismo, o peggio, della comunità.
Esistono regole, anche non dette, ritenute di un comune vivere: così, ad esempio, delle figlie sarà sempre la più grande a doversi sposare per prima.
La donna, quindi, aspetta il matrimonio come unica possibilità di emancipazione mentre gli uomini, per poter affermare il proprio ruolo nella comunità, cercano il lavoro che consenta loro di poter chiedere in moglie la ragazza scelta.
Ma è proprio il lavoro a diventare forse la vera chiave di lettura del romanzo. Nell’isola di quegli anni, il mare appare come una delle poche possibilità, il riferimento naturale di tutte le aspirazioni di molti giovani e se, un parente racconta che in un paese lontano come l’America la pesca è più redditizia, partire è una soluzione obbligatoria, un’occasione da non perdere.
E l’emigrazione divenne una realtà in molte famiglie ischitane. Un’avventura che molti giovani affrontarono non prima, però, di aver già impegnato, in maniera ufficiale, la ragazza che sarà sua moglie; scelta nella quale il ruolo di qualche sensale appare, molto spesso, risolutivo.
Il matrimonio sarà ufficializzato dopo un incontro delle due famiglie durante il quale saranno anche decise precise condizioni come la dote della ragazza; i sentimenti amorosi, infatti, richiedono una solida copertura economica.
Da questo momento la nuova famiglia sarà legata solo da una corrispondenza che dovrà riempire i lunghi mesi di assenza e la vita della sposa dovrà svolgersi secondo riti e abitudini che non debbono dare adito a pettegolezzi.
Un giorno, a volte dopo anni, lo sposo ritorna; il tempo di conoscere il primo figlio per poi ripartire aspettando la notizia della nascita del secondo figlio.
Nei lunghi mesi di lontananza e di solitudine i due sposi seguiranno un loro pensiero che, a volte, non avrà la stessa direzione. Se per lo sposo il ricongiungimento nella nuova patria appare un naturale cambiamento della propria condizione di vita, per la donna la paura di un mondo nuovo e l’abbandono della propria famiglia, sono vissute come un cambiamento troppo radicale per essere accettato facilmente. Ogni decisione, allora, viene rimandata e così, spesso, molti matrimoni finiscono in una lontananza sempre più desolante.
Per Giovannina e Vincenzo, i due sposi, la storia cambierà radicalmente nel 1937 quando la donna s’imbarca sulla nave Conte di Savoia, per raggiungere, con i due figli, il marito in California.
Così termina la storia privata dei due giovani. A ben vedere, però, continua quella delle tante famiglie meridionali che, in quegli anni, porteranno il proprio destino nei luoghi più distanti dalla propria patria. Chiudo il libro; sulla copertina, di grande eleganza compositiva, una giovane donna, fiera nella sua bellezza mediterranea, guarda l’obiettivo senza timore e certo pensa al suo uomo lontano destinatario della fotografia.
I begli occhi di Giovannina mi ricordano la canzone di Sergio Endrigo:Il treno che viene dal sud/Non porta soltanto Marie/Con le labbra di corallo/E gli occhi grandi così
Il cantautore di Pola ricorda l’emigrazione dal sud verso il nord del paese dopo la seconda guerra mondiale ma nel libro ogni mese, davanti alle coste dell’isola, passa una nave che porta intere famiglie in luoghi lontani e sconosciuti; il loro coraggio, la capacità di ricominciare in terre spesso ostili, dovrebbe farci riflettere.
Nei primi decenni del secolo scorso le condizioni di vita di molti abitanti, in tutto il meridione, sono al limite della precarietà; in quegli anni l’isola non è stata scelta da “colonie” di intellettuali stranieri che affolleranno i tavoli del Bar Internazionale di Forio accolti dalla mitica Maria Senese; la villeggiatura ancora non è una risorsa economica, mentre Angelo Rizzoli, con le sue iniziative imprenditoriali, arriverà soltanto nel 1950.
Oggi le condizioni economiche e sociali sono decisamente cambiate ed i molti giovani che ancora partono portano altrove non più le loro braccia ma i loro cervelli, le loro competenze acquisite in anni di studio.
Tutto bene, allora? In un certo senso sì; oggi i problemi, che pure esistono, sono di ben altra natura ma il commovente libro di Salvatore Ronga, scritto con tanta partecipazione, conserva intatto il suo profondo insegnamento: ricordarci Quando gli emigranti eravamo noi, per riprendere il titolo del rigoroso e documentato saggio di Nella Condorelli.
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