Nel cuore del centro storico di Napoli, da un anno, è aperta un’enoteca unica nel suo genere. Indovino è un locale situato in Vico Latilla, n. 9, in cui vengono somministrati i cosiddetti vini naturali, ossia vini prodotti in modo artigianale a partire da uve biologiche, mediante la fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze – eccezion fatta per piccole quantità di anidiride solforosa – evitando processi invasivi o interventi correttivi apportati dalla chimica. Questa piccola impresa, che sta riscontrando un notevole successo nel pubblico, si fa portatrice della riscoperta della buona enogastronomia e della cultura contadina. Ad abbellire il locale, sulle pareti vengono esposte le opere di alcuni talentuosi artisti emergenti.
Ne parliamo con Andrea D’Alessandro, originario di Bonito (Avellino), che sta facendo gustare i sapori e la filosofia di un mondo in ascesa che si contrappone alla globalizzazione del mercato enologico.
Qual è l’origine di questo locale?
Indovino è un progetto nato tra me e la mia compagna Liliana. Da tempo, sognavamo di aprire un locale. Eravamo orientati sull’enologia, ma non avevamo ancora un indirizzo preciso. Poi, ci siamo avvicinati al mondo dei vini naturali grazie al locale La Posta di Grottaminarda (Avellino), il cui oste, Roberto “Buglione” De Filippis, c’ha preso per mano e c’ha fatto scoprire un mondo. Prima di quell’incontro, non avevamo una vera e propria cultura riguardo ai vini naturali. Non li comprendevamo molto e, anzi, li snobbavamo un po’. Poi, Roberto c’ha fatto appassionare alla storia, alla cultura, agli enormi sacrifici del lavoro artigianale in questo settore. Da lì in poi, abbiamo capito che tipo di locale volevamo aprire. Oltre “Buglione”, però, siamo profondamente riconoscenti nei confronti di Enzo Falace, enologo e profondo conoscitore della materia, che ci ha aiutato a stilare la prima carta dei vini e fatto carpire contatti con le cantine di tutta Italia.
Perché avete scelto proprio Napoli per lanciare questo progetto?
Non era inizialmente il nostro primo obiettivo. Avendo problemi familiari, volevo restare in Irpinia, nei pressi di Grottaminarda, perché mio padre non stava bene. Da figlio, sentivo l’esigenza di stargli accanto. Poi, purtroppo, circa un anno fa, l’ho perso. Dopo parecchie valutazioni, abbiamo così pensato di aprire un locale a Napoli, perché la clientela è più vasta. Abbiamo voluto metterci alla prova rischiando in un’impresa che altri ritenevano impossibile.
Da dove nasce il nome Indovino?
L’idea c’è venuta nella lontana Rimini. Un giorno, io e la mia compagna Liliana eravamo andati a trovare sua sorella, che vive lì. Ci ritrovammo a tavola in un locale che si chiama Tiresia. Non molti sanno che Tiresia era un mago, un indovino. Discutendo del nome da dare al nostro locale, a mio cognato venne l’intuizione di chiamarlo Indovino, che fa anche riferimento al nostro termine dialettale “int’ ‘u vinu” (nel vino). Il logo del locale poi, è stato frutto dell’estro e dell’elaborazione grafica di una nostra amica, Laura, una ragazza di Asti che vive a Napoli da qualche tempo, che ha dato poi forma a questo calice col punto interrogativo all’inverso.
Nella vostra enoteca figurano alcuni mobili antichi in legno. Cosa c’era prima in questo locale?
Un’erboristeria. I vecchi mobili coi cassettoni sono stati riadattati a bancone, grazie al paziente ed egregio lavoro del nostro amico falegname Cama. Questo posto lo abbiamo scoperto grazie a Valeria Zazzu, che ha un locale qui accanto, che c’ha fatto conoscere questa zona un po’ decentrata dalla classica movida napoletana, eppure situata in luogo strategico tra piazza Dante e Montesanto. Anche se siamo un po’ fuori dall’area dei locali del centro storico, da noi vengono persone che cercano un tipo di bevuta sana e un ambiente accogliente.
Il 27 novembre avete festeggiato un anno dall’apertura di Indovino. C’era moltissima gente. Come si spiega questo entusiasmo verso i vini naturali?
Secondo me, oltre alla rete d’affetto che abbiamo creato attorno a noi, molte persone si sono rese conto che in giro si beve male. In tanti mi dicono che il giorno dopo aver bevuto da noi non hanno mal di testa o altri malori.
E da cosa dipende?
Dalla lavorazione del vino in vigna e in cantina. Nei vini che somministriamo non vengono aggiunte sostanze chimiche, la fermantazione è spontanea. Nei nostri prodotti c’è solo vino ed uva. Noi proponiamo il frutto di un lavoro appassionato ed artigianale. Possiamo dire che in questo vino, oltre a non esserci chimica, c’è dentro la cultura contadina, che è millenaria.
Come ti spieghi allora l’affermazione di vini blasonati in commercio?
È la globalizzazione. I produttori non vogliono rischiare di perdere il raccolto di un anno e hanno i soldi e gli strumenti per imporsi nella grossa distribuzione. Tra loro, c’è pure chi aggiusta il vino andato a male con la chimica. Coi vini naturali questo non succede, perchè devi essere bravo in tutto il processo produttivo, devi conoscere la terra, coltivarla con cura, raccogliere l’uva, sapere come e quando potarla, seguirne tutta la lavorazione successiva con grande dedizione. Se non ti riesce bene, perdi tutta la produzione di un anno.
Sei irpino, eppure la tua impresa è stata bagnata da un grande riconoscimento nel pubblico napoletano. Qual è il segreto?
Sinceramente, non mi aspettavo di avere questo successo, che va oltre le mie migliori aspettative. Ci siamo fatti un nome nell’ambiente e siamo ormai conosciuti tra vignaioli e distributori, ma soprattutto fra la gente normale. Spesso andiamo in cantina, studiamo i vini, abbiamo rapporti diretti coi produttori, facciamo degustazioni. Ciò che per noi è centrale, è il rapporto diretto con chi fa il vino – che ti dà la storia della cantina, della vigna, della sapienza che c’è dietro la coltivazione- ma soprattutto con la clientela, creando un ambiente amichevole. È questo che ci piace di questa avventura. In ultima analisi, il segreto del nostro successo è dovuto anche al nostro staff, composto da Maria Ledonne e Alessandra Tarantino, cui sento di fare un ringraziamento particolare per la professionalità e l’impegno che mettono in questa impresa.
Si può dire che avete creato un movimento culturale intorno alla riscoperta del vino?
Creato proprio non direi. I meriti sono di ben altre persone, che sono state pioniere in questo settore. Noi, nel nostro piccolo, stiamo solo dando un contributo.
Il mondo dei vini naturali sta strappando diverse fette di consumatori ai vini convenzionali. Come te lo spieghi?
La gente vuole bere bene. A conti fatti, comprando vini convenzionali dal costo elevato, in molti si stanno rendendo conto che non hanno più questa garanzia. I nostri non sono vini impostati. Ogni calice ha un sapore. Il vino convenzionale ha tutto lo stesso colore, lo stesso odore. La summa di questa ipocrisia avviene nei vini DOC, dove se non si rientra in una certa codificazione data dai disciplinari di produzione, non ti consentono di commercializzare un certo tipo di vino. Nei vini naturali ogni bottiglia è diversa dall’altra, anche se è la stessa annata e la stessa uva. Proprio come accade in natura.
Tra i vostri ingredienti c’è la socialità…
Certo. Dopo una giornata di lavoro, le persone si ritrovano nel nostro locale, che sta divenendo un punto di riferimento. È bello che, dopo due anni di chiusure dovute alla pandemia, le persone si ritrovino qui per discutere, ridere, sentirsi vive. Il nostro obiettivo è far sì che le persone si sentano accolte in un ambiente familiare.
Se dovessi consigliare il tuo locale a una persona che non c’è mai venuta, cosa le diresti?
Vieni, perchè qui sarai trattato come un amico. Ti facciamo assaggiare vini buoni e sapori nuovi. Alla fine, ti sentrai in famiglia. Questo è il nostro obiettivo.
Hai portato un po’ di Irpinia a Napoli…
Per me, l’essere irpino è una filosofia di vita. Qui ho portato prodotti della mia terra, che sono molto buoni: salumi, formaggi, vini, tutti di produzione contadina. Con grande sorpresa, ho scoperto che molte persone vengono qui appositamente per degustare il tagliere irpino. È una grande soddisfazione.
Che volete fare da grandi?
Il nostro sogno è ritornare in Irpinia. Vorremmo prendere un pezzo di terra e produrre il vino. La terra ci richiama, perché tutto sommato siamo ragazzi di paese. Ci ispiriamo al titolo di un film di Ken Loach: “Terra e libertà”. C’è tanta libertà dietro il nostro rapporto con la terra. La nostra è una scelta consapevole di vivere, bere e mangiare bene. Senza padroni, creando comunità attorno a noi.
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