Da Renato Aiello, giornalista e fotografo free lance, riceviamo e volentieri pubblichiamo
Ben due sono stati i film italiani, e in particolare diretti e scritti da napoletani, dedicati al tema spinoso della “terra dei fuochi” alla 74esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: Veleno di Diego Olivares e L’equilibrio di Vincenzo Marra. Quello dello sversamento di rifiuti tossici, operato dai clan di camorra per decenni nelle campagne del napoletano e del casertano, terre fertilissime condannate in nome dei soldi facili e del business, è una piaga la cui soluzione dovrebbe entrare in ogni agenda di governo per i prossimi 30 anni, dal momento che ben poco è stato fatto finora.
Il mancato intervento di bonifica, come sottolineato di recente anche nel corto documentario animato (In)felix di Maria Di Razza, alla luce delle analisi scientifiche e delle previsioni, porterebbe alla contaminazione definitiva nel 2060 dell’intera falda acquifera campana e a un vero e proprio genocidio di massa, con tutte le ricadute negative su allevamenti e con le conseguenze nefaste per il comparto agricolo regionale.
A interrogarsi e a porre le coscienze sonnecchianti davanti al problema mai così serio ci hanno pensato queste due opere premiate e accompagnate da consensi e interesse di critica e pubblico. Veleno di Olivares è un dramma che non concede sconti o assoluzioni ai suoi protagonisti, in particolare a quei contadini e proprietari di larghi appezzamenti di terra da generazioni che, per guadagni facili ed egoismi personali, non si sono opposti ai disegni criminali in Terra di Lavoro. Il film sarà proiettato domani, mercoledì 27 settembre, alle 21, al Cinema Hart di via Crispi 33, nell’ambito di Napoli Film Festival.
L’opera di Olivares, che è un vero e proprio pugno nello stomaco, si polarizza nello scontro di due coppie travolte dagli interessi camorristici: chi per problemi di salute (la famiglia composta da Massimiliano Gallo e Luisa Ranieri, entrambi maiuscoli nelle loro prove attoriali) e chi per il patto stretto col diavolo (Miriam Candurro e Gennaro di Colandrea che si calano in due personaggi dalla liquida ambiguità morale). Il diavolo in questione è rappresentato dal classico avvocato “allevato” come un pollo di batteria dai clan per i loro affari, rampante e lanciatissimo verso la politica, qui interpretato dal bravo Salvatore Esposito, un habitué ormai dopo il Genny Savastano di Gomorra la serie a ruoli e storie noir sulla criminalità organizzata.
Tra liquami e fusti interrati, e bidoni seppelliti nei terreni da figli degeneri, scorre la vicenda di Cosimo (Gallo), marito e futuro padre di famiglia, colpito da un male incurabile e prima ancora dal disprezzo per il fratello, votato per necessità economiche alla causa criminale.
Lo stesso partito criminale che domina la scena ne L’equilibrio di Marra, che vede però stavolta un solo uomo contro l’intero Sistema, tradito da una Chiesa che dovrebbe combattere a schiena dritta i clan e da una comunità omertosa.
Quella di Don Antonio è una lotta contro un Leviatano biblico, un Golia bicefalo perché attivo su due fronti, lo spaccio di droga e l’inquinamento ambientale. Due facce della stessa medaglia non riconosciute però dal parroco che lo precede nella sua attività pastorale, impegnato come è a consolare la sua comunità col solo antidoto della fede in Dio e a contrastare il traffico dei rifiuti al prezzo di chiudere un occhio davanti ad abusi su minori e narcotraffico.
Tutto sta nel mantenere l’equilibrio del titolo, a costo di un compromesso amorale e immorale, un esercizio in cui Don Antonio, sacerdote già in profonda crisi spirituale, è destinato a fallire.
Una critica feroce alla Chiesa traspare dal film di Marra, forse meno compatto e fluido di Veleno, e magari più didascalico nell’illustrare lo stato dell’arte nell’hinterland napoletano, che ricorda, a un anno di distanza da Indivisibili di De Angelis, il ritratto di preti più orientati a giocare con le anime e a dominarle, piuttosto che a traghettarle verso il futuro.
Veleno e L’equilibrio sono due racconti diversi e vicini allo stesso tempo, fratelli stretti di una tragedia immane che almeno il grande schermo cerca di riportare all’attenzione. La speranza è che anche classe dirigente e opinione pubblica non decidano di scendere più a compromessi e di girarsi dall’altra parte, come fanno i caratteristi delle due pellicole.